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La vittoria dell'Inghilterra è una buona notizia per il calcio femminile
02 ago 2022
Un successo arrivato alla fine di un percorso che ha coinvolto il calcio inglese a tutti i livelli.
(articolo)
9 min
(copertina)
Shaun Botterill/Getty Images
(copertina) Shaun Botterill/Getty Images
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Chloe Kelly corre sul campo di Wembley dopo aver segnato il gol decisivo, iconica in top sportivo e con la maglia che svolazza per aria davanti ad una folla di 87 mila persone: è l’istantanea di una partita arrivata ai supplementari, che dopo 110 minuti regala il titolo di campionessa d’Europa all’Inghilterra. Per un attimo era pure sembrato che la Germania potesse farcela a portare a casa questo nono titolo europeo, e con questo a scongiurare una sconfitta in finale dopo un periodo buio - quasi dieci anni fuori dal calcio che conta dopo essere stata una delle prime della classe per decenni. Ma alla fine sono state le padrone di casa a trovare il guizzo e Kelly alla fine ha legittimato la definizione data dal Guardian di giocatrice “decisiva che non ha quasi mai messo piede in campo”.

In parte la vittoria delle "leonesse" riscatta il dramma dell'anno scorso sempre a Wembley, e infatti è stato festeggiato dalle prime pagine di tutti i quotidiani del giorno dopo come “la fine degli anni di dolore”, cioè i 56 anni che separavano l'Inghilterra dall'ultimo trofeo internazionale, il Mondiale del 1966.

Come in ogni finale che si rispetti il gioco è stato equilibrato, tirato, a tratti pure noioso nel primo tempo. La prima volta che si è rotto l'equilibrio è stato intorno al minuto 62, quando Ella Toone lanciata in contropiede da Keira Walsh ha sorpreso la portiera tedesca Frohms con un bellissimo pallonetto.

Fino a quel momento la Germania era mancata di concretezza a livello offensivo. Secondo l'account xG Philosphy, alla fine dei 90 minuti la Germania avrà prodotto più del doppio di Expected Goals rispetto alle avversarie: 1.76 contro 0.72. Con Alexandra Popp infortunatasi durante il riscaldamento e Lea Schüller che non è mai davvero entrata in partita, Miss Voss-Tecklenburg è stata costretta nel secondo tempo a calare la carta Tabea Wassmuth, attaccante che fino a quel momento non era stata quasi mai utilizzata. La scelta, però, è stata azzeccata: suo è stato l’assist per Lina Magull, che al 79esimo è riuscita a riportare in equilibrio una partita che l’Inghilterra stava conducendo forse immeritatamente.

La gara procede un po’ più stanca nei supplementari. Le giocatrici si fanno più caute, le scelte più ponderate, e ci vuole un mischione in aria con una palla piovuta da un calcio d’angolo affinché Kelly trovi la zampata decisiva per portare a casa il titolo. Di fronte a quello spettacolo lei stessa sembra incredula: dopo il gol si gira verso il centrocampo e inizia a correre, togliendosi la maglietta dopo un attimo di incertezza. Ma è tutto vero. Fra le varie Mead, White, Russo – tutte attaccanti più quotate prima dell'inizio dell'Europeo – è toccato in sorte proprio a lei, cioè alla giocatrice che non ha quasi mai messo piede in campo, di lasciare il segno sulla gara più importante di tutte. Eroina inaspettata, come si rispetta nei migliori tornei.

La Germania torna a mani vuote, con un po' di sfortuna. La squadra di Voss-Tecklenburg ha perso la sua migliore giocatrice a pochi minuti dall'inizio in campo. Alexandra Popp fino a quel momento si era dimostrata fisicamente devastante per le avversarie. Placcare la sua esuberanza offensiva è stato impossibile pressoché per ogni squadra che la Germania si è trovata di fronte. Orfana della sua attaccante più influente, la Germania non ha trovato una sostituta all’altezza. Lea Schüller che ha sofferto la difesa inglese a più riprese e ha fatto mancare alla sua squadra soprattutto la presenza fisica in area sulle palle alte.

Forse non è stato un caso se il titolo l’ha portato a casa una delle poche squadre che non ha mai avuto un problema fisico. È stato un Europeo funestato da diversi infortuni, dalle rotture di crociati di giocatrici importanti come Putellas e Katoto, fino alle numerose defezioni a causa del Covid. La fortuna, in questo senso, ha giocato un ruolo determinante.

L'importanza delle allenatrici

La vittoria dell'Inghilterra era stata prevista da uno studio diffuso da Gracenote, una società di proprietà di Nielsen che si occupa di analisi di sport e media. Da questo studio l’Inghilterra era emersa come la squadra favorita per la vittoria campionato, con un 22% di possibilità di aggiudicarsi il titolo, prima della Svezia, 18%, la Francia, 15%, i Paesi Bassi, 12%, e infine la Germania con l'11%. Delle prime cinque squadre classificatesi in questo studio, quattro sono quelle che sono arrivate in semifinale. Da una parte Germania e Francia, dall’altra Svezia e Inghilterra: quattro squadre che potrebbero essere addirittura divise in due correnti filosofiche. Da una parte la ricerca dell'armonia di gioco di Francia e Svezia, dall’altro la concretezza di Inghilterra e Germania. Da questo punto di vista, Inghilterra e Germania devono molto del loro arrivo in finale alla rispettive allenatrici. Forse Francia e Svezia avevano più talento, ma sia Martina Voss-Tecklenburg che Sarina Wiegman hanno dimostrato di saper gestire al meglio i loro organici e soprattutto le partite.

Voss-Tecklenburg era stata chiamata al ruolo arduo di rimettere in piedi la corazzata calcistica tedesca che, dopo otto titoli europei, negli ultimi anni sembrava ormai definitivamente lontana dagli antichi splendori. Nel giro di poco ha riorganizzato l’organico a partire da talenti cristallini e giovani come Lena Oberdorf e Jule Brand che sono stati innestati al fianco di giocatrici esperte e decisive come Alexandra Popp, Marina Hegering e Svenja Huth. È grazie a lei se le previsioni che vedevano le tedesche come possibili protagoniste di questo campionato si sono poi realizzate.

Anche per l'Inghilterra si può dire lo stesso: è Sarina Wiegman la vera mano invisibile della vittoria del titolo. Assoldata poco meno di undici mesi fa dalla federazione inglese, l’allenatrice che aveva già vinto lo scorso europeo a capo della formazione olandese, ha cambiato il volto di un’intera squadra portandola da formazione mediocre a squadra imbattuta nelle ultime venti partite. Wiegman ha saputo cucire un ruolo perfetto per Beth Mead, eletta poi miglior giocatrice dell’Europeo, ed è riuscita ad inserire gradualmente la stellina Alessia Russo senza pestare i piedi a nessuno. Adesso le "leonesse" si ritrovano con un'altra attaccante prolifica da affiancare a Hemp, White e Mead.

Alessia Russo ha anche segnato il gol più bello di questo Europeo.

Non si può dire lo stesso per quanto riguarda la Francia che, pur perdendo Marie-Antoinette Katoto nella seconda partita dei gironi per una rottura del crociato, aveva comunque l'organico più forte di tutto il torneo. Nonostante questo, le transalpine sono sembrate sfaldarsi a mano a mano che il livello delle gare si alzava. Qualcuno ha ipotizzato che ci fossero dei problemi di spogliatoio, incomprensioni fra l’allenatrice Corinne Diacre, glaciale e sempre impeccabile nelle sue uscite in panchina, e alcune giocatrici della squadra. Già lasciare a casa una giocatrice necessaria come Amandine Henry aveva rotto qualcosa, forse anche dentro lo spogliatoio, ma dopo la vittoria devastante per 5-1 contro l’Italia sembrava tutto ormai alle spalle. La Francia ha fatto della fisicità, e in particolare della velocità delle giocatrici di fascia, Selma Bacha e Delphine Cascarino su tutte, il suo marchio di fabbrica, al punto di essere spesso incontenibile per per le avversarie. L'infortunio di Katoto è sembrato aprire una crepa irreparabile. Intanto la sua assenza è stata decisiva tatticamente, perché la Francia non è riuscita a trovare un'attaccante altrettanto capace di muoversi in area e di creare spazio per Malard, Diani e Geyoro. La Francia è riuscita a tenere botta fino alla semifinale, anche se la vittoria di misura su rigore contro l’Olanda aveva già messo in luce la fatica a segnare contro squadre di un certo livello. Martina Voss-Tecklenburg, però, ha capito quali erano i punti di forza rimasti, e si è concentrata sulla neutralizzazione del gioco delle giocatrici di fascia francesi con un pressing che schermato le linee di passaggio verso gli esterni. Una volta venuto meno il flusso di palloni per l’attacco francese, la Francia non è sembrata in grado di reggere le transizioni della squadra tedesca.

Tra le prime quattro squadre sono arrivate le squadre che effettivamente sin da subito si sono dimostrate più forti e preparate. Con l'unica eccezione dell'Inghilterra, si tratta di squadre con una lunga tradizione di calcio femminile, che sono arrivate a questo Europeo con all’attivo già diverse finali internazionali disputate e quindi con una certa familiarità con la gestione della pressione e delle energie necessarie ad affrontare un campionato intenso come questo. In questo si è vista una certa differenza con squadre anche talentuose, come l'Olanda o la Norvegia, ma meno pronte, fisicamente e mentalmente. È stata quindi la conferma delle grandi scuole del calcio europeo che magari si è configurato attraverso volti nuovi: Alessia Russo, Lena Oberdorf, Marie Antoniette Katoto finché c’è stata. Per l'affermazione di nuove squadre, chissà magari anche per quell'Italia che esce da questo Europeo con le ossa rotte, bisognerà aspettare l'anno prossimo, quando in Australia, per il Mondiale, sono sicura che le inglesi proveranno a vincere di nuovo, forti di Sarina Wiegman.

E adesso?

Le conseguenze di questo Europeo sono racchiuse in un numero e in un’immagine. Il numero è il consueto record di spettatori e spettatrici sugli spalti a cui il calcio femminile ha abituato il pubblico nel 2022. La finale di Wembley ha visto la presenza di oltre 87mila persone dopo che i biglietti erano andati sold out nel giro di pochi minuti quando erano stati messi in vendita ad aprile. Secondo l’UEFA la finale di Euro22 è il match con più pubblico nella storia delle finali di un campionato europeo – femminile e maschile. Fuori dallo stadio la partita è stata seguita da un’audience totale di 17,4 milioni di persone in tutto il mondo.

L’immagine invece fa riferimento al gol di tacco di Alessia Russo contro la Svezia, una prodezza che unanimemente è stata definita come il gol più bello dell’Europeo e che è stata esaltata su Twitter anche da Sam Kerr. Il gol di Russo e l’hype che ne è conseguito (il video del gol è stato uno dei più condivisi sui social nelle ore immediatamente successive alla gara) è l'ennesimo segno, senza che ce ne fosse bisogno, di un seguito che il calcio femminile ha maturato negli ultimi dodici mesi. Anche politicamente il calcio femminile sembra aver assunto una nuova rilevanza. A inizio della scorsa settimana il leader dei Laburisti, Keir Starmer, ha proposto una settimana corta di lavoro se l’Inghilterra avesse vinto la finale, perché “tutta l’Inghilterra avrebbe tifato per le Leonesse”. E in effetti pare proprio che sia stato così. Le foto delle piazze gremite di persone, i boati dello stadio quando Kelly ha segnato il gol del vantaggio, l’entusiasmo che ha preceduto e accompagnato tutta la manifestazione sono buoni segnali. Stamattina i giornali inglesi parlavano di questo titolo come una panacea e una consolazione per un mancato trofeo dal Mondiale maschile del 1966. Una scelta comunicativa che sottintende la messa sullo stesso piano del calcio maschile e femminile e che dopo questo risultato sembra più legittima che mai.

La vittoria dell'Inghilterra comunque deve essere di insegnamento, perché arriva alla fine di un percorso fatto di investimenti, pubblico affezionato, e di una stampa che sa come raccontare un fenomeno calcistico anche su un piano sociale e senza preconcetti fastidiosi.

La ricetta di questa vittoria non è stato solo nel calcio giocato, ma anche in un sistema che si è messo in moto in maniera organica su più piani. Perché non vince per forza il più forte, ma spesso il più organizzato, quello con le idee più chiare su come remare tutti nella stessa direzione.

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