
La diplomazia del ping-pong, primo contatto tra la Cina di Mao Zedong e gli Stati Uniti negli anni ‘70, non ha solo generato una florida narrativa occidentale sullo sport come strumento politico, ma ha anche accelerato la catena di eventi che hanno trasformato la pallacanestro in uno degli sport più popolari in Asia. In quegli stessi anni infatti i dirigenti del partito hanno cominciato a cullare l’idea di competere con il resto del mondo anche negli sport con la palla, per dare smalto alla propaganda e lanciare il guanto di sfida ai sovietici e agli stessi americani. E quale sport con la palla meglio del basket? Dopotutto nel paese esisteva già una discreta tradizione cestistica, che affondava le radici negli anni venti, e una entusiasta base di praticanti.
Per provarci davvero, però, servono atleti in grado di incutere timore agli avversari sotto il ferro e dimostrare che la proverbiale avversione per gli sport di contatto dei cinesi è solo un retaggio del passato. Quando il presidente Nixon si reca in visita nel 1972, sono già dieci anni che il paese è battuto dai funzionari di Mao che, equipaggiati di manuali di medicina e strumenti di fortuna, si avventurano fino alle province più remote del Paese. Il loro compito è quello di individuare i ragazzi con una altezza potenziale di almeno due metri e le ragazze che potrebbero raggiungere il metro e ottanta, e indirizzarli tutti il prima possibile verso il basket. Le zone prossime ai confini di Corea, Mongolia (culla di Mengke Bateer nel 1975) e Siberia sembrano le più promettenti, perché già mete privilegiate dei tecnici di pallavolo da vari decenni.
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