Nel 1997 Mary Abigail Wambach ha 17 anni e sta frequentando la Our Lady of Mercy High School di Rochester. Di questa squadra è già la stella e la trascinatrice, tanto che due anni prima era apparsa sui giornali locali per essere stata messa in porta nei minuti finali e aver parato un rigore evitando il pareggio avversario. Ma in questo pomeriggio di novembre del 1997, Wambach è nel suo ruolo naturale di attaccante, mentre la sua squadra sta dominando la finale statale 3-0 e mancano venti minuti alla fine. In quella finestra temporale, le avversarie di Massapequa rimontano incredibilmente fino a 3-4 e vincono il titolo. Wambach si siede sul campo, completamente innevato, e piange da sola per un minuto. Dopo aver segnato valanghe di gol senza neppure impegnarsi troppo nei tornei giovanili, questa è la sua prima grande delusione sportiva. Se la ricorda ancora oggi, e ne parla come il vero inizio della sua carriera.
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I gol però valgono qualcosa, e al termine della stagione Abby viene contesa da vari college, tra i quali spicca l'Università del North Carolina, che ha il programma calcistico più prestigioso dell'intera nazione, vittorioso in 14 dei 16 campionati NCAA disputati sino al 1997 e giunto secondo e terzo nelle altre due occasioni. Wambach ha visitato quattro college e per rispettare la promessa fatta ai genitori di valutarne almeno cinque, fa tappa all'Università della Florida. Qui il programma ha soli tre anni di vita e gioca in una conference meno competitiva, ma le offre una copertura quasi totale delle spese di istruzione. Wambach non è ancora convinta che giocherà a livello professionistico, e allo stesso tempo non è spaventata dalla strada sportiva più difficile. Dopo la quinta, fatidica visita, Wambach sceglie la Florida.
In quattro anni l'americana stabilisce i record di squadra per gol (ancora imbattuto), assist, punti ottenuti, gol decisivi e triplette, e la guida alla vittoria di quattro titoli consecutivi nella Southeast Conference. Al suo primo anno, nel 1997, Florida raggiunge inaspettatamente le fasi finali del campionato NCAA, facendosi strada fino all'ultimo turno. Wambach forma una coppia d'attacco formidabile con Danielle Fotopoulos, che verrà eletta miglior giocatrice offensiva del torneo. In finale l'avversario è quello più atteso: North Carolina. Wambach non riesce a segnare, ma la sua leadership in campo organizza le compagne e consente loro di tenere la partita in equilibrio. Poi Fotopoulos, direttamente da calcio piazzato, segna il gol che vale il primo titolo nazionale per Florida, alla prima partecipazione al torneo finale.
Nel 2002 la Women's United Soccer Association è al secondo anno di vita, e Wambach viene scelta per seconda al primo giro del draft dalle Washington Freedom, dove gioca già Mia Hamm, detentrice del record mondiale di gol segnati in nazionale e rappresentante della generazione d'oro americana che ha vinto il mondiale nel 1999. Wambach è preoccupata di dover dimostrare il suo valore giocando con la vecchia guardia di quella nazionale, e la sua scarsa attenzione alla forma fisica viene vista con preoccupazione anche nello staff della selezione, che pure la osserva da vicino.
Responsabilità
Giocare con le grandi è il punto di svolta della sua carriera perché la responsabilizza. Wambach trasforma la sua loquacità fuori dal campo (per la quale è largamente presa in giro dalle compagne) in leadership all'interno del rettangolo. Abby a 22 anni ha sviluppato quattro polmoni: due per battersi su ogni palla e due per incoraggiare e riprendere le compagne. I suoi miglioramenti e il contemporaneo invecchiamento della grande nazionale del 1999 le valgono una chiamata ai mondiali di casa del 2003, in cui però le americane vengono travolte 0-3 dalla Germania in semifinale.
La sconfitta nel massimo torneo coincide con l'annuncio del termine delle operazioni della lega americana. Alcune giocatrici si spostano in Europa per poter continuare ad allenarsi e mantenersi con l'attività di club. Le migliori statunitensi rimangono al servizio della nazionale, stipendiate da questa, e si allenano insieme tutto l'anno giocando molti tornei amichevoli. La delusione mondiale e la chiusura della lega nazionale segna la fine dell'entusiasmo verso il calcio femminile negli States, che avrebbe bisogno di nuove energie e nuovi idoli. Wambach, compiuti 24 anni, è chiaramente uno dei talenti sulle cui spalle ricade la responsabilità di voltare pagina e aprire una nuova era, e l'Olimpiade 2004 sembra l'occasione perfetta per riscattarsi.
Nelle prime due partite di girone, Wambach partecipa attivamente a 4 dei 5 gol segnati a Grecia e Brasile, ma si prende anche due gialli che le fanno saltare la terza partita, in cui un pareggio con l'Australia consente comunque un agevole passaggio del turno. Nei quarti di finale, Wambach segna ancora contro il Giappone, ed il suo gol è quello del decisivo 2-1. Dopo aver battuto la Germania in semifinale, il percorso di Wambach si incrocia con quello di Marta, leader del Brasile, che in quel momento sta iniziando a farsi conoscere in Europa. La partita va ai supplementari sull'1-1, e a meno di dieci minuti dalla fine gli USA battono un corner dalla sinistra. Joulie Foudy, la capitana, si apposta in area e discute con Wambach. “This is it”, questo è il momento, le urla. Il cross cade al centro, poco oltre il dischetto: c'è Wambach che salta dietro un'avversaria. In un'intervista a ESPN per uno speciale su di lei, ha detto che tutto ciò che ha chiesto in quel momento è che la palla scavalcasse l'avversaria. Non aveva bisogno di altro, non le serviva un bel controllo, o che la palla girasse in un certo modo, o che il portiere fosse sorpreso. A tutto il resto avrebbe pensato lei. La sua marcatrice salta fuori tempo nel tentativo di anticipare, Wambach chiude gli occhi e frusta il pallone con un colpo di testa verso la porta: c'è una deviazione sulla linea ma la palla entra. Wambach mette la testa nella partita e all'interno della corda che sostiene la sua prima medaglia d'oro.
This is it!
Il colpo di testa sarà per sempre la sua giocata più identificativa. In tuffo, come le piaceva da bambina, oppure saltando in terzo tempo con l'avversaria addosso, o ancora da ferma dopo essersi ben liberata in area. Poco tempo fa negli USA si è proposto di vietare i colpi di testa a livello giovanile, sull'onda lunga delle preoccupazioni destate dai contatti alla testa del football americano. Wambach si è sempre detta contraria a questa idea, sostenendo, da esperta, che quel tipo di gesto bisogna imparare a farlo da giovani proprio per non farsi male una volta adulti. Nel 2010 ha ricevuto un colpo alla testa durante una partita di qualificazione ai mondiali, nei minuti di recupero con gli USA sotto 2-1. Sanguinante si è avvicinata a bordocampo e ha chiesto che le chiudessero la ferita con una specie di pinzatrice. Ci ha messo sopra una benda ed è tornata in campo.
Nessuna Wambach si è fatta male per fare questo video. O almeno non seriamente.
Sostanza
La numero 20 americana, anche per questa sua abilità aerea, era una giocatrice atipica, specialmente negli States di allora. La nazionale a stelle e strisce era rappresentata da ragazze aggraziate, veloci, tecniche. Tutte coi capelli ordinatamente legati in una coda. Wambach invece è potente, non ha paura dei contatti e fa valere la sua forza fisica. Combina coordinazione e senso del gol quando è vicina alla porta, e questo fa di lei l'attaccante più concreta in circolazione. Tanta sostanza e poca apparenza, per sistemare i capelli ci sarà tempo dopo la partita.
Le sue capacità atletiche e tecniche sono il risultato, dice lei, della competitività e della sportività della sua famiglia: ultima di sette figli, ha sempre dovuto lottare per l'attenzione degli altri e dei genitori. Quando i fratelli e le sorelle giocavano fuori non c'erano sconti per la più piccola, e Abby si doveva adattare. Da giovane ha giocato a basket e avrebbe potuto cimentarsi in altri sport, una filosofia verso la quale ha invitato più volte i genitori di bambini e ragazzi che fanno attività fisica.
Nella formazione dell'atleta che è diventata, Wambach considera le difficoltà di farsi notare in famiglia, in quanto sconfitte, più importanti delle sue prime vittorie. In un'intervista con Bill Simmons, creatore di Grantland, ha spiegato come quell'ambiente le abbia dato la giusta determinazione per affrontare la sua carriera sportiva, e come le successive sconfitte abbiano contribuito a darle carburante quando ne aveva bisogno. Il 3-4 sofferto in High School l'ha fatta diventare una giocatrice professionista. Lo 0-3 ricevuto dalla Germania l'ha scatenata verso la vittoria del titolo olimpico. E altri alti e bassi avrebbero seguito.
Le problematiche del calcio femminile per club negli Stati Uniti proseguiranno fino al 2009, e questo la obbligherà a concentrarsi unicamente sulla nazionale. Chiuderà la sua carriera con 255 presenze internazionali - molte più delle sue partite di club - in cui segnerà 184 gol, attualmente il record tra maschi e femmine per marcature con la propria selezione. Stacca l'iraniano Ali Daei, il primo degli uomini, di 75 reti mantenendo una media simile (0.721 contro 0.726). Il record se lo prenderà nel 2013 dalla sua mentore Hamm, che a sua volta l'aveva ottenuto battendo Elisabetta Vignotto (italiana e prima calciatrice a superare quota 100).
Il punto più basso
La vittoria olimpica tuttavia non è sufficiente ad aiutare le sorti del movimento americano femminile, e la nazionale statunitense si trova costretta a preparare il mondiale cinese del 2007 con delle giocatrici che non praticano il calcio in maniera abbastanza continua. La spedizione si rivela un grande fallimento: gli USA si guadagnano la semifinale in cui incontrano ancora una volta il Brasile. Marta adesso è nel suo momento di ascesa: ha vinto il FIFA Player of the Year (POTY), lo farà nuovamente in quell'anno e poi ancora per altri tre. Gli States vanno in campo con una sorpresa: l'allenatore Greg Ryan esclude dall'undici il portiere titolare Hope Solo in favore della veterana Briana Scurry.
Scurry è ovviamente più esperta ma non gioca una partita intera da 3 mesi. La scelta provoca nervosismo nello spogliatoio e le americane non scendono in campo con la giusta concentrazione. Il Brasile si prende la rivincita della finale olimpica e passeggia 0-4. Si tratta della più umiliante sconfitta per il calcio femminile americano, sino ad allora considerato capace di battersi in ogni sfida. Per le speranze di ripresa del movimento è un altro chiodo nella bara, per Wambach un'onta che rievoca il 3-4 della high school e la mette di fronte ai fantasmi della vecchia generazione di cui sente di non essere stata all'altezza.
L'anno successivo gli USA hanno nuovamente l'occasione per cancellare la sconfitta, ma Abby Wambach si impartisce da sola una lezione durante la preparazione del torneo. La troppa foga e determinazione in una partita amichevole la portano a commettere, per sua ammissione «un contrasto a cui non dovevo prendere parte». Ha la peggio e si frattura la gamba, capendo subito di non poter partecipare al torneo olimpico. Le sue compagne vincono senza di lei, battendo ancora il Brasile in finale e facendosi perdonare parzialmente per il mondiale sfumato dell'anno prima. Abby invece è a casa, a pensare a come migliorarsi e a come trarre energia dai momenti difficili.
Opinionated
Su internet circola uno spot chiamato “The most American burger”: in primo piano c'è un hamburger farcito di ogni bene. Man mano che l'inquadratura si allarga si scopre che è tenuto tra le mani di una modella americana, che indossa un bikini a stelle e strisce, all'interno di una vasca idromassaggio, montata su un pickup pitturato col solito tema, parcheggiato su una portaerei, ancorata di fronte alla Statua della Libertà mentre dei caccia acrobatici colorano il cielo con le scie blu, bianche e rosse. Sullo sfondo, la riconoscibilissima skyline di New York. Se si potesse sorvolare di qualche chilometro lo stato di New York fino a Rochester, in questa “most American picture”, ci sarebbe Wambach che gioca a calcio. Wambach si può identificare molto con la cultura americana legata alle possibilità infinite, alla vittoria della determinazione sulle capacità, alla supremazia degli States in qualunque campo a patto che i suoi rappresentanti si impegnino. Questa visione la fa scivolare su opinioni a volte molto naif ,come essere favorevole a far lavorare i ragazzi sui fondamentali atletici prima che su quelli tecnici -idea comunque solo espressa blandamente su imbeccata di Simmons- o essere contraria a naturalizzare giocatori stranieri perché gli Stati Uniti non dovrebbero averne bisogno, considerazione che ha sforato quasi nel politico e che le ha portato alcune critiche.
Certamente Wambach è una calciatrice molto “opinionated”, nel senso che ha idee precise su argomenti vari e non si fa problemi ad esprimerle. Una figura che stride un po' quando si pensa al tipico calciatore disimpegnato che non si cura neanche della sua professione (come Cristiano Ronaldo che non risponde a domande sulla FIFA). A domanda precisa, ha persino sostenuto il licenziamento di Jürgen Klinsmann da selezionatore della squadra maschile citando come motivazione proprio la sua politica in favore dei giocatori nazionalizzati. Questa indipendenza d'opinione le ha consentito di farsi portabandiera nelle cause importanti della sua professione, come l'eguaglianza negli stipendi delle calciatrici e dei calciatori, tema tornato attualissimo dopo che la nazionale femminile ha portato in giudizio la federazione americana per le differenze enormi nei premi per i mondiali 2014 e 2015. Wambach non si è battuta solo per le donne, auspicando che più soldi vengano investiti anche nel calcio maschile in maniera che gli USA possano stabilirsi tra le grandi forze di questo sport (“dove dovrebbero stare”, ha sicuramente pensato).
Legacy
Ma nonostante tutte queste idee, nel 2011 non ci sono distrazioni dall'unico obiettivo di Abby Wambach, che nel frattempo ha raggiunto i 31 anni e sente di non avere molte altre occasioni per vincere il massimo torneo. Nelle prime due partite della Coppa del Mondo che si disputa in Germania, le americane vincono ma Wambach non segna. Nella terza timbra finalmente il cartellino, ma è un gol amaro perché la Svezia vince 2-1, accoppiando gli USA nei quarti con le loro grandi avversarie di sempre: il Brasile.
A Dresda si disputa una delle partite più drammatiche della storia dei mondiali: Wambach nella fase finale della sua carriera gioca in una squadra che a dispetto delle vittorie olimpiche è criticata per non aver raggiunto i successi della generazione precedente. Nel Brasile invece c'è Marta, che non ha mai vinto né mondiali né Olimpiadi, perdendo in queste sempre in finale con gli States, ma è più giovane di Wambach ed entra nella sua fase matura. Gli USA vanno avanti subito con un'autorete, poi Marta si guadagna un rigore e un'espulsione avversaria che cambiano l'incontro. Sull'1-1 e in dieci contro undici le americane sembrano comunque in grado di fare la partita, ma consumano energie. Marta segna di nuovo nei supplementari, e la partita si orienta verso le sudamericane.
L'arbitro del match, che aveva fatto ripetere il rigore brasiliano parato da Solo (poi segnato al secondo tentativo), assegna 4 minuti di recupero nel secondo supplementare per compensare un infortunio ad una giocatrice brasiliana che aveva tenuto il gioco fermo. Al 122° minuto, Cristiane cerca di perdere tempo vicino al corner di sinistra ma perde palla su un contrasto duro. Le americane fanno ripartire l'azione con la stanchezza di tutta una partita sulle gambe. Lloyd, che ancora non era la superstar che conosciamo oggi, riceve a centrocampo e apre a sinistra per Rapinoe. Il Brasile è schierato tutto al centro a protezione dell'area e l'ala sinistra ha spazio per alzare la testa.
In un'intervista, la stessa Megan Rapinoe ha poi affermato di non aver visto nessuno in mezzo all'area, ma di aver crossato comunque perché sapeva che «Abby doveva esserci». La difesa verdeoro è piazzata malissimo, con una sorta di libero sul primo palo che tiene in gioco Wambach alle spalle delle altre tre. Il cross va verso il secondo palo e all'altezza dell'area piccola: il portiere brasiliano decide di uscire nonostante sia lontana dalla sfera. Alle sue spalle Wambach ci spera ancora e va in cielo per incontrare la palla. È uno di quegli stacchi in cui ti sembra che l'attaccante abbia fermato il tempo e sia rimasta in aria più di quanto la gravità le dovrebbe consentire. Il portiere va a vuoto e Abby non solo incontra la palla, ma la direziona pure verso la porta nonostante ci fossero tutte le condizioni per sbagliare: la stanchezza, il disturbo del gesto del portiere, la posizione decentrata. E invece, due a due.
History, meet Abby Wambach. Abby, this is history.
Gli Stati Uniti vincono la partita ai rigori (in cui l'arbitro, per coerenza, ne fa ripetere un altro), e quel match cambia completamente il futuro del calcio femminile americano. L'epicità della vittoria, segnando il gol più tardivo della storia dei mondiali, fa esplodere l'entusiasmo per la nazionale e carica le ragazze verso la vittoria finale. In semifinale è ancora Wambach che, a dieci minuti dalla fine, porta la sua squadra in vantaggio (finirà 3-1) e a giocarsi il titolo contro il sorprendente Giappone, che ha eliminato le padrone di casa tedesche nei quarti. L'uscita delle storiche avversarie brasiliane e della Germania dominatrice degli ultimi due mondiali fa davvero pensare che, 12 anni dopo, gli USA possano tornare sul trono. Wambach ha raccontato recentemente i pensieri che le passarono per la testa in quei giorni: «Il gol segnato contro il Brasile mi ha fatto pensare che avremmo vinto. Io ho segnato di nuovo con la Francia e avrei segnato ancora in finale. Noi avremmo riportato il titolo a casa, io sarei stata nominata giocatrice del torneo, forse FIFA POTY...»
In finale gli States vanno avanti con Morgan, dopo una traversa colpita da un sinistro di Wambach, ma vengono raggiunte a nove minuti dalla fine da Miyama. Ancora supplementari, e tra le americane c'è la specialista di queste faccende. L'orologio segna 104 quando Wambach mette la testa su un cross da sinistra e segna il 2-1. A tre minuti dalla gloria, però, le giapponesi battono un corner sulle quali le americane dovrebbero dominare fisicamente. Homare Sawa taglia perfettamente sul primo palo anticipando tutte, colpisce col tacco di destro al volo e segna uno dei gol più belli in una finale mondiale. Wambach, che era a centro area, devia di poco il pallone, forse impedendo la parata a Solo. Questa volta ai rigori le americane sono meno precise, forse debilitate psicologicamente dal gol subito quando il traguardo sembrava vicino. Il Giappone è campione del mondo.
Wambach continua col suo flusso di pensieri: «..invece Sawa segna il 2-2, il Giappone vince il torneo, lei è eletta Player of the Year». Un'altra sconfitta, molto più bruciante delle precedenti perché in dirittura d'arrivo, annulla una storia epica costruita con quel gol al Brasile e che soprattutto la vedeva protagonista per i gol segnati nelle ultime tre partite. Nonostante la sconfitta finale, però, il calcio femminile ha riacquistato pubblico e supporto. La selezione viene accolta al ritorno dalla Germania come se avesse vinto. Le calciatrici presenziano agli eventi televisivi e ottengono fama nazionale. Wambach ha fallito l'obiettivo di vincere il mondiale, ma ha riportato in auge tutto il movimento. Le glorie del passato la guardano dall'alto con un sorriso bonario.
A fine anno Abby per la prima volta è finalista nel pallone d'oro, terza, dietro a Sawa e Marta, che non lo vince per la prima volta in 6 anni. Il tanto desiderato riconoscimento personale arriva l'anno dopo come coronamento della vittoria olimpica 2012, a cui stavolta Wambach riesce a prendere parte. Nel 2013 diventa la miglior marcatrice della storia in partite giocate in nazionale superando Hamm. All'età di 33 anni ci si potrebbe aspettare che dopo tante delusioni ma anche molte soddisfazioni, una come Wambach si prepari alla pensione. Un'eventuale successiva sconfitta richiederebbe uno sforzo immane per cancellarla, mentre chiudere coi record, il Player of the Year e la seconda vittoria olimpica sarebbe più degno di una carriera come la sua.
Fischio d'inizio: meno due dal record di Hamm. Fine primo tempo: più due.
Ma Wambach non si accontenta: alla vigilia del mondiale 2015 è tra le firmatarie della causa verso la federazione canadese che ha organizzato il torneo unicamente su campi in erba sintetica. Le calciatrici propongono alla FIFA un modo per trasformare i campi in erba vera a costo zero, ma la loro richiesta non viene accolta. Che non sia una questione economica si capisce quando diventa chiaro che il verdetto potrà arrivare solo dopo la competizione, perché invece di chiedere un eventuale risarcimento in caso di vittoria della causa, le giocatrici fanno cadere la questione.
Abby si fa carico della problematica perché lei, a 34 anni, quell'erba vera o sintetica la vuole calcare. Arriva al torneo da veterana e non si aspetta di poter giocare tutte le gare. Parte titolare in tre su sette, vestendo la fascia da capitana (che sarebbe stata Christie Rampone, sempre partita in panchina). Segna contro la Nigeria nella fase a gironi il suo unico gol nella manifestazione. Contro la Colombia accade un altro di quegli episodi che Wambach chiama “sconfitte formative”: sullo 0-0 sceglie inspiegabilmente di calciare un rigore col piede sinistro e manca la porta mettendo a lato. La partita si mette comunque bene per gli States che sono in vantaggio 1-0 quando un altro penalty concede loro l'occasione per chiudere la partita. Wambach non avrebbe pressioni perché la sua squadra è anche in undici contro dieci. Ma riflette sul suo errore e decide di lasciare il tiro a Lloyd, che forse ancora non lo sa ma sta giocando il torneo della sua vita. La numero 10 americana segna e, anche se Wambach non vuole prendersi il merito di averla fatta giocare bene, sa che “segnare quel rigore le ha dato fiducia”.
In finale gli USA hanno una di quelle opportunità che capitano una volta nell'intera storia di una nazione o un club: oltre a vincere possono prendersi la rivincita di pochi anni prima sul Giappone. Le asiatiche sbagliano completamente l'approccio alla partita, e a raccoglierne i frutti c'è la più grande prestazione individuale in una finale di quel livello, proprio con Carli Lloyd che segna una tripletta nei primi 16 minuti (4-0 il parziale). Nella ripresa e ormai sul 5-2, Wambach entra e riceve la fascia da Lloyd, nonostante questa rimanga in campo. A pochi minuti dalla fine, in una serie simbolica di passaggi di consegne al contrario, se la sfila dal braccio per metterla a Rampone che entra col terzo cambio per ricevere un tributo.
Rampone le consentirà di alzare la coppa insieme, quel trofeo di cui non c'era bisogno per stabilire la grandezza della calciatrice Wambach, ma che per lei non poteva mancare perché sarebbe stata, al contrario delle altre, una sconfitta irrimediabile. Perché in realtà Wambach non si è mai accontentata: il suo testimonial game è stata un'amichevole con la Cina, in cui a venti minuti dalla fine è stata sostituita per consentirle di ricevere l'ovazione del pubblico. La gara è terminata 0-0 nonostante ripetuti tentativi di segnare delle americane, in particolare di Wambach. Commentando la serata dopo il fischio finale, prima ha detto che il risultato non era importante, perché voleva solo celebrare la squadra, il pubblico, le compagne, la sua carriera. Poi però ha aggiunto «Il risultato, ovviamente... ok, è fastidioso. Sarebbe stato meglio se avessimo vinto».