Il tweet con cui Adrian Wojnarowski ha annunciato il suo ritiro non sarebbe potuto essere più sorprendente - e quindi coerente con il personaggio - di così. In un sonnacchioso mercoledì di metà settembre, in cui le notizie dal mondo NBA latitano in attesa che le squadre si ritrovino per i training camp, Wojnarowski ha sganciato l’ultima bomba della sua carriera, annunciando la sua decisione di ritirarsi “da ESPN e dall’industria delle notizie”. “L’impegno richiesto dal mio ruolo è un investimento che non ho più la motivazione di sostenere. Il tempo non è una risorsa infinita e voglio usare quello che ho a disposizione in modi che hanno più senso per me come persona” ha scritto sui suoi profili social che vantano un totale di 9 milioni di followers tra X e Instagram.
Successivamente è stato annunciato che Wojnarowski diventerà il General Manager della squadra di basket della sua alma mater, l’università di St. Bonaventure a est di New York, dove potrà utilizzare la sua immensa rete di contatti e conoscenze per portare alla rilevanza i Bonnies, che non arrivano alle Final Four dal 1970. Se parlare con i GM è stato l’impegno quotidiano di Woj in NBA, in realtà la posizione è piuttosto nuova in ambito universitario, visto che notoriamente tutto il potere è concentrato nelle mani degli allenatori. Con l’arrivo dei soldi dell’NIL però è nata la necessità di un profilo diverso che si occupi, tra le altre cose, anche di raccogliere fondi tramite eventi e donazioni, un ruolo che sicuramente si addice alle sue caratteristiche.
La notizia non è stata sorprendente solamente per noi, ma per i vertici stessi di ESPN. Secondo quanto riportato da The Athletic, le dimissioni di Woj - che lascia sul tavolo una ventina di milioni di dollari rimanenti sui tre anni del suo contratto - erano del tutto inattese, ma lui stesso ha spiegato che la prospettiva di un’altra stagione a dormire tre ore per notte per stare dietro a tutte le trattative e le notizie di una lega che non dorme mai non era più attraente e appagante come un tempo. Tutto sommato è comprensibile: pur avendo solo 55 anni, nelle ultime 17 stagioni tra Yahoo! e ESPN è sempre stato in pista. E considerando il modo ossessivo e continuativo con cui ha coperto la NBA in questo lasso di tempo, un anno nella vita di Wojnarowski ne equivale a quattro di noi esseri umani normali, come per i gatti.
Controversie, potere, odio
Non c’è alcun dubbio che Wojnarowski abbia cambiato il modo in cui si segue la NBA con le sue “WojBombs”. Prima di lui erano soprattutto i columnist delle riviste, come Sports Illustrated, o dei giornali, come il New York Times, il Los Angeles Times e il Boston Globe, a dettare l’agenda mediatica con le loro opinioni, ma Wojnarowski è stato il primo vero prodotto del giornalismo di Internet, mettendo le basi del suo impero su Yahoo! e poi, dopo essersi reso inevitabile come Thanos grazie alle anticipazioni delle scelte del Draft 2011 su Twitter, che lo hanno fatto conoscere al mondo ed esplodere in termini di follower, raggiungendo il sogno della sua vita arrivando a ESPN nel 2017.
Come ha ricordato lui stesso nel suo messaggio di addio, Wojnarowski è il figlio di un operaio la cui fabbrica si trovava a sole due miglia di distanza dal campus di ESPN a Bristol, in Connecticut, e ha sempre inseguito il mito della “Worldwide Leader in Sports”. Un rapporto che negli anni si è fatto anche estremamente conflittuale, tanto da essere definita come “una personale jihad”: nei suoi anni a Yahoo! Wojnarowski lavorava incessantemente per distruggere ESPN e arrivare sempre primo sulla notizia, in modo tale che fossero costretti a citare il suo nome come fonte delle notizie nei loro articoli e nei loro programmi televisivi.
A un certo punto, non potendolo battere, ESPN non ha potuto fare altro che assumerlo e pagarlo profumatamente, dandogli il potere che ha sempre desiderato e utilizzandolo quasi subito per “fare fuori” chi dentro ESPN lo aveva combattuto a livello di contenuti, e specificatamente Marc Stein (il suo rivale diretto come “news breaker”), Henry Abbott (il capo di TrueHoop e di fatto responsabile editoriale del lato NBA del sito), Chad Ford (lo specialista sul Draft) e Ethan Sherwood Strauss (il giovane giornalista che più di tutti lo aveva criticato ed esposto l’ipocrisia del suo lavoro).
Il metodo Wojnarowski
Wojnarowski si lascia alle spalle un’eredità complessa. Da una parte ha l’innegabile merito di essere arrivato per primo su tantissime notizie, a volte anche prima che tutti i membri dei front office o anche solo i giocatori coinvolti negli scambi lo venissero a sapere. Inoltre, lo ha fatto prendendo pochissimi “buche”: la stragrande maggioranza di quello che ha scritto si è rivelato poi corretto, tanto che le altre testate di fatto non avevano nemmeno bisogno di fare fact-checking, dando per scontato che quello che scriveva lui fosse cassazione, una rarità assoluta se pensiamo a come invece si copre il calciomercato dalle nostre parti.
Dall’altra parte, i suoi metodi sono stati spesso machiavellici e con enormi conflitti di interessi, senza neanche nascondere più di tanto un evidente scambio di favori con le proprie fonti. Nessuno ha mai letto gli articoli di Wojnarowski per le sue opinioni, o tantomeno i suoi podcast che erano mediamente di una noia mortale se non per certi ospiti di primissimo livello con cui aveva evidentemente un rapporto pregresso. Si leggeva Wojnarowski per intravedere in controluce la fonte di chi gli aveva detto certe cose: osservando con attenzione il tipo di spin che dava alle notizie, era evidente che ci fosse dietro qualcuno da far passare dalla parte del buono e qualcuno del cattivo, con una commistione di fatti e favori deontologicamente molto discutibile.
Questo era ancor più evidente nei confronti di chi invece non gli dava le notizie. Per anni Wojnarowski è stato uno dei più feroci critici del LeBron James pre-titoli NBA a Miami, soprattutto perché dall’entourage del Re non era mai riuscito a carpire nulla, a partire dalla “The Decision” del 2010, esclusiva che, guarda caso, andava in onda sull’odiata ESPN. Inoltre Woj ha sempre avuto un rapporto molto stretto con gli agenti, specialmente la potentissima CAA, che ne ha curato gli interessi e contemporaneamente gestisce le carriere sia di giocatori che di dirigenti e allenatori di primo piano, con un evidentissimo conflitto di interessi. Lla decisione di James di non avere un agente tradizionale - creandosi in casa Rich Paul che poi è diventato uno dei più potenti del mondo NBA - non era stata apprezzata per nulla dal mondo in cui bazzicava Wojnarowski, anche se col tempo la situazione si è rasserenata.
La NBA ha dato un’occhiata molto da vicino al “metodo Wojnarowski”. Nel 2010, l’allora capo della dirigenza dei Detroit Pistons Joe Dumars venne multato di mezzo milione di dollari (la somma massima prevista dalle multe della lega al tempo) per aver passato a Woj la copia di un memo interno e privato fatto circolare dagli uffici della Olympic Tower. Stanchi delle continue fughe di notizie, la NBA aveva cambiato alcune parole nei vari documenti in modo da poter rintracciare chi li avesse divulgati, trovando Dumars e Wojnarowski “colpevoli”.
Scopritore di talenti e serpi in seno
Se c’è un merito che bisogna dargli, è quello di aver saputo riconoscere il talento. Nel 2016 creò The Vertical, un nuovo sito all’interno di Yahoo! che voleva ricreare ciò che Grantland aveva fatto per ESPN ma con un focus decisamente più improntato sulle notizie e sugli avvenimenti che non sul racconto sportivo. Aveva accumulato abbastanza potere all’interno del sito per poterselo permettere e alcuni di quelli che ha lanciato in quell’avventura sono passati con lui a ESPN, creando praticamente da zero Bobby Marks (ex dirigente dei New Jersey Nets e ora punto di riferimento per quanto riguarda salary cap e meccanismi del mercato), dando una platea di gran lunga maggiore agli esperti del Draft Jonathan Givony (creatore di DraftExpress e ora esperto per ESPN) e Mike Schmitz (ora passato ai Portland Trail Blazers), convincendo JJ Redick a creare il suo podcast (non serve ricordare dove si trovi ora), ma soprattutto creandosi in casa il suo più grande rivale: Shams Charania.
Charania aveva solamente 22 anni quando ha cominciato a lavorare insieme a Wojnarowski e i due sono separati da 25 anni di età, un rapporto che potrebbe tranquillamente essere quello tra padre e figlio. Nell’anno e mezzo in cui sono rimasti assieme a Yahoo, prima del passaggio di Woj a ESPN nel luglio del 2017, è stato abbastanza strano vedere due compagni di squadra combattere per le stesse notizie e gli stessi scoop, come due membri della stessa scuderia di Formula 1 in lotta per il mondiale piloti. Quello è stato però l’inizio di un duopolio pressoché inscalfibile: in pochissime occasioni una notizia rilevante non è arrivata da Woj o da Shams, ed è paradossale che Woj si sia creato in casa la più grande minaccia al suo impero di notizie. Se Charania era Ditocorto (l’informatore di origini umili che si fa strada da underdog un intrigo e un tradimento dopo l’altro), Wojnarowski è sempre stato Varys (quello che tesse le fila ma rimanendo più vicino al potere prestabilito, un doppiogiochista istituzionale).
Alla fine, è stata proprio la differenza di età a mettere fine alla loro “rivalità”, con Wojnarowski che non ha più retto i ritmi imposti dalla vita frenetica della NBA, mentre il suo più giovane rivale ha ancora tutte le energie necessarie per passare una media di 17 ore al giorno con lo schermo del suo iPhone acceso a caccia di notizie. In tanti si chiedono se ESPN ora possa andare a prendersi proprio Sharania, i cui contratti con The Athletic, Stadium e FanDuel sono appena andati in scadenza. Se dovesse passare a ESPN, c’è da scommettere che qualcun altro là fuori cercherà di riempire il vuoto di fama e di potere.
Cosa resta senza Woj
Sarà comunque strano approcciare la prossima stagione NBA senza Wojnarowski, che a suo modo era diventato una parte fondativa del racconto della lega e, in un certo senso, delle nostre vite. Personalmente sarà strano togliere le notifiche ai suoi tweet: da quando faccio questo lavoro, per me l’inizio delle vacanze è sempre coinciso con la disattivazione delle notifiche di Wojnarowski, e di conseguenza il ritorno in pista con la loro riattivazione. Non conto più le volte in cui un suo tweet mi ha costretto a interrompere qualsiasi cosa stessi facendo - una cena con amici, la visione di un film, addormentare mio figlio - per andare a scriverne un pezzo sul pc o organizzarmi coi miei colleghi per coprirla nel minor tempo possibile. In un certo senso i tweet di Wojnarowski hanno scandito i tempi della mia vita negli ultimi dieci anni, e sono perfettamente consapevole che lo hanno fatto con un ritmo difficile da sostenere sul lungo periodo anche per uno come me che ne vive solo di riflesso, figuriamoci per chi lo ha vissuto sulla sua pelle e con la pressione di non dover sbagliare mai.
Adam Shefter, che fa lo stesso lavoro di Woj ma sulla NFL, in questo segmento dice: “Lui può capire il mio lavoro meglio di mia moglie”
La pallacanestro andrà avanti, la NBA andrà avanti, e anche il mondo del giornalismo andrà avanti, oltre Wojnarowski, già a partire da domani. L’importante è riconoscere che Woj ha cambiato il grande Gioco del Trono negli ultimi 17 anni, diventandone un protagonista assoluto, forse creandolo proprio del tutto. Lo ha fatto anche in maniera dispotica, arrogante e controversa, ma indiscutibilmente lo ha fatto. E più spesso che no, i suoi tweet sono si sono rivelati accurati.
Di questi anni mi rimane in mente la sera del 26 gennaio 2020, in cui tutti cercavamo una conferma delle terribili notizie che stavano arrivando sull’incidente di elicottero che aveva coinvolto Kobe Bryant, la figlia Gigi e altre sette persone. Dentro di me avevo ancora la speranza che potesse essere tutto falso - a un certo punto la CNN aveva parlato anche di Rick Fox, che fortunatamente non c’entrava niente -, ma è stato solo quando lo ha confermato Woj che Kobe Bryant per me è morto per davvero. Non so che cosa voglia dire, ma qualcosa vorrà pur dire.