A riassumere in termini estremamente sintetici lo scambio che ha coinvolto Russell Westbrook e John Wall, si potrebbe metterla giù così: gli Houston Rockets avevano un problema e gli Washington Wizards anche, perciò la soluzione più logica che hanno trovato è stata quella di scambiarseli — nella speranza che un numero negativo moltiplicato per un numero negativo porti a uno positivo. Già nei giorni del Draft le due squadre avevano parlato della possibilità di scambiarsi le rispettive guardie, una fuga di notizie (voluta?) che aveva indispettito Wall a tal punto da portarlo a chiedere lo scambio, cosa che Westbrook aveva già fatto da qualche tempo.
Westbrook e Wall sono due giocatori che sono stati spesso accostati nel corso delle rispettive carriere. Entrambi esponenti della categoria delle point guard ultra-atletiche, condividono uno skillset e un fisico paragonabile, seppur con un approccio al gioco diametralmente opposto — più aggressivo e individualista il primo, più passatore e “rilassato” il secondo. I due si trovano però in momenti molto diverse delle rispettive carriere: al netto di tutti i suoi difetti, Westbrook è comunque stato nominato per il terzo quintetto All-NBA nella scorsa stagione e ha avuto un paio di mesi assolutamente terrorizzanti giocando da “centro di fatto” degli Houston Rockets; John Wall invece ha disputato la sua ultima partita in NBA due anni fa, più precisamente il 26 dicembre 2018, subendo la rottura del tendine d’Achille in un incidente domestico — e per un giocatore che faceva dell’atletismo una delle sue caratteristiche principali, si tratta del peggior infortunio possibile da cui rientrare.
I due, soprattutto, condividevano lo stesso identico contratto, visto che ci sono solamente 103.894 dollari di differenza tra i 133 milioni che sono dovuti a entrambi nelle prossime tre stagioni, con ultimo anno in player option — che con ragionevole certezza verrà esercitata da entrambi. È dalla consapevolezza di non poter scambiare quei contratti “albatross” senza rimetterci asset che è nato questo scambio: probabilmente nei giorni del Draft gli Wizards volevano una trade alla pari e i Rockets pensavano di poter ricevere qualcosa di meglio in giro per la lega, magari aspettando l’inizio della regular season per ristabilire un po’ del valore di Westbrook mettendolo in vetrina a seguito delle prestazioni sottotono nella bolla di Orlando. Ma dopo i primi giorni di training camp entrambe le squadre hanno capito che la situazione non era sostenibile nello spogliatoio (o che non sarebbe migliorata sul mercato), perciò gli Wizards hanno messo sul piatto la prima scelta al Draft che Houston cercava (protetta 1-14 nel 2023, 1-12 nel 2024, 1-10 nel 2025 e 1-8 nel 2026, per poi diventare due seconde scelte) e la trade si è consumata — lasciando entrambe a fare i conti con i loro nuovi problemi, seppur con un peso in meno sullo stomaco.
Washington alla fine ha scelto Bradley Beal
Come scritto da David Aldridge di The Athletic, non si scambia un giocatore del calibro di Wall senza l’esplicita direttiva del proprietario della squadra. Wall nel bene e nel male è stato il volto della franchigia negli ultimi dieci anni, era amatissimo nella comunità di D.C. ed è stato il leader delle poche squadre competitive che si sono viste a Washington nell’ultimo decennio, specialmente in quella versione ultra-arrogante che nel 2017 arrivata ad una vittoria dalle finali di conference. Già da quei playoff in poi però la sua stella è andata via via sbiadendosi, un po’ per la scarsa competitività della squadra e molto per i suoi problemi fisici, che erano cominciati prima ancora della rottura del tendine d’Achille con un problema osseo al tallone.
In questo lasso di tempo gli Wizards sono diventati in tutto e per tutto la squadra di Bradley Beal, che è entrato di prepotenza nel prime della sua carriera diventando un realizzatore da 30 punti di media (al netto dei riconoscimenti individuali che non gli sono stati dati). Nel corso degli anni lui e Wall erano riusciti a mettere da parte le loro ben note divergenze più per inerzia che per reale convinzione, ma Wall non avrebbe potuto ripresentarsi nello spogliatoio pensando che fosse ancora “la sua squadra” come se nulla fosse successo nei due anni in cui è rimasto fuori (a volte agendo anche da assistente allenatore).
Soprattutto, Washington sente la pressione di costruire attorno a Beal una squadra che lo convinca a impegnarsi a lungo con la franchigia: dopo aver incassato la sorprendente estensione che lo ha tolto dal mercato nella scorsa stagione, ai Wizards restano comunque solo due anni prima che Beal possa uscire dall’accordo e diventare free agent — e diverse squadre hanno da tempo messo degli asset da parte per una trade con Washington nel momento in cui la sua insoddisfazione dovesse diventare pubblica.
Gli Wizards dovevano necessariamente fare qualcosa per mandare un segnale alla loro nuova stella e lo hanno fatto cercando di assicurarsi quantomeno un giocatore più sano e che dia maggiori garanzie rispetto a Wall. Westbrook non è un compagno semplice né in campo né nello spogliatoio, e pare che abbia voluto lasciare Houston per tornare a giocare “a modo suo”, cioè avendo in mano le redini e i destini della squadra. Nel suo anno a OKC insieme a Paul George ha però dimostrato di saper giocare anche con un realizzatore off-ball al suo fianco condividendo le responsabilità (George tirava e segnava più di Westbrook, gli Usage Rate erano simili). La speranza di Washington è che la sua convivenza con Beal ricalchi quel modello rispetto a quella appena conclusa con Harden in cui Westbrook era deputato soprattutto a punire i pre-raddoppi che gli avversari portavano sul Barba a dieci metri dal canestro, attaccando in diagonale partendo dall’ala — puntando il ferro o smistando per i compagni.
In questo video si nota bene la posizione di partenza “defilata” di Westbrook, che a Washington però vorrebbe tornare ad avere il ruolo qui interpretato da Harden.
Nel roster degli Wizards c’è abbastanza tiro nel frontcourt — specialmente con Davis Bertans, rifirmato a 80 milioni di dollari in cinque anni — per permettere a Westbrook di attaccare il ferro come fatto a Houston senza ritrovarsi l’area congestionata, sperando che Thomas Bryant abbia allargato il range di tiro fino alla linea da tre punti e che almeno uno tra Rui Hachimura, Troy Brown e Deni Avdija possa non essere lasciato completamente libero dalle difese avversarie.
Il fit difensivo rimane in ogni caso sospetto: Westbrook è sempre stato un difensore sopravvalutato rispetto a quello che realmente dà nella sua metà campo e Beal non è certamente noto per essere un mastino (per quanto la mole di responsabilità offensive sarà alleggerita dalla presenza del numero 0). Sotto canestro non ci sono nemmeno i difensori in grado di compensarne le mancanze: Robin Lopez non può essere un centro in grado di cambiare difensivamente una squadra che mostra falle anche tra le ali (Bertans e Hachimura su tutti), e sia Brown che Avdija non sono certo materiale da quintetti All-Defense. Per coach Scott Brooks sarà una sfida cercare di costruire una difesa decente con questo roster, ma può contare su Westbrook — che ha allenato per anni a OKC e con cui ha mantenuto un rapporto solido — per cambiare l’atteggiamento “rilassato” che gli Wizards hanno mostrato fin troppe volte negli ultimi anni. O quantomeno provarci.
Houston comincia a preparare l’era post-Harden?
È difficile non ricondurre ogni mossa fatta dagli Houston Rockets al possibile addio di James Harden, che sembra diventare più inevitabile ogni giorno che passa. Dopo che se ne sono andati sia Mike D’Antoni che Daryl Morey e sul mercato è stato scambiato Robert Covington, l’addio di Westbrook è l’ennesima tessera che cade in un domino che ha il suo punto di arrivo a forma di barba. Al momento la posizione dei Rockets è quella di iniziare la stagione con Harden e di non volerlo scambiare tanto per scambiarlo, aspettandosi quindi quantomeno un pacchetto stile Jrue Holiday (giocatori + 3 scelte + 2 swap) con qualche asset in più prima di voltare pagina e cominciare la ricostruzione.
La valutazione dello scambio da parte dei Rockets dipende però da fattori che non sono di nostra conoscenza, almeno fino a questo momento. Non sappiamo quali fossero davvero le offerte delle altre squadre per Westbrook (si dice che il mercato fosse molto “tiepido” per lui), tanto che viene da pensare che Houston avrebbe dovuto aggiungere degli asset piuttosto che riceverli per liberarsi dei 133 milioni del suo contratto. L’offerta messa sul tavolo dagli Wizards forse era l’unica che non li costringeva a rimetterci dal punto di vista delle scelte e anzi ha permesso loro di recuperarne almeno una, per quanto le protezioni applicate da Washington (non sarà mai una delle prime otto anche nella migliore delle ipotesi) la rendono di un valore più simbolico che reale. Mettendo quella scelta sul mercato si ricava forse un giocatore in grado di dare un contributo alla deadline, ma non molto di più.
Su John Wall però ci sono molti più dubbi che certezze. Sono almeno tre anni che Wall sembra aver superato il picco della sua carriera e negli ultimi due non è neanche sceso in campo, se non per qualche filmato da fondo campo in partitelle nelle quali anche Michael Beasley sembra dominare.
Almeno però c’era anche Harden in campo.
Il fit con Harden è per certi versi persino peggiore rispetto a quello — già men che ideale — di Westbrook, per quanto Wall prima dell’infortunio abbia tirato con un rispettabile 37% su 3.2 tentativi a partita nelle triple piazzate. Sono due giocatori che sono abituati a tenere tanto il pallone tra le mani e, soprattutto, a muoversi pochissimo quando ne sono lontani. Ma mentre Westbrook quantomeno poteva provare a far funzionare la convivenza con Harden visto che aveva scelto di giocarci assieme, Wall non ha nemmeno questo pungolo motivazionale — trovando giusto in DeMarcus Cousins uno dei suoi migliori amici in tutta la lega con cui ritornare a giocare dieci anni dopo l’anno insieme a Kentucky.
Magari Wall nelle spaziature di Houston — in particolare grazie al neo arrivato Christian Wood — tornerà a essere un playmaker quantomeno al livello di un titolare NBA e, con l’avvicinarsi della scadenza del suo contratto, magari potrà essere scambiato di nuovo senza che Houston ci rimetta asset. È più o meno il miglior scenario possibile per i Rockets, per quanto sia comunque improbabile. Ma se c’è una cosa che abbiamo imparato negli ultimi anni è che in giro per la lega c’è sempre almeno un altro contratto altrettanto brutto da poter scambiare, e che nessuno è più untradable. Washington e Houston lo hanno appena dimostrato, e ora si apprestano a scoprire se cambiando l’ordine dei fattori il risultato delle loro stagioni può cambiare oppure se si tratta solo di un tentativo disperato per evitare l’inevitabile.