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Quando Mazzarri salvò la Reggina da -11
21 set 2021
Il capolavoro dell'allenatore di San Vincenzo.
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Quando abbiamo iniziato a vedere Walter Mazzarri prevalentemente come un meme, e non più come un allenatore? È successo quando ammise di aver parlato a lungo con Guardiola dopo un Gamper, sostenendo di aver discusso di tattica e di essersi trovato sulle sue stesse posizioni parlando dei rispettivi modi di intendere il calcio? O quando uscì il suo libro, che si apriva proprio con quell’incontro con Guardiola al Camp Nou - «Eravamo due professori, due allievi, due professionisti. Due definizioni in sospeso, affamate di calcio e di sapere, vogliose di conoscersi e di scoprirsi. È stato un faccia a faccia di alto livello, un uno contro uno come sui campi da basket durante le partite della Nba. […] Là, nell’anfratto più intimo di uno stadio che è tana e rifugio per extraterrestri, non ho avuto paura. Mi sono sentito a mio agio, al posto giusto, calato dentro un vestito finalmente confezionato su misura» - oppure più avanti, quando non riuscì a prendere fino in fondo le redini di un’Inter più complicata da gestire rispetto a quanto avesse immaginato?

O forse quando uscì il suo video di presentazione al Watford, in un inglese sofferto e zoppicante? Daniele Manusia scrisse che non era facile «commentare questo video. Guardarlo senza ironia, mettere pausa e rifletterci, è persino doloroso». Probabilmente è solo una serie di cause che finisce per ammiccare alla causa bomberista: le gif di Mazzarri che si picchetta l’orologio, la foto di lui che addenta una bottiglietta d’acqua durante una partita tra Inter e Udinese. Momenti che ce lo consegnano più come macchietta che come allenatore.

Eppure, non più tardi di tre stagioni fa, prima del Covid e di tutto il resto, ha portato il Torino al settimo posto. Una squadra che, dal momento del suo addio, ha vissuto una stagione e mezza danzando sul baratro dell’incubo Serie B. Mancava solo lui al grande ritorno della pattuglia toscana sulle panchine di Serie A, l’estate ci aveva già restituito Allegri, Spalletti e Sarri. E così il Cagliari, al posto di un altro toscano come Leonardo Semplici, ha scelto Mazzarri. Uno che con il mare è sempre andato particolarmente d’accordo e che proprio in una delle tappe marittime del suo peregrinare aveva incastonato il suo capolavoro. Stagione 2006-07, dopo il maremoto di Calciopoli. C’era da portare in salvo un’imbarcazione in balia delle onde. L’anno della Reggina del -11.

Il processo, anzi, i processi

È il 7 agosto 2006 quando la Reggina viene deferita agli organi di giustizia sportiva. Il procuratore federale, Stefano Palazzi, mette sul tavolo l’articolo 6 (illecito sportivo). La contestazione della Procura deriverebbe da una serie di presunte condotte sleali, volte a condizionare l’operato arbitrale. Il presidente del club, Lillo Foti, è chiamato a rispondere anche dell’articolo 1 (violazione della lealtà sportiva). Nella relazione consegnata dal capo dell’Ufficio Indagini Francesco Saverio Borrelli, sono tre le partite della stagione 2004-05 incriminate, in base a delle intercettazioni tra Foti e l’ex designatore Paolo Bergamo. Quello che riguarda la Reggina è il secondo filone di indagine di Calciopoli, successivo a quello che coinvolge Juventus, Milan, Lazio e Fiorentina. La richiesta della procura è la retrocessione in Serie B con 15 punti di penalizzazione. A Spoleto, sede del ritiro amaranto, la reazione di Mazzarri, all’inizio della sua terza stagione a Reggio, non è propriamente serena: «Abbiamo concluso quel campionato a 44 punti, potevamo farne 50 e andare in Europa disputando l’Intertoto. Sono pronto ad andare davanti al Presidente della Repubblica Napolitano per testimoniare la nostra estraneità ai fatti».

Come se non bastasse, Foti è alle prese con il tentativo di mettere una pezza a un suo stesso autogol: dopo aver affermato, in un’intervista rilasciata a La Repubblica, di aver colmato i debiti societari con l’erario nel luglio del 2005 grazie al supporto di un istituto di credito di Crotone, è emersa infatti l’autocertificazione presentata dallo stesso Foti alla Covisoc il 30 giugno di quell’anno, nella quale garantiva di aver già coperto, entro i termini, l’esposizione nei confronti dell’erario. Il Bologna, che in quei giorni ha nel patron Gazzoni Frascara uno degli uomini più attivi d’Italia sul fronte Calciopoli, presenta in fretta l’esposto per ottenere l’ammissione in Serie A.

La difesa del club, sul fronte Calciopoli, smonta il piano accusatorio di Palazzi, ma rimangono le tante (undici) telefonate di Foti al designatore, pur senza mai chiedere trattamenti di favore: rileggendo i testi, però, c’è una frase che molti decidono di circolare in rosso. Prima della partita con il Brescia, del dicembre 2004, Foti contatta Bergamo e la risposta del designatore è: «Per domani tutto preparato, stai tranquillo». Preoccupante, certo, se non fosse che quel Reggina-Brescia è finito 3-1 per i lombardi. Per il patron, la Procura chiede 5 anni con proposta di radiazione. Già in primo grado, le richieste di Palazzi non vengono accolte, ma la Reggina subisce comunque il colpo di mannaia: 15 punti di penalizzazione da scontare in A nel campionato 2006-07 (con 2 anni e 6 mesi a Foti). In queste condizioni, neanche Mazzarri sembra credere alla salvezza: con l’asticella fissata a 40 punti, ne servirebbero 55 per salvarsi. Il tecnico arriva a dire che «così è quasi impossibile, in un certo senso è come non farci partecipare alla A». Ai blocchi di partenza del campionato di Serie A 2006-07, quella della Reggina è la seconda penalizzazione più pesante: la Fiorentina parte da -19, la Lazio da -11, il Milan da -8. La Corte Federale non cambia di una virgola la sanzione ai danni degli amaranto, ai quali non resta che sperare, a stagione in corso, in una mano tesa da parte della Camera di conciliazione e arbitrato del Coni.

Ma nell’estate 2006, chi è Walter Mazzarri? Da calciatore, era stato una di quelle promesse rimaste impantanate in un paragone troppo grande. Il punto di riferimento del giovane Walter era Giancarlo Antognoni: lo vedeva giocare e cercava di imitarlo, indossando la 10 della Fiorentina in Primavera. Qualcuno sosteneva che Mazzarri avesse addirittura mandato a memoria l’andatura del ragazzo che giocava guardando le stelle. Ma quando il termine di paragone è posto così in alto, anche solo avvicinarlo diventa complicato. Non arrivò mai a esordire con la maglia della Fiorentina, quella dei grandi: «Non ho mai avuto il coraggio di farli giocare insieme, forse Mazzarri è stato una mia vittima», dichiarò anni più tardi Giancarlo De Sisti, che di quei viola era l’allenatore. «Le etichette – ricorda invece Mazzarri – non mi sono mai piaciute. L’ho vissuto sulla mia pelle: dicevano che ero come Antognoni, è stata la mia croce». I sogni di gloria del Walter calciatore si erano spenti presto, ma a 35 anni aveva ricevuto la chiamata di Renzo Ulivieri per averlo nello staff tecnico del Bologna prima e del Napoli poi. Quindi l’Acireale, chiamato a stagione in corso, e il debutto da allenatore “in prima”. E poi la Pistoiese e la promozione in Serie A con un Livorno stellare, i cinquantadue gol della coppia Lucarelli-Protti, un sogno a occhi aperti. In una B extralarge dopo il caso Catania, con cinque slot (più uno, catturato dalla Fiorentina nello spareggio incrociato con il Perugia) per salire in A, i labronici avevano recitato da protagonisti e il calcio di Mazzarri aveva iniziato ad assumere un’eco nazionale. Era quindi arrivata la chiamata della Reggina, con due salvezze consecutive prima del maremoto. E in estate, nel mezzo della tormenta, va in scena un passaggio fondamentale, che è comune alla storia di tanti gruppi che si sono compattati sull’esaltazione che può nascere dalle difficoltà. Prende tutti da parte e pronuncia poche e semplici parole: «Chi non se la sente, può andare via». Mazzarri tratta quel gruppo con estremo rispetto, lasciando che lo spogliatoio, settimana dopo settimana, si faccia forza. Gli concede minuti di riservatezza totale, spazi di confronto nei quali non sente il bisogno di interferire.

La stagione

In uno scenario caratterizzato da un pessimismo dettato dalla penalizzazione, la società sul mercato si muove poco, pochissimo. Salutano la compagnia Vigiani, un fedelissimo di Mazzarri, che torna alla base a Livorno; Ciccio Cozza, che il Siena aveva parcheggiato a Reggio Calabria nel tentativo (riuscito, 9 gol per lui) di vederlo rifiorire; Paredes, che dopo quattro stagioni riceve la chiamata dello Sporting Lisbona; Biondini, scelto dal Cagliari; e Ivan Franceschini, ceduto al Torino. La difesa viene quindi puntellata con l’arrivo di Aronica – l’incontro con il nuovo tecnico gli cambierà la carriera – e la decisione di dare più responsabilità a Lanzaro; a centrocampo la scommessa è il rilancio di Daniele Amerini, che come Mazzarri aveva dovuto convivere con qualche aspettativa di troppo ai tempi del vivaio viola; in attacco, invece, il tecnico decide di scombinare i piani. Dopo una stagione giocata con Nick Amoruso riferimento offensivo e Cozza a girargli intorno – per un più che discreto bottino di 20 gol in due – nel classico 3-5-2 di stampo mazzarriano, ora l’allenatore toscano ha un’idea diversa. Dal mercato non è arrivato granché e allora il lavoro si concentra su Amoruso come seconda punta e sull’inserimento in pianta stabile di Rolando Bianchi come centravanti: per avere un dato di riferimento, nella stagione precedente era partito solamente tre volte da titolare, anche a causa di un grave infortunio al ginocchio.

Sembrano le mosse di una società già rassegnata alla retrocessione, che cerca solamente di tirare a campare. I risultati e le prestazioni del precampionato sembrano scritti da uno sceneggiatore ubriaco, perché la Reggina tiene testa al Real Madrid, perdendo solamente 1-0 contro i campioni allenati da Capello, ma crolla contro la Cisco Roma, formazione che milita in Serie C2, presa per mano da un trentottenne Paolo Di Canio. La prima di campionato assume i contorni di un incubo, ma è da lì che dobbiamo partire, obbligatoriamente, per capire tutto il resto. Dopo 27 minuti, la Reggina è sotto 3-0 a Palermo. Ha subito due gol incredibili prima del rigore del 3-0 di Corini: una rovesciata di Mark Bresciano e il colpo dello scorpione di Beppe Biava, onestissimo difensore ma difficilmente catalogabile come goleador spettacolare.

Per la prima di campionato, Mazzarri vara il doppio centravanti solamente nella ripresa, quando è sotto 3-1: è proprio Amoruso a firmare, di testa, l’assist per la seconda rete di Bianchi.

Nella reazione della Reggina, nella tripletta di Bianchi che in un colpo solo eguaglia il numero di gol che aveva messo insieme fino a quel momento in Serie A, si inizia a vedere un bagliore. È una luce ancora fioca, quella che si fa strada negli occhi dei giocatori di Mazzarri, e viene spenta da un’uscita terrificante di Pelizzoli che consente ad Amauri di trovare la rete della tranquillità. Ma si è vista, e tanto basta per immaginarsi un futuro diverso. L’uomo nuovo della Reggina è dunque Rolando Bianchi, che viene in fretta ribattezzato dalla stampa, con rara pigrizia, Ronaldo Bianchi. Il suo nome, quello vero, lo deve alla Chanson de Roland di Turoldo, scelta raffinata della mamma. Ha un passato da ragazzo prodigio, con chiamate declinate in adolescenza da Newcastle e Arsenal pur di rimanere nel vivaio florido dell’Atalanta, e un presente carico di dubbi: sembra l’ennesimo prodotto del calcio italiano incapace di fare il salto dalla Primavera ai massimi livelli. Quando gli chiedono se i giovani calciatori sono viziati, incassa il colpo con un pizzico di rabbia: «Penso sia un luogo comune, molti di noi hanno fame e voglia di emergere. Ci servono solamente fiducia e un po’ di pazienza».

È ancora lui, stavolta con un colpo di coscia in tap-in, al 93’, a regalare la prima vittoria alla Reggina alla seconda di campionato, contro il Cagliari. Il derby dello Stretto se lo porta a casa il Messina di Riganò ma la squadra è viva e lo dimostra alla sesta giornata, quando batte la Roma 1-0 in un Granillo ricolmo d’amore. Mazzarri sbraita e si agita per 90 minuti sotto una pioggia incessante e indossando una giacca che pare uscita dal kit tecnico di una squadra di Terza Categoria, la sua Reggina ha già una forma diversa rispetto a quella che aveva immaginato: Amoruso è sempre in campo con Bianchi ma non in un piatto 3-5-2. L’ex Juventus parte un po’ più dietro, così come Leon: sta prendendo consistenza un sistema di gioco con due mezze punte dalle caratteristiche diversissime tra loro e un attaccante di riferimento, concetti simili a quelli che porteranno il tecnico a vivere un periodo entusiasmante a Napoli. La Reggina in maglia nera batte una Roma che, in preda al periodo di estasi veltroniana, porta sul petto lo sponsor della Festa del Cinema della Città eterna. Il gol decisivo lo firma Amoruso, con una girata che ne conferma il soprannome di “Piede caldo”. Per Mazzarri è una vittoria centrale, un punto di svolta a livello anche umano. Arriva a una manciata di giorni dalla morte di suo padre Alberto, l’uomo che gli aveva trasmesso i valori del sacrificio grazie al lavoro: a dare manforte ai muratori d’estate, ad aiutare la famiglia d’inverno con il panificio, proprio davanti allo spiazzo dove giocava da bambino, allestendo le porte con i sassi.

Chiunque possieda quella giacca di Mazzarri è pregato di contattarmi in privato.

Il tanto agognato zero in classifica arriva dopo la vittoria di Siena, all’undicesima giornata: il bottino di 15 punti proietterebbe la Reggina a una sola lunghezza dal quarto posto, in realtà, causa penalizzazione, vale l’ultimo, solitario, anche se soltanto a -4 dall’Ascoli che occupa la prima posizione buona per la salvezza. Le altre squadre coinvolte in Calciopoli hanno già vissuto il passaggio del ricorso conclusivo, la Reggina no: il responso arriva il 12 dicembre e restituisce agli amaranto quattro punti vitali. Il -15 diventa -11 ed è una notizia che giunge subito dopo il successo sull’Ascoli, in uno scontro diretto cruciale. Ora i ragazzi di Mazzarri sono a -2 dalla zona salvezza, nonostante la sconfitta contro la Sampdoria maturata per uno dei gol simbolo della carriera di Fabio Quagliarella. Il 23 dicembre, con i quattro schiaffi all’Empoli, la Reggina chiude il suo tribolatissimo 2006 ancora in scia salvezza. Viste le premesse, si può provare a sognare. Mazzarri chiede e ottiene il ritorno di Vigiani per la mediana e la preziosa aggiunta di Pasquale Foggia, esubero laziale, per avere un’alternativa di valore a Leon sulla trequarti, visto che l’honduregno saluta in direzione Genoa. Una perdita, quella di Leon, non solo tecnica: «Leon era il più pazzo, metteva entusiasmo col suo modo di fare. Prima degli allenamenti mettevamo la musica al massimo e lui cominciava a ballare sul tavolo, la disco-dance nello spogliatoio serviva per sorridere, stare insieme e iniziare bene l’allenamento», ha detto anni dopo Rolando Bianchi.

E alla ventunesima giornata, anche se in coabitazione con il Messina, gli amaranto mettono la testa fuori dall’acqua per la prima volta: Vigiani si presenta con un’inaspettata doppietta a Cagliari. L’attesissimo derby dello Stretto viene rinviato: il calcio italiano si ferma nel primo weekend di febbraio per la morte dell’agente Filippo Raciti negli incidenti a margine di Catania-Palermo, la marcia della Reggina riparte sbancando la Torino granata con una doppietta di esterno destro di Bianchi, prima su azione, poi su palla inattiva. Il centravanti è uno degli emblemi delle contraddizioni che il racconto della carriera di Mazzarri porta con sé da tempo: un allenatore molto attento alla fase “distruttiva” del gioco, che ha sempre impresso un marchio di grandissima aggressività alle sue squadre, ma allo stesso tempo ha fatto divertire gli attaccanti che ha allenato. Tra Serie A e Premier League, Bianchi non andrà più neanche lontanamente vicino alle 18 reti di quella stagione, superando quel limite solamente in Serie B, nei primi anni di Torino.

I problemi legati a una rincorsa disperata verso un obiettivo apparentemente irraggiungibile sono per forza di cose quelli legati alla stanchezza. All’improvviso, tra febbraio e aprile, la Reggina si dimentica come si vince. Un blocco nato, forse, dal pareggio di Parma, con una vittoria sfumata via al 97’ con un rigore di Giuseppe Rossi che scatena le proteste di Lillo Foti, ancora furioso per la vicenda Calciopoli e pronto a lamentarsi alla minima occasione. Così come Mazzarri, il prototipo di allenatore «che non parla degli arbitri, ma…». Si guadagna anche qualche riga di rimprovero da Gianni Mura, che dalle pagine di Repubblica, in una delle sue analisi della giornata di campionato, segnala la tendenza del tecnico a ricorrere sempre all’invocazione «della congiura, della persecuzione, dell’imbroglio». Il clima attorno alla Reggina diventa irrespirabile quando, dopo la vittoria della Lazio al Granillo, Stephen Makinwa, il match-winner di giornata, si scaglia contro Aronica: «Mi ha detto negro di merda». Il difensore smentisce, Mazzarri pure, a minimizzare arriva addirittura Delio Rossi, tecnico biancoceleste: «Anche se lo ha fatto in un momento di grande nervosismo, Aronica non voleva sicuramente usare le parole dette». È la 27esima giornata – con la 22esima ancora da recuperare – e la Reggina è di nuovo nelle ultime tre posizioni, anche se Chievo e Messina sono nel mirino a due punti di distanza. L’acuto sul neutro di Rimini, quattro gol al Catania, consente alla squadra di tornare in linea di galleggiamento. Il recupero col Messina è la sfida che tutti aspettano, perché vincere quella vorrebbe dire far fuori, o quasi, una diretta concorrente. Riganò dal dischetto risponde a Bianchi – le esultanze di quell’anno di Bianchi sembrano tutte un omaggio a quelle di Pippo Inzaghi, c’è dentro quella gioia così sproporzionata da sfiorare il confine con la disperazione: è un urlo di felicità o di sollievo? – e allora tocca ad Amoruso, con una doppietta, risolvere la pratica nel secondo tempo. La salvezza sembra definitivamente raggiunta a fine aprile, con la vittoria in casa dell’Ascoli: ancora doppio Amoruso, che nella seconda parte di stagione diventa un fattore quanto se non più di Bianchi. I pareggi con Sampdoria e Chievo, però, complicano le cose.

Quando mancano solamente due giornate, la Reggina è nuovamente terzultima, appaiata proprio al Chievo, a quota 36. Siena e Cagliari sono a 37, Parma e Catania a 38, Livorno e Torino a 39. All’intervallo della penultima partita, gli amaranto sono praticamente in Serie B. L’Empoli sta dominando al Castellani, ha segnato tre volte in 23 minuti con Vannucchi, Moro e Saudati. Per i toscani è la partita che può valere la qualificazione in Coppa Uefa con un turno di anticipo. Dopo l’intervallo, la Reggina aspetta almeno per un paio di minuti il rientro in campo degli azzurri. Forse per un ben riuscito gioco di guerra psicologica, forse solamente per un Empoli ormai certo di avere il pass europeo e quindi svuotato emotivamente, sta di fatto che la Reggina torna di prepotenza in partita con Vigiani, appena entrato, autore del gol del 3-1 e dell’assist per la solita torsione aerea di Amoruso che fa 3-2. È per l’ennesima volta Amoruso a fissare il 3-3 su rigore.

Cose molto belle di questo video: il gol di Vannucchi, il primo gol di Amoruso, il fascione “Con il digitale terrestre Controcampo diventa interattivo! Premi il tasto rosso, la partita continua…”

È un pareggio che scatena un vespaio di polemiche. Il più agguerrito è Pietro Lo Monaco, d.g. del Catania, che teme la beffa a un passo dal traguardo: «Mazzarri si lamenta sempre degli arbitri e della penalizzazione, ma la Reggina non è stata penalizzata dal Catania, ma per l’inchiesta su Moggiopoli. Ci dica perché i giocatori negli spogliatoi si sono dati botte da orbi, lo faccia capire ai tifosi dell’Empoli che hanno lasciato lo stadio 20 minuti prima. È una vergogna. Come fa Cagni (allenatore dell’Empoli) a essere così tranquillo? Come può subire tre gol in dieci minuti in quel modo? Contro di noi si sono difesi strenuamente. Faccio già all’Empoli i complimenti per la sconfitta di Parma. Io voglio un calcio pulito, chiedo al ministro Melandri di vigilare».

Restano novanta minuti da giocare, Reggina e Siena 37, Catania 38, Chievo e Parma 39. Una di queste cinque rimarrà con il legnetto più corto in mano, e c’è un Catania-Chievo che profuma di disperazione. La Reggina ospita il Milan freschissimo campione d’Europa, il Siena accoglie la Lazio, il Parma riceve un Empoli ancora in piena sbornia da festeggiamenti. I rossoneri si presentano al Granillo con la testa vuota, la Reggina è pronta a sbranare gli avversari, la differenza di motivazioni è palpabile. Dopo otto minuti Amoruso si inventa un controllo volante incredibile su un cross da destra di Mesto – e se c’è qualcosa che sappiamo del calcio di Mazzarri, è che ha sempre esaltato i suoi giocatori di fatica sulle corsie – e si mette a palleggiare in area di rigore, come se fosse nel giardino di casa, alla ricerca della coordinazione giusta per colpire: un tocco, due, poi il diagonale mancino al volo sul quale Kalac non arriva. Campagnolo è attento sulle conclusioni di Brocchi e Ronaldo, il vento che scompiglia i capelli cotonati di Mazzarri mentre dà indicazioni ai suoi ci ricorda che siamo forse nell’unica fase della sua carriera in cui aveva veramente senso il paragone con Al Bano. Il raddoppio, nonché il gol che chiude definitivamente il discorso salvezza, lo segna Amerini, appena entrato, ed è un manifesto non solo dei principi di gioco dell’allenatore – fraseggio mezz’ala-esterno sulla sinistra, scarico per il rimorchio della mezz’ala opposta – ma anche di un’idea di sacrificio, di un gregario che si fa eroe per un momento.

Quando fischia l’arbitro e tutti festeggiano, Mazzarri sbuffa: ha la faccia di chi è uscito da un anno vissuto pericolosamente. Il corso principale di Reggio Calabria diventa il teatro di una festa di massa, gioia del popolo allo stato puro. Ci sono anche i giocatori: Bianchi, per esempio, confessa di essersi ubriacato in mezzo a migliaia di persone. Alla fine si salva anche il Catania, che batte il Chievo nello scontro diretto, ma Lo Monaco non sembra molto soddisfatto: «A Reggio Calabria e Siena (dove i bianconeri hanno battuto la Lazio) sono successe cose da Moggiopoli». È uno strascico che non turba la sfilata dei giocatori in autobus in mezzo a due ali festanti di folla. Per Mazzarri, la salvezza dal -11 sarà il trampolino di lancio verso una carriera sempre più ambiziosa, fino al brusco risveglio interista.

Qualche mese fa, con lo sguardo puntato sul mare dalla sua villa di San Vincenzo, dichiarava tranquillo di non avere l’ansia di tornare in panchina: «Il mio telefono squilla ogni minuto. Chi crede nel mio lavoro deve confrontarsi con le mie idee. Se conosce un po’ di quello che ho fatto, sa che posso essere un valore aggiunto. Molte volte in questo ambiente, sbagliando, si parla di vincenti e non vincenti. Il lavoro dell’allenatore va valutato in base alle forze che ha. Chi consegue risultati superiori alle aspettative vince uguale. Ora faccio il manager, ho messo su delle ville di lusso che affitto a un target alto». Poi deve essere successo qualcosa, deve essere arrivata la chiamata giusta in mezzo a tanti sondaggi privi di sostanza. La scintilla che serviva per ricordare al mondo che Walter Mazzarri è ancora un allenatore.

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