È una tarda mattinata di prima estate romana quando mi inerpico verso il centro sportivo Petriana, seduto su una collina affianco al Vaticano tanto che dai campi da calcio regala uno scorcio della cupola di San Pietro che fa invidia a Paolo Sorrentino. Lì sotto, 60 anni fa, i dirigenti di San Saba e Gruppo Borgo Cavalleggeri — due società che militavano entrambe in Serie C — si accordavano per la fusione che avrebbe dato vita alla Virtus Aurelia, la consolare che scorre accanto alle mura vaticane. Fu la prima incarnazione della società che, con l’entrata nel 1972 del Banco di Roma, divenne Virtus Roma e che ha rappresentato per mezzo secolo il riferimento per il basket professionistico nella capitale.
Cinquant'anni di storia che sono stati incerimoniosamente archiviati lo scorso 9 dicembre quando il presidente Claudio Toti, impossibilitato a pagare la quarta rata stagionale e gli stipendi, ha ritirato ufficialmente la squadra dal massimo campionato. Se la Virtus non riuscirà a versare i 638.000 euro di multa per mantenere l’affiliazione alla FIP — e difficilmente lo farà — la società sarà dichiarata ufficialmente fallita, lasciando un cratere nella passione cestistica della capitale.
Uno spazio che però non resterà a lungo vuoto. Ieri pomeriggio è stata presentata presso il Centro Sportivo Pio XI la nuova avventura del basket capitolino chiamata Virtus Roma 1860. Sarà guidata da Alessandro Tonolli, detto Tonno, il capitano storico della Virtus Roma nella quale ha militato dal 1994 al 2014 giocando 547 partite in maglia blu-arancio. Vent’anni che lo hanno reso qualcosa in più di una semplice bandiera ma un confidente, un amico e un riferimento al quale aggrapparsi in uno dei momenti più bui del basket romano.
«Abbiamo ascoltato questo grido di dolore e ci siamo sentiti in dovere di fare qualcosa. Per questo abbiamo costruito questa nuova società senza offendere nessuno, per dare un punto di riferimento a tutte quelle persone che in questo momento sentono di aver perso qualcosa». Quel “noi” identifica Tonolli, che ho raggiunto a un tavolino del bar della Petriana in cui non si lesina il Campari nello spritz, e Maurizio Zoffoli, il presidente del Petriana e tifoso della Virtus, che successivamente mi porterà a fare un tour guidato della struttura.
«La nostra partenza è legata a quello che è successo alla Virtus Roma e questo ci ha portato a voler creare una nuova società che si chiama Virtus Roma 1960. È una società che fondamentalmente parte dal basso: vogliamo creare delle basi solide che poi ci permetteranno in futuro di essere una società stabile, durevole e logicamente legata all’ambiente del basket romano. Non ci siamo rapportati con la vecchia società, che ad oggi è ancora in essere: noi siamo e vogliamo essere una nuova entità. Ci chiamiamo Virtus Roma 1960 perché non vogliamo disperdere quel sentimento legato ai tifosi, a quella passione che c’è e che volevamo rimanesse al centro di Roma».
Sia l’anno inserito nel nome che la prossimità geografica simboleggiano un ritorno alle origini che lo stesso Tonolli mi precisa: «Per me è importante che questa società sia nata qui quando si chiamava Virtus Aurelia», provando in qualche modo a rispondere all’endemica fragilità del sistema basket italiano, in cui il fallimento sembra essere un destino inevitabile.
Costruire una società nella pandemia
La scommessa è quella di ripartire pur con tutte le difficoltà del caso, rese ancora più complicate dall’emergenza sanitaria che, impedendo la frequentazione dei palazzetti e palestre, ha rifilato un colpo durissimo a tutto lo sport locale. Lo stesso Tonolli ammette che «siamo in un momento sicuramente difficile dal punto di vista economico perché la pandemia ha creato grossi problemi alle società e non solo, visto come le difficoltà delle aziende nell’ultimo anno e mezzo hanno causato una netta riduzione degli introiti tramite le sponsorizzazioni». Un circolo vizioso dal quale non è facile districarsi e per il quale non si hanno medicine risolutive.
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«Abbiamo un progetto e vogliamo fare le cose con ambizione, ma senza fare proclami. E vogliamo partire logicamente dal basso, da dove si deve partire quando si inizia una nuova avventura» mi dice Tonolli definendo anche la sua filosofia di vita e di basket. Ambizione senza sbilanciarsi, lavoro serio sui fondamentali prima di provare a palleggiare.
«A parte la prima squadra in C Gold, la nostra priorità è ripartire dal minibasket e lavorare sui giovani che saranno la linfa vitale di questa società». E in effetti mentre noi stiamo seduti a parlare fiumi di bambini entrano ed escono dal campo da basket e infine si riuniscono lungo uno sterminato tavolone all’aperto per il pranzo. I più entusiasti alzano un coro per Tonolli come fossimo sotto una curva Ancillotto di voci bianche.
«Per creare un giocatore serve un istruttore valido, serve dietro una società seria con dirigenti preparati e validi. Non è facile, specialmente in questo momento». Ma è una serietà che la Virtus Roma 1960 si è prefissa a ogni livello nonostante a volte sia più facile e veloce prendere la via più breve. «Sarebbe più facile prendere un giocatore già pronto», magari pescando un jolly tra i tanti americani che arrivano ogni anno in Europa «che non costa molto e ti gira la stagione».
Portare i propri giovani a salire le categorie per Tonolli non è solo un modo «per valorizzare i propri ragazzi e i soldi investiti nei giovani» a livello societario, ma dev’essere un progetto condiviso con la Federazione. «Ci dev’essere una sinergia perché la Federazione è l’insieme delle società, e se le società lavorano bene in maniera seria e strutturata sono il serbatoio della Federazione e quindi della Nazionale».
La Nazionale rimane ancora oggi il traino più potente per tutto il movimento quando si parla di attrarre verso questo sport gli spettatori occasionali, che hanno bisogno di quella spinta in più per appassionarsi. «Negli ultimi anni i risultati degli azzurri sono mancati» dice Tonolli, che in carriera ha giocato 65 partite per la Nazionale maggiore e con il quale abbiamo parlato prima del torneo pre-olimpico di Belgrado, «o non sono stati così rilevanti» da riaccendere l’entusiasmo attorno al basket, come sta succedendo con il calcio o qualche anno fa con il Sei Nazioni di Rugby.
Fortunatamente i risultati in Eurolega della Olimpia Milano e la vittoria dello Scudetto della Virtus Bologna hanno rilanciato il basket portando sul suolo italiano grandi campioni internazionali capaci di superare le barriere tra gli sport. «Teodosic è un giocatore che richiama attenzione non solo dei tifosi ma anche di tutti quelli che magari non vengono a vedere a giocare la squadra ma il campione. Sicuramente se sono appassionato di sport un giocatore del genere lo voglio vedere, come se andassi a teatro a vedere uno spettacolo».
Pregi e difetti del basket a Roma
Ci sono giocatori capaci di accendere una passione, di riscaldare una piazza solamente con la loro presenza in campo. Quando nel 2006 Dejan Bodiroga arrivò a Roma si avvertì una energia diversa che finì per contagiare tutto il gruppo e trascinare l’intera città in una euforia che non si vedeva dai tempi della Messaggero. «Dejan era una grande persona e un grande professionista, ha fatto ogni allenamento al massimo quando per status avrebbe anche potuto non farlo. Era il migliore non solo in campo ma anche fuori e questa, avendo vissuto molto gli spogliatoi, è una caratteristica che spesso ho ravvisato nei grandi campioni».
Roma l’anno successivo sfiorò il titolo uscendo in semifinale in una contestatissima serie contro la Montepaschi Siena davanti a 13.000 spettatori del PalaLottomatica, un ricordo con il quale Tonolli - come ogni tifoso virtussino - non è ancora riuscito a far pace. «Avendo vissuto tante partite, logicamente una volta che smetti le rivedi un po’ in luce della tua carriera e ci sono degli episodi che potrebbero averti limitato». Provo quindi a chiedergli se era fallo di Stonerook su Righetti ma non si sbilancia (e comunque se lo avesse fatto non avrei potuto scriverlo) e preferisce indirizzare la sua delusione sul rimbalzo di Eze che mandò gara-3 al terzo supplementare.
Una delusione che diventa ancora più aspra quando si arriva alla Finale Scudetto del 2013 persa nuovamente contro Siena, prima che il titolo fosse revocato, arrivata in conclusione di un’annata strepitosa quanto inaspettata. «Fu una stagione bellissima, che ricordo con tanto piacere nonostante non giocai molto ma era una squadra fantastica e molto unita. Phil (Goss), Gigi (Datome), Lorenzo D’Ercole, Gani Lawal, (Peter) Lorant erano tutti ragazzi super». Si giocava al PalaTiziano, dopo che Toti decise di non spostare le partite al PalaLottomatica criticando la scarsa partecipazione del pubblico romano.
Stagione che fece anche vincere a Gigi Datome il premio di MVP.
«Da giocatore quando arrivi in finale sei concentrato solo sulla partita, ma è logico che giocare in un palazzetto che tiene 3.500 posti rispetto ad un PalaLottomatica da 13.000 e magari riesci a riempirlo, avendo giocato in entrambe le situazioni ti dico che è meglio giocare davanti a 13.000 persone» mi dice senza entrare in polemica con le scelte del presidente.
Ma la questione degli spazi dedicati allo sport è sempre stata spinosa a Roma, specialmente quando si parla di pallacanestro, con la Virtus che negli anni ha faticato a trovare una casa stabile venendo rimpallata tra i vari stadi cittadini. Una situazione che ha contribuito alla disaffezione del pubblico, confuso dal continuo spostarsi della squadra fino all’inevitabile scomparsa.
Roma d’altronde non è mai stata una piazza facile, come sa bene Tonolli, dove l’entusiasmo è difficile da ottenere e quasi impossibile da mantenere. «Roma è una città che è abituata allo sport, dove ci sono due squadre di calcio e in ogni categoria ha un eccellenza. Quindi il tifoso o l’amante dello sport a Roma ha molta scelta e questo porta alla dispersione». Come provare a far bollire l’acqua in una pentola troppo grande, così creare un senso di comunità in una città di tre milioni di abitanti può sembrare uno spreco di energie.
«Io sono di Mantova, una città di 70.000 abitanti in cui c’è la Seria A2. È logico che per un giocatore è più facile vivere una cittadina rispetto a una città come Roma in cui quando vai in giro non senti l’attenzione della città sulla squadra». Non è un caso infatti se i migliori risultati nel basket professionistico italiano degli ultimi anni siano arrivati da realtà locali come Sassari, Trento o Reggio Emilia. «Mi ricordo quando andavamo a giocare ad Avellino il palazzetto era pieno, o a Roseto degli Abruzzi: sono città in cui il basket è l’unico sport locale e quindi viene supportato dall’intera popolazione».
Una situazione diversa da quella romana, dove il pubblico si presenta solo per i grandi appuntamenti, quando può tirar fuori il completo buono. «A Roma il problema è stato quello che il tifoso veniva allo stadio quando c’erano le partite importanti o quando iniziava la fase calda dei playoff. E quindi riempivamo il palazzetto nelle semifinali e, quelle due volte che le abbiamo fatte, quando abbiamo giocato le finali. Però prima abbiamo sempre faticato, sempre se parliamo di una città che ha 3 milioni di abitanti. Quando giochi una finale e riempi il PalaLottomatica con 13.000 persone ti dici “e questi dove sono stati fino ad adesso?”».
Tonolli romano di Mantova
Dalle parole di Tonolli trasuda però un amore per la città eterna che esiste solo in chi ci è arrivato da fuori e l’ha scelta come propria casa. «Come fai a non innamorarti di Roma? Ma voi siete romani, vedete i lati negativi. Sicuramente è una città difficile, ma quando vai in giro dici: “Roma è Roma”» esclama nei miei confronti.
«Io qualche opportunità di andare via l’ho avuta, però c’è sempre stato questo amore, a prescindere dalla Virtus, anche per la città. Da mantovano che ha giocato a Brescia prima di venire qua, che era proprietà di Corbelli, il quale quando si fece male (Donato) Avenia invece di prendere un altro giocatore portò un giovane di belle speranze. E quindi immagina: da mantovano arrivo in questa città bellissima, grandissima. All’inizio ho avuto la fortuna di andare prima in foresteria, quando ancora c’era a Montesacro: ho vissuto la città insieme ai miei coetanei».
Un amore paragonabile solo a quello per la pallacanestro. «Io giocavo a calcio, facevo il terzino e un allenatore di Mantova faceva il giro delle palestre per cercare dei ragazzi alti. Ero in seconda media e mi chiese se volevo venire a provare, a me comunque piaceva lo sport dico “Vabbé, vado a provare”. Faccio un allenamento, il giorno dopo vado da quelli del calcio e gli dico che mollo. È stato amore a prima vista. Poi ho avuto la fortuna che questo amore è diventato il mio lavoro. Da quando ho preso la palla in mano e ho fatto i primi palleggi si è aperto un mondo».
Un mondo che non si è certo chiuso una volta che ha deciso di togliersi per l’ultima volta le scarpe alte di gomma il 24 maggio 2014 dopo una partita contro Cantù. «Il basket è la mia vita, ho veramente vissuto in funzione del basket», ma è proseguita prima come allenatore alla HSC Roma e ora in Virtus 1960.
«I ragazzini che alleno non guardano il miglior difensore, vogliono assomigliare a quello che fa 40 punti a partita. Sto cercando di insegnargli a pensare più al campo e meno al tabellino, perché i punti non sono l’unica cosa che conta». E chi meglio di Tonolli può raccontare alle nuove generazioni il senso del lavoro, il costo del sacrificio. «Mi prendo come modello, è il valore aggiunto che posso dare. Ho fatto una carriera difendendo forte e prendendo i rimbalzi, avevo davanti giocatori di maggior talento ma la serietà che ho messo quotidianamente nei miei allenamenti alla fine ha pagato».
Tonolli ha sempre rappresentato l’idea platonica del professionista, del solerte lavoratore che ascolta prima di parlare. Un profilo nordico, quasi straniero in questa città dove tutti hanno un'opinione e si sentono in dovere di esprimerla. E la sua natura protestante si riflette nelle metafore che usa: «Per costruire un palazzo non devono essere tutti muratori, non devono essere tutti architetti, non devono essere tutti geometri. Ci deve essere il muratore, l’architetto e il geometra: questa è la funzione del gruppo».
La cerimonia del ritiro della storica maglia numero 8.
Per oltre 20 anni è stato la malta che ha tenuto insieme una squadra che ha vissuto picchi altissimi e fragorose cadute, diventando anche il tramite tra le tribune e il campo. «Come ti rapporti in maniera onesta in campo, così devi fare anche con i tifosi, nel bene o nel male. Anche quando si perde ci devi mettere la faccia. Dopo anni diventi un amico, un confidente».
Tifosi storici che sperano di veder presto tornare la Virtus ai livelli che le competono e già chiedono come seguire la nuova squadra del loro vecchio capitano. «Ci hanno già chiesto biglietti e abbonamenti ma in C Gold si entra liberamente. Ci ha fatto sorridere perché sono abituati in un modo, ma hanno preso con interesse questa nuova avventura».
C’è entusiasmo e voglia di ripartire dopo l’assurda fine della Virtus Roma e nessuno come Alessandro Tonolli può garantire quella serietà, quell’impegno e quel sudore necessari per costruire un progetto vincente. Prima di chiudere questa lunghissima chiacchierata mi lascia con un’altra metafora dal sapore dolceamaro della fatica: «Se dobbiamo legare ad una frase tutto quello che ti ho detto è: stringere i denti oggi per poi sorridere domani». I tifosi della Virtus e tutti i romani sperano che quel giorno arrivi il prima possibile.