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L'incredibile caso Vukov-Rybakina apre molte questioni
04 mar 2025
La WTA ha un problema con gli allenatori.
(articolo)
15 min
(copertina)
Foto IMAGO / Xinhua
(copertina) Foto IMAGO / Xinhua
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C’è sempre stata un’aura di malinconia intorno a Elena Rybakina. Un indizio che ci sono cose, nella costruzione di una campionessa, che non sappiamo e non si possono sapere. Perlomeno di questa campionessa nello specifico. Segreti che non è riuscita a custodire e ora prova a difendere dal giudizio pubblico, visto come un’ingerenza. Di giornalisti, commentatori, tifosi, allenatori, colleghe, genitori e sorella. Sono tutti ugualmente agenti esterni. Cospiratori, prevaricatori che non sanno la verità e la costringono a un isolamento vorticoso e serrato. Un isolamento iniziato, probabilmente a sentire lei, il 3 gennaio, quanto è uscita la notizia della sospensione dalla WTA di Stefano Vukov, il suo allenatore.
Per altri, invece, è iniziato molto prima.

CHI È STEFAN VUKOV
Vukov, oggi trentasettenne, è nato e cresciuto. È stato un tennista professionista, poco e male. Si è ritirato a ventidue anni e ha iniziato ad allenare atlete: Sachia Vickery, Renata Zarazúa e Anhelina Kalinina. Sappiamo oggi che esiste perché nel 2019 ha iniziato a lavorare con l’allora ventenne (tra i due ci sono dodici anni di differenza) Elena Rybakina: lei era una promessa dello sport e lui poco ortodosso.

Nel 2020, in un’intervista per il sito della WTA – che letta con la consapevolezza di oggi fa partire tutti i campanelli e pure tutte le campane di Roma in allarme – aveva definito il suo un lavoro da «ventiquattro ore al giorno», almeno finché la giocatrice non diventa «più autonoma». Poi, continuava: «Devi sapere quando provocare il tuo giocatore. So molto bene come far arrabbiare Elena, per farla partire. È una cosa che mi ha aiutato con lei, con il successo. Qualche volta forse le persone possono dire che sto troppo in campo a fare coaching, ma so come svegliarla. È un po’ in competizione con me. Abbiamo questa piccola dinamica. So che tasti premere per farla andare in certi momenti del match».

I modi che Vukov aveva per “svegliarla” ci avevano messo poco per farsi notare nel circuito. Nel 2023, durante la semifinale degli Australian Open contro Viktoryja Azarenka, Laura Robson, commentatrice di Eurosport, aveva definito il croato «negativo», per poi aggiungere «non so come lei riesca ad avere a che fare con il coach». Due giorni dopo, mentre era in corso la finale contro Aryna Sabalenka, Pam Shriver (ex tennista, ora commentatrice e allenatrice di Donna Vekić) aveva twittato: «Mentre guardo Rybakina che cerca di vincere il suo secondo major in sette mesi, spero che trovi un coach che le parli e la tratti con rispetto in ogni momento e non accetti mai niente di meno».

Rybakina, che stava vivendo uno dei periodi migliori della sua carriera, si era sentita in dovere di intervenire con un post su Instagram in difesa di Vukov: «Dopo un ottimo AO, ho visto dei commenti disturbanti sui social media a proposito del comportamento del mio coach. Stefano ha creduto in me per molti anni, prima di chiunque altro. A differenza delle persone che fanno questi commenti, mi conosce molto bene come persona e come atleta. Chi mi conosce sa che non accetterei mai un coach che non rispetta me o il mio duro lavoro». Rennae Stubbs (ex tennista e allenatrice) ha raccontato nel suo podcast un episodio risalente a qualche anno fa: «Vukov voleva denunciarmi per aver detto delle cose su di lui che erano vere. […] E non ho mai detto nulla sul fatto che la abusasse. Ho solo detto che era molto negativo […] lui ha contattato la WTA e voleva denunciarmi per quei commenti». Stubbs ha anche aggiunto «io l’ho visto quando le urlava addosso, potevo essere uno dei testimoni (per l’indagine WTA su Vukov, ndr.)».

Rybakina aveva continuato a difenderlo ogni volta che era stato necessario e niente sembrava destinato a cambiare nel prossimo futuro. Poi, a tre giorni dall’inizio degli Us Open 2024, la kazaka aveva annunciato a sorpresa con una storia su Instagram la fine della collaborazione tra i due.

L'ARRIVO DI IVANISEVIC, IL RITORNO DI VUKOV E LA SOSPENSIONE
Licenziare un allenatore alla vigilia di uno Slam è una scelta strana e la separazione improvvisa tra Rybakina e Vukov non aveva fatto altro che alimentare ipotesi, compresa quella profetica che fosse stato sospeso. In ogni caso, era una buona notizia, diventata ottima quando ci fu l’annuncio che nel 2025 il nuovo allenatore sarebbe stato Goran Ivanišević.

Le prospettive erano entusiasmanti. Si trattava del ritorno post-Djokovic per il croato; sarebbe stata la prima donna a lavorare con lui. La sensazione era che che la kazaka fosse in un momento difficile della carriera.

La seconda parte della stagione 2024 Rybakina l’aveva passata da latitante, assente per generici infortuni. Il 2025 però sarebbe stato diverso: lo avrebbe affrontato con uno spirito diverso e soprattutto un allenatore diverso. «Ciao a tutti, sono felice di annunciare che Stefano si unirà al team per la stagione 2025. Grazie a tutti per il supporto. E vi auguro un buon 2025».

Rybakina aveva deciso di affidare ancora una volta a una storia su Instagram la comunicazione di uno spostamento dell’asse terrestre, il ritorno di Vukov. Un avviso telegrafico a capodanno che aveva colto tutti alla sprovvista, a partire da Ivanišević – come sappiamo oggi. In pochi secondi, la bella storia che poteva essere, era diventata triste.

Solo due giorni dopo, il 3 gennaio, è arrivata la notizia della sospensione preventiva di Vukov. La WTA ha mantenuto un certo livello di segretezza su tutta la questione, il che non faceva che alimentare la curiosità. Vukov, che è abituato a lasciare a Rybakina il compito di difenderlo, si era limitato a rispondere con un messaggino all’Athletic: «Di sicuro non ho mai maltrattato nessuno».

Poi c’era Ivanišević: sapeva del ritorno del vecchio allenatore? Che ne pensava della sospensione? Sarebbe rimasto? In questa situazione – definita dal croato più famoso dei due solo «molto strana» – Rybakina era al centro, infelice e completamente impotente di fronte al divieto di scegliere il coach che voleva e alla difficoltà di far restare quello che le era rimasto. Come era prevedibile, Ivanišević aveva aspettato solo la sconfitta della kazaka agli ottavi di finale degli Australian Open e se ne era andato. Anche lui si era affidato a una storia su Instagram: «Dopo il periodo di prova, finito con l’Australian Open, auguro a Elena e il suo team il meglio per il futuro».

In meno di un mese, la collaborazione con l’allenatore delle star era finita con fretta e imbarazzo e la venticinquenne era tornata al punto di partenza: sola con Vukov. Il 31 gennaio Portia Archer, CEO della WTA, aveva comunicato ai diretti interessati che le indagini erano concluse: sospensione di un anno confermata per violazione del codice di condotta e obbligo di seguire un corso di formazione.

Quali erano queste violazioni?

«Abuso di autorità e condotta maltrattante nei confronti della giocatrice WTA, incluso il compromesso o il tentativo di compromettere il benessere psicologico, fisico o emotivo della giocatrice; abuso fisico e verbale della giocatrice; e sfruttamento della propria relazione con la giocatrice per ulteriori interessi personali e/o commerciali a scapito del miglior interesse della giocatrice».

LE RIVELAZIONI DI THE ATHLETIC
Il 18 febbraio, oltre un mese dopo l’inizio della sospensione preventiva di Vukov, è uscita una lunga inchiesta di The Athletic intitolata “La ‘relazione di dipendenza’ tra un allenatore bandito e una campionessa di Wimbledon”. Per tutto il processo la WTA era stata volutamente vaga sulla natura dell’abuso subito dalla tennista. Ora, abbiamo tutti i dettagli più intimi e segreti. Sappiamo che lui l’aveva perseguitata in hotel a New York prima degli Us Open, quando lei aveva deciso di chiudere i rapporti. Lei aveva fatto cancellare la sua stanza e lui era rimasto nella lobby dell’albergo per ore ad aspettarla, attaccato al telefono (oltre cento chiamate).

Sappiamo che la madre di Rybakina aveva spedito una mail a Vukov chiedendogli di non far più piangere la figlia e lui per ritorsione aveva lasciato la venticinquenne sola al torneo successivo. Sappiamo che le lanciava palline addosso. Sappiamo che i maltrattamenti erano tali da avere ripercussioni fisiologiche sulla sportiva, che soffriva di insonnia. Al torneo di Cincinnati non dormiva da talmente tanto che non riusciva a tenere traccia del punteggio e dovevano dirle da che parte servire. Sappiamo che la umiliava costantemente, che le diceva che era “stupida”, “ritardata”, che senza di lui, lei sarebbe stata in Russia a raccogliere patate. Sappiamo che lei ci crede. Sappiamo che dormono nello stesso letto. Rybakina nel frattempo continua a rivendicare che non è stata lei a denunciarlo, Vukov non l’ha mai trattata male e nessuno la ascolta.

Ivanišević se n’è andato, ma lei sostiene che la decisione è stata presa di comune accordo – cosa smentita dall’inchiesta dell’Athletic – e lavorare con lei non è così facile come si potrebbe pensare. Ora, al posto dell’ex allenatore di Djokovic, c’è Davide Sanguinetti – che lei non conosceva molto bene ed è stato voluto da Vukov. Nonostante il buon curriculum, Sanguinetti sembra essere stato assunto solo come intermediario nei luoghi dove il croato non può più entrare. Vukov intanto aspetta che i dodici mesi passino. Non parla, ma sembra diventare ogni giorno più presente e ingombrante. Occupa virtualmente lui tutti i posti vacanti nel team della tennista, che ogni giorno sembra perdere un nuovo pezzo. Prima se n’è andato l’agente, poi il preparatore atletico. Rybakina, a detta delle persone che le sono vicine, è sempre più isolata.

IL NUOVO CODICE DI SALVAGUARDIA DELLE TENNISTE
La vicenda di Rybakina non è isolata, ma solo quella più nuova e di spicco. Del resto, il rapporto atleta-coach è totalizzante (come piaceva dire a Vukov, un lavoro da ventiquattro ore al giorno) e naturalmente sbilanciato, quindi insidioso.

Negli anni ci sono stati innumerevoli casi di abusi, più o meno sommersi e noti, ai danni di tenniste da parte di allenatori padroni/predatori. Situazioni spesso note tra gli addetti e bisbigliate tra gli spettatori, che emergevano troppo tardi per poter essere bloccate in tempo. L’aspetto che rende questa vicenda diversa dalle altre, è che per una volta le denunce non sono cadute nel vuoto, anche grazie all’introduzione di nuove misure da parte della WTA.

Nel 2023 – che nella nostra linea degli eventi è anche l’anno in cui il caso Vukov ha iniziato a suscitare più commenti e sospetti – l’Associazione del tennis femminile ha creato una nuova figura: la director of safeguarding. La prima ad assumere il ruolo è stata Lindsay Brandon. L’avvocata ha spiegato che per salvaguardia si intende la difesa dagli abusi emotivo e fisico e non riguarda solo il rapporto coach-atleta – anche se è storicamente il più problematico. Oltre a gestire le indagini esistenti della WTA sulle segnalazioni ricevute, l’obiettivo (raggiunto a dicembre 2024 nei tempi sperati) era quello di creare un codice di condotta apposito e separato. Le nuove norme si applicano a tutte le persone accreditate dalla WTA.

Steve Simon (nel 2023 CEO e oggi presidente della WTA) ha commentato così la novità ad Associated Press: «La salvaguardia è sfaccettata e più forte quando tutta la popolazione è educata, coinvolta e si attiene allo stesso standard. Il nostro focus è quello di assicurarci che le giocatrici sentano di potersi fare avanti e condividere le loro preoccupazioni». A dimostrare la necessità della misura, da subito «più atlete si stanno facendo avanti», ha concluso Simon.

Una riforma imprescindibile, velocizzata – se di velocità si può parlare – da una serie di scandali che aveva messo la WTA in difficoltà. Pochi mesi prima, a settembre 2022 Fiona Ferro, tennista francese con un passato da top 50 al mondo, aveva accusato il suo ex allenatore Pierre Bouteyre di stupro e violenza sessuale. Sempre nel 2022, ad aprile, Pam Shriver (che era stata tra le prime a denunciare pubblicamente Vukov) aveva raccontato sulle pagine del Telegraph della relazione inappropriata con il suo coach, Don Candy, iniziata quando Shriver aveva diciassette anni e lui cinquanta.

Prima ancora, a marzo la tennista Kylie McKenzie aveva organizzato una conferenza stampa per comunicare di aver citato in giudizio la US Tennis Association perché non l’aveva protetta da un allenatore, Anibal Aranda, che l’aveva molestata in uno dei training center USTA quando lei aveva diciannove anni (nel 2024 il tribunale ha riconosciuto a McKenzie nove milioni di dollari in risarcimento). Racconti nuovi di storie vecchie che non possono essere cambiate e si inseriscono in una lunghissima tradizione corale di ex adolescenti che hanno condiviso il loro trauma nella speranza di poter scrivere un finale diverso per le adolescenti del presente. Per anni le loro vite sono passate da scandalo a fattoide, senza che chi ne aveva l’autorità e l’obbligo facesse effettivamente qualcosa di concreto.

A novembre dell’annus horribilis – e quindi prima dell’istituzione del codice per il safeguarding – Steve Simon aveva elencato tutte le risorse che la WTA aveva già a disposizione: «Controlliamo le referenze dei coach. Abbiamo un programma di assistenza per le atlete. Abbiamo esperti di salute mentale che sono qui per aiutare se ci sono problemi emotivi. Abbiamo ogni genere di programma educativo. Abbiamo investigatori».

Però la cosa più importante che tutte devono imparare è che «ci dobbiamo aiutare da soli. Se lo vedi, lo devi denunciare. Dobbiamo lavorare con le nostre giocatrici e far sì che imparino a mettere paletti appropriati per loro e quello che è giusto e sbagliato». In pratica è compito delle donne giovani e giovanissime non farsi vittimizzare, secondo il presidente della più importante associazione di sport femminile al mondo. Simon – ora lo sappiamo – quando pronunciava queste parole sapeva da mesi della situazione di Rybakina. Un allenatore rimasto anonimo aveva segnalato un episodio che gli era sembrato fuori luogo: aveva visto Vukov puntare il dito in faccia alla kazaka, darle ripetutamente della stupida e dell’incapace. L’allora CEO della WTA aveva risposto subito, promettendo di seguire la vicenda, poi caduta nel vuoto per altri due anni. A una richiesta di commento dell’Athletic, Simon non ha risposto. Del resto non c’è da stupirsi che ci sia voluto così tanto tempo. Rybakina è una vittima imperfetta: si batte per il reintegro del suo allenatore universalmente riconosciuto come violento. Si lamenta che nessuna delle colleghe si sia schierata dalla sua parte, anche se dice di non averne bisogno: «Non ho amiche strette nel circuito. Siamo in competizione e tutte sono circondate dai loro team».

Il tennis in fondo è uno sport solitario. Un universo con tanti piccoli soli e sistemi di pianeti e satelliti che girano intorno, in numero proporzionale alla grandezza della stella. Rybakina, che si è fatta convincere da Vukov di essere satellite, si sta ritrovando con un sistema sempre più piccolo e concentrato su di lui. Secondo fonti dell’Athletic, la kazaka era pronta a boicottare l’intero circuito – e quindi a mettere a rischio il suo lavoro e i contratti di sponsorizzazione – per un uomo che, almeno secondo le ricostruzioni giudiziarie, la umilia da anni, la perseguita e le impedisce di progettare un futuro senza di lui.

Rybakina si è trovata nella situazione – dal suo punto di vista ingrata – di essere la paziente zero del nuovo sistema messo in piedi dalla WTA, che sembrerebbe tenere in considerazione l’esistenza di vittime inconsapevoli e imperfette, o se vogliamo essere precisi del grooming.

Shriver – che aveva solo diciassette anni nel 1979 quando ha avuto inizio la relazione sentimentale con il suo allenatore cinquantenne Don Candy – ha raccontato del suo percorso e di come «solo dopo la terapia ho iniziato a sentirmi un po’ meno responsabile. Ora, alla fine, mi sono resa conto che quello che è successo è responsabilità sua». L’ex tennista statunitense sentiva di non poterlo lasciare, anche per paura di trovarsi senza l’allenatore che credeva il migliore per lei: «La forza dei miei risultati mi rendeva solo ancora più spaventata. Se avessi terminato il rapporto professionale, che cosa sarebbe successo al mio tennis? Ero terrorizzata che il mio gioco se ne potesse andare».

Per Shriver – che nell’articolo parlava ancora di amore descrivendo il suo legame con Candy – ci sono voluti oltre quarant’anni per metabolizzare che quella era stata un’esperienza traumatica che aveva cambiato per sempre la direzione della sua vita. In questa triste storia, c’è almeno una microscopica buona notizia: non è importato, ai fini della sospensione di Vukov, che Rybakina rifiutasse di essere vittima di abusi. Un piccolo passo verso la direzione giusta per una meta lontanissima.

Bisognerà vedere, per esempio, se e quanto il nuovo codice di salvaguardia verrà applicato in contesti periferici. Rybakina è una vincitrice Slam e una top 10, la sua situazione era sotto gli occhi di tutti. Molti si erano accorti che qualcosa non andasse, troppi per essere ignorati. Quante giovani ragazze, sparse nei circoli e negli hotel di tutto il mondo, lontane continenti dalle famiglie, avranno lo stesso privilegio? Quante di loro sono viste da così tanti occhi?

Per decenni quello del tennis è stato un posto sicuro per molestatori e violenti. Le associazioni – maschile e femminile – sono state incapaci non dico di sradicare, ma quantomeno di affrontare un problema endemico di violenza sulle donne, che viene da dentro e da fuori. L’attuale numero 2 del mondo tra i maschi, Alexander Zverev, è stato accusato da due diverse donne di violenza domestica e non solo non ha avuto nessuna ripercussione, ma viene costantemente protetto da chiunque provi a tirare fuori l’argomento. Thiago Seyboth Wild nel 2021 ha ricevuto un’ordinanza restrittiva per maltrattamenti fisici e psicologici nei confronti della ex fidanzata; in Brasile il processo è ancora in corso, eppure l’ATP non ha ritenuto necessario approfondire. Nick Kyrgios, che compare spesso in foto e vignette promozionali del tour dall’alto delle sue tre partite in due anni, nel 2023 ha ammesso in tribunale di aver aggredito l’ex fidanzata. Ilie Năstase – che ha una lunga sezione “controversie” nella sua pagina Wikipedia e più della metà riguardano comportamenti e commenti inopportuni, violenti e razzisti nei confronti di tenniste – è stato celebrato nella scorsa edizione delle ATP Finals con un girone dedicato a lui.

Le tenniste, invece, denunciano costantemente dai loro profili social di ricevere insulti e minacce di stupro dai giocatori d’azzardo; sono inseguite e perseguitate da stalker, che arrivano fino a girare il mondo con loro; vengono affidate giovanissime a team di soli uomini che gestiscono ogni aspetto della loro esistenza. Uomini che spesso hanno solo qualifiche sportive, qualche volta anche cattive intenzioni. Ma non tutto è perduto, lo dimostra la storia che abbiamo raccontato: l’allenatore predatore e padrone è stato rimosso. E per adesso, per qualche giorno ancora, possiamo celebrare questa piccola, microscopica vittoria. Almeno finché non saranno passati dodici mesi. Poi, Stefano Vukov potrà tornare a sedersi nel box di Elena Rybakina.

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