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Yao Ming, il primo ambasciatore
28 ago 2024
28 ago 2024
Storia di un fenomeno sportivo e culturale.
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IMAGO / Icon Sportswire
(foto) IMAGO / Icon Sportswire
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La diplomazia del ping-pong, primo contatto tra la Cina di Mao Zedong e gli Stati Uniti negli anni ‘70, non ha solo generato una florida narrativa occidentale sullo sport come strumento politico, ma ha anche accelerato la catena di eventi che hanno trasformato la pallacanestro in uno degli sport più popolari in Asia. In quegli stessi anni infatti i dirigenti del partito hanno cominciato a cullare l’idea di competere con il resto del mondo anche negli sport con la palla, per dare smalto alla propaganda e lanciare il guanto di sfida ai sovietici e agli stessi americani. E quale sport con la palla meglio del basket? Dopotutto nel paese esisteva già una discreta tradizione cestistica, che affondava le radici negli anni venti, e una entusiasta base di praticanti.

Per provarci davvero, però, servono atleti in grado di incutere timore agli avversari sotto il ferro e dimostrare che la proverbiale avversione per gli sport di contatto dei cinesi è solo un retaggio del passato. Quando il presidente Nixon si reca in visita nel 1972, sono già dieci anni che il paese è battuto dai funzionari di Mao che, equipaggiati di manuali di medicina e strumenti di fortuna, si avventurano fino alle province più remote del Paese. Il loro compito è quello di individuare i ragazzi con una altezza potenziale di almeno due metri e le ragazze che potrebbero raggiungere il metro e ottanta, e indirizzarli tutti il prima possibile verso il basket. Le zone prossime ai confini di Corea, Mongolia (culla di Mengke Bateer nel 1975) e Siberia sembrano le più promettenti, perché già mete privilegiate dei tecnici di pallavolo da vari decenni.

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Le ricerche si intensificano durante gli eventi pubblici e nel corso di una sfilata celebrativa nella città di Zhengze, si staglia sopra la folla un percussionista di tamburi, forse l’uomo più alto del paese. I tecnici del partito si concentrano sul figlio di sei anni Yao Zhiyuan, che le prime misurazioni ipotizzano possa arrivare a qualcosa come 210 centimetri. Viene preso e spedito a Shanghai per frequentare un'accademia e dedicarsi a tempo pieno al basket nonostante le sue proteste, poco attratto dallo sport e desideroso di restare con la famiglia.

A Pechino Yao Zhiyuan si costruisce, tra alti e bassi, una carriera rispettabile nel basket, ma non è per questo che sarà ricordato nel paese. Qualcuno nel partito decide che deve sposarsi con Fang Fengdi, stella e capitano della nazionale femminile di basket, personaggio celebre in tutta l'Asia. Non è il primo matrimonio incoraggiato dalla ragion di stato per motivi cestitici - succede anche a Wang Weijun (198 centimetri) e Ren Huanzhen (188 centimetri) che daranno alla luce Wang Zhizhi (213 centimetri e come vedremo un ruolo in questa storia) - ma nessuno si sarebbe aspettato funzionasse così bene: dall’unione tra l’indole sorridente e pacifica di Yao Zhiyuan e il carattere arcigno arcigno di Fang Fengdi nel 1980 nasce Yao Ming. Ma a questo punto la nomenclatura ha già finito il suo ciclo e la sua strada verso la gloria sarà tutt’altro che spianata.

Le contraddizioni del sistema

Al momento del suo ritiro nel 1978, Fang aveva subito ottenuto la nomina ad assistente allenatrice della Nazionale e, grazie alla notevole popolarità, sembrava la candidata ideale per guidare la squadra negli anni a venire. Con l'ascesa del nuovo leader Deng Xiaoping, però, cambiano gli equilibri interni al partito e la nuova gerarchia che governa lo sport fa cadere in disgrazia una delle famiglie più in vista del paese. Yao Zhiyuan è costretto a trovare un impiego nel porto di Shanghai perché non ritenuto idoneo a intraprendere una carriera da tecnico mentre sua moglie, dopo una serie di lavori umili, approda nella segreteria dell’istituto di ricerca sportiva. Il suo ruolo e la fedeltà nella rivoluzione culturale maoista genera diffidenza e alla fine la pressione delle autorità la allontana anche da questo impiego. A conti fatti, la coppia per decenni è ben al di sotto del reddito medio nazionale e non ottiene alcun supporto ufficiale per la crescita di Yao Ming. Gli appelli di numerosi sportivi che si attivano per favorire sussidi cadono nel vuoto, le promesse della federazione si dimostrano inconsistenti e gli viene perfino assegnato un appartamento privo del bagno e della cucina.

Yao mangia il doppio dei coetanei e la maggior parte dello stipendio dei genitori viene dedicato al suo sostentamento, scarpe e vestiti diventano piccoli in un battito di ciglia. Per sbarcare il lunario diventa cruciale l’aiuto dei familiari e di un funzionario che si prodiga in segreto per l’assegnazione di buoni extra per il latte. Nel 1984 la stampa comincia a dedicare spazio alla sua storia perché Deng Xiaoping, dopo qualche anno di esitazione, ha cominciato a investire massicciamente nelle strutture sportive e la propaganda cerca storie da copertina. A soli sette anni Yao ha raggiunto in altezza il timoniere del paese (157 centimetri), ma i primi approcci con il basket alle scuole primarie sono poco incoraggianti. Tutti si aspettano meraviglie e fronteggiare la pressione si rivela difficile anche con gli amici di tutti i giorni. Viene persuaso a dedicarsi a tempo pieno al basket già a nove anni ma denota mancanza di esplosività, diversi problemi cardiaci e comincia a odiare i tecnici che non gli perdonano alcun errore e lo impegnano in una folle routine costruita da allenamenti sei giorni su sette.

A 11 anni Yao raggiunge la statura della madre (188 centimetri) ma fatica a trovare la sua dimensione sul parquet. Dopo aver lavorato con allenatori e compagni di squadra, lo aspetta un impegno extra con i genitori che lo aiutano a migliorare i fondamentali. A 14 anni (205 centimetri) firma per la squadra giovanile degli Shanghai Sharks che gli affiancano il guru medico Wei Guoping, incaricato di completare lo staff e che lavora al suo sviluppo. La situazione migliora drasticamente, perché il medico convince la dirigenza a sbloccare delle risorse finanziarie e lo sottopone a una serie di trattamenti in grado di migliorare la salute delle ossa e di un cuore che fatica sempre di più a seguire i vertiginosi ritmi della sua crescita.

Prende vita un programma che alterna la somministrazione di integratori defaticanti, alimentazione specifica e un lavoro personalizzato per rafforzare la muscolatura e incrementare la potenza e velocità di base. Appena un anno Yao dopo comincia il primo campionato di basket professionale, fin dal principio dominato dai Bayi Rockets di Wang Zhizhi, considerato in quel momento il prototipo ideale di una nuova generazione di cestisti cinesi, capace di imporsi bruciando le tappe grazie a un’agilità sorprendente per la taglia. Yao vuole raggiungere rapidamente lo stesso livello del suo rivale, ma fin dai primi scontri diretti nei tornei juniores non riesce a essere altrettanto efficace. Questa è la sua prima vera ‘ossessione’ sportiva, la molla che lo spinge a sopportare delle sessioni di lavoro che durano anche 8 ore al giorno.

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A metà degli anni novanta, intanto, la Nike sta operando per espandere il proprio mercato in Cina e collabora con le squadre del nuovo campionato fornendo consulenza e materiali. Fang prende contatto con loro e si procura la prima fornitura di scarpe per il figlio. L’azienda collabora con la NBA in questa avventura ed entrambe le parti cominciano a spingere l’acceleratore in vista del nuovo millennio: la speranza è quella di portare nella lega un cestista asiatico in grado di affascinare l’immaginario collettivo e di rendere i due marchi sempre più globali.

In questa ottica, nel 1998 Yao partecipa a un camp estivo a Indianapolis grazie alla regia occulta di David Stern e alla complicità degli Shanghai Sharks, che inviano accompagnatori al seguito. Questa esperienza si rivela utile: prende confidenza con la cultura dei coach e dei giocatori americani e dopo una serie di resistenze, si convince a concludere le azioni in contropiede con delle schiacciate. Nel suo paese sono formalmente vietate e si sposano male con un ambiente che tiene sotto controllo il testosterone ed eccessivi protagonismi. Lo sponsor tecnico organizza persino una sessione di allenamento privata con Michael Jordan e incontri con vari scout e dirigenti NBA, quasi tutti sembrano molto interessati e gli uomini degli Sharks tornano a casa con una ventina di nuovi contatti, compreso quello di Jerry Krause.

Il grande salto in avanti

Questa avventura sblocca definitivamente un prospetto incredibile: rinfrancato dalle lusinghe americane, Yao comincia a raccogliere i frutti di un lavoro massacrante e del programma di Wei Guoping capace di far sbocciare il suo atletismo. Le cronache dell’epoca descrivono un giocatore vicino ai 230 centimetri, senza un ruolo definito, che ama trattare il pallone e che prende confidenza con una verticalità che gli consente frequenti gite di piacere sopra il ferro. Il tiro in sospensione in allontanamento diventa uno dei suoi marchi di fabbrica per la disperazione di Fang. La madre infatti non perde occasione per dispensare un trattamento degno del Gregg Popovich ante litteram e affibbiargli l’etichetta di “soft” ogni volta che si allontana dal ferro.

Yao non è ancora decisivo nella sua squadra, ma comincia una feroce lotta per curarne gli interessi tra gli agenti Bill Duffy e Michael Coyne che si combatte tra carte bollate, intrighi diplomatici e il solito coordinamento del tandem NBA/Nike, che mantiene il controllo a relativa distanza. Nello stesso periodo intanto, i Dallas Mavericks di Ross Perot Jr., si muovono a fari spenti sfruttando i mille contatti della famiglia Nelson, e dopo una serie di intrecci romanzeschi, scelgono Wang Zhizhi al secondo giro del draft 1999 con la chiamata numero 36. Le forze armate sono ancora un mondo a parte, negano dal principio ogni trattativa con i texani e l’iter burocratico necessario per arrivare alla firma sarà utile anche per spianare la strada di Yao in futuro.

La contesa tra Yao e Wang Zhizhi per il ruolo di stella del basket infiamma il Paese, ma alle olimpiadi del 2000 avviene il definitivo sorpasso: la nazionale costruita su questi duellanti e su Mengke Bateer (212 centimetri) raccoglie recensioni positive e gli scout si innamorano definitivamente di Yao. In un paio di stagioni è stato disciplinato (sigh!) e recita alla perfezione il ruolo del 5 in chiave anni novanta. Il repertorio è diventato rigidamente ortodosso, ha quasi ripudiato gli amati fade-away e si concentra sul gancio e sul semi-gancio che ha imparato ad apprezzare dai filmati importati da Stati Uniti e Unione Sovietica. Quando possibile sfoggia un discreto tiro da 3 punti e la mano morbida gli consente talvolta di essere il miglior tiratore di liberi della squadra. Il titolo nazionale continua a sfuggire ma ormai è un simbolo e diventa sempre più difficile e costoso strappare il giocatore agli Sharks. La NBA si attiva per coinvolgere anche il re degli agenti David Falk, perchè secondo varie fonti Michael Jordan ha espresso la volontà di lasciare la scrivania per tornare a giocare con gli Washington Wizards e lo ha indicato come obiettivo principale per il draft 2001. La squadra della capitale riceve però un secco rifiuto dal diretto interessato e ripiega su Kwame Brown. È la prima volta che Yao contesta i suoi genitori, che invece spingevano per il binomio Nike-MJ, e pretende di scegliere il suo futuro da solo.

A curare i suoi interessi resta Bill Duffy (oggi rappresentante di Luka Dončić) che non gode della fiducia dei dirigenti cinesi, la squadra vuole una chiamata entro le prime tre posizioni reclamando denaro e visibilità. Wang Zhizhi e Mengke Bateer nel frattempo sono approdati oltreoceano (con ingaggi relativamente bassi) e in tutto il paese si è propagata la febbre della NBA con maratone televisive che coinvolgono gli appassionati. Resta pertanto l’unica stella del campionato cinese e lo domina con grande facilità, conquistando il primo titolo e il premio di miglior giocatore: è tempo di andare in NBA.

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Gli Sharks intanto hanno ottenuto da Duffy una fetta del 30% dei guadagni del contratto da matricola, con un altro 20% da destinare a vari enti governativi. Una serie di clausole lo obbliga poi a rientrare in patria ogni estate per essere a disposizione della nazionale quando serve. Parte di questo contratto capestro è lo stesso che è stato imposto Wang che dopo un anno è già in crisi con i Mavericks (nel frattempo passati a Mark Cuban) e per disputare la Summer League rischia la corte marziale per diserzione. Gli Shanghai Sharks rilanciano ancora perché vogliono incassare almeno 20 milioni entro poche stagioni e solo l’intervento della solita Fang, che minaccia il ritiro del figlio dal basket giocato, scoraggia ulteriori pretese. All’ombra di queste tensioni, prima della lottery Yao partecipa a una numerosa serie di incontri e di provini privati. I più interessati a investire su di lui sembrano essere i New York Knicks e i Chicago Bulls, il mercato è davvero bollente.

Quando il destino premia gli Houston Rockets (9% di possibilità) con la prima scelta del 2002, la situazione burocratica è ancora confusa e cominciano a circolare voci sinistre sulle condizioni fisiche di Yao. Dopo un paio di fratture alla gamba sinistra curate in modo approssimativo, ha sviluppato un edema al polpaccio e uno alla caviglia, compromettendo la postura e la funzionalità dell’alluce, che non riesce a esercitare la giusta pressione. Gli atleti cinesi hanno una lunga tradizione di stoicismo, giocare infortunati e convivere con il dolore ha sempre fatto parte della cultura sportiva, fattore che spesso ha determinato carriere poco longeve e il rischio è che per Yao possa essere lo stesso. I Rockets, dopo una visita specialistica e un consulto, si convincono di poter gestire la situazione, ma solo la mattina prima del draft ottengono il via libera definitivo dalla Cina: Yao diventa il primo giocatore internazionale senza esperienze negli Stati Uniti a essere scelto con la prima chiamata al Draft.

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A causa degli impegni con la Nazionale approda in Texas quando il training camp è praticamente finito, tra l’altro sfibrato dal punto di vista fisico e mentale. Eppure si presta di buon grado al tremendo programma atletico predisposto dalla franchigia: per i Rockets è infatti assolutamente necessario incrementare la sua struttura muscolare, per sopportare i contatti a livello NBA. Senza gli integratori e le pozioni di Wei Guoping (poi ingaggiato per forniture mensili) Yao fatica a recuperare le energie e le certezze, e così i primi mesi scorrono via con più difficoltà del previsto. Le prime esibizioni scatenano i detrattori, serpeggiano dubbi e nervi a fior di pelle.

Il ponte tra due mondi

Houston è una franchigia che si barcamena tra il vecchio e il nuovo e non ha ancora pienamente metabolizzato la fine del ciclo di Akeem Olajuwon. In panchina siede ancora Rudy Tomjanovich, un condottiero stagionato che capisce la situazione e con Yao sceglie approccio prudente. Ci vogliono diversi mesi per iniziare a vederlo esprimere il suo talento, ma per lui non è un problema: accetta di buon grado uno scarso coinvolgimento nei giochi offensivi e una razione di allenamenti extra per assorbire i ritmi fulminei del nuovo campionato. In cambio Tomjanovich non lo sostituisce quasi mai dopo le cattive esecuzioni e si prodiga per insegnargli le spaziature e il gioco senza il pallone.

Yao gestisce meglio del previsto la grande pressione mediatica che lo travolge come un fiume in piena: gli uffici della Lega fanno le cose in grande stile e i media americani lo trasformano in un fenomeno culturale nel giro di settimane. In Cina è un personaggio noto tra gli appassionati, ma non rientra certo nelle prime dieci personalità sportive: per tradizione la stampa locale promuove i giocatori di ping pong o gli esponenti di spicco dell’atletica leggera. Vedendolo in quei giorni stupisce la capacità di Yao di ambientarsi agli usi e costumi stranieri, la consumata teatralità durante le interviste, la perenne bonomia e la felice interazione con gli altri giocatori della Lega, che arrivano da un universo completamente diverso dal suo. Assorbe rapidamente ogni lieve sfumatura degli slang che ascolta in spogliatoio e ama farsi coinvolgere nelle attività organizzate dal compagno Steve Francis. Un perfetto esempio di cittadino del mondo. Quando gioca in trasferta, i palazzetti sono presi d’assalto dai suoi orgogliosi compatrioti e da un curioso pubblico generalista.

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La sfida con Michael Jordan, potenziale compagno di squadra.

Una scommessa riguardo il suo rendimento costringe Charles Barkley (Chuck presumeva che non avrebbe superato i 19 punti segnati in partita) a baciare il lato posteriore di un asino, scenetta presto virale che contribuisce a cementare la sua popolarità. Come da copione, è subito protagonista di campagne istituzionali per la NBA e testimonial ricercato per i brand più in vista. Gli risulta più difficile tenere le fila del complicato rapporto con la madrepatria, che con grande disinvoltura comincia a firmare contratti di sponsorizzazione a suo nome senza detenere alcun diritto. La sua è una leadership silenziosa, non attacca mai un compagno per un azione sbagliata ma cerca sempre di tenere lo spogliatoio compatto, un approccio simile a quello del giovane Tim Duncan, che intanto si fa notare nella vicina San Antonio. Termina il suo anno da matricola con statistiche appena discrete (13,5 punti e 8 rimbalzi in 29 minuti di media) per le difficoltà fisiche iniziali e le cautele di Tomjanovich, quanto basta per farsi sfuggire il titolo di Rookie dell’anno, appannaggio del sorprendente Amar'e Stoudemire dei Phoenix Suns. Ad affiancarlo nella vita quotidiana, la federazione cinese ha scelto Colin Pine come traduttore e tuttofare che si prodiga per aiutarlo in tutti gli aspetti pratici, in modo particolare tenerlo lontano dalle lusinghe dello stile occidentale.

Consapevole di essere un ambasciatore del suo paese, si affida a Pine per analizzare tutte le situazioni in cui seguire i compagni potrebbe mettere in imbarazzo l’intera Cina e ogni locale pubblico viene scrupolosamente valutato. Le uniche donne della sua vita sono la madre e la fidanzata Ye Li, a sua volta giocatrice della Nazionale e presenza indispensabile per alleviare la nostalgia e gestire l'ambiente che lo circonda. Quando la compagna rientra in Cina per onorare gli impegni sportivi resta solo Fang, fresca di una dispensa speciale governativa e con il preciso incarico di rafforzare la protezione del figlio dal mondo capitalista. Scatta una singolare convivenza forzata tra madre e figlio, spesso fonte di imbarazzo in spogliatoio. Una situazione elegantemente gestita da Yao, che pubblicamente non perde occasione per tessere le lodi della madre e la sua influenza positiva su di lui e il suo mondo.

Yao sembra avere un innato sesto senso per la comunicazione e già a metà della prima stagione il suo inglese è talmente buono che la figura del traduttore appare superflua. I giornalisti nel frattempo stanno costruendo a tavolino la rivalità con Shaquille O’Neal, il centro più dominante dell'epoca, che fatica a trovare avversari in grado di arginare il suo strapotere. Il proprietario dei Rockets spende parole al miele per lui; con il nuovo palazzetto da inaugurare (presto sponsorizzato dalla Toyota) la franchigia è passata dal rischio di un trasferimento in un altra città a nuovo polo di attrazione della lega.

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I problemi di “trazione” del piede sinistro rimangono e contribuiscono a modellare per Yao uno stile di gioco incentrato su una serie di movimenti agili e veloci che tendono a circumnavigare il canestro. Quando è costretto a prendere posizione profonda al centro dell’area, trova spesso rifugio in conclusioni deboli che non attaccano il ferro. Il notevole range di tiro compensa egregiamente questo limite, anche se non è certamente l’epoca d’oro per i lunghi capaci di allargare il campo. Al posto delle triple, ancora marginali, Yao si concentra sul gioco dalla media, grazie al già testato fade-away. Inoltre si scopre esecutore provetto dell’arte del catch & shoot, in largo anticipo rispetto alle abitudini della NBA.

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Le enormi potenzialità difensive del suo fisico vengono enfatizzate dall’arrivo di Jeff Van Gundy alla seconda stagione di Yao. Il nuovo allenatore lo trasforma gradualmente in uno stoppatore ancora più efficace; si scopre poi un grande interprete degli scivolamenti laterali, capace di far arrossire gli specialisti del fondamentale, più bassi di lui anche di 30 o 40 centimetri. Intanto al termine della prima annata in NBA la guerra fredda con la Nike aveva raggiunto il culmine (qualcuno sospetta alimentata da un Jordan livido per il draft 2001) e dopo rilanci poco convinti, l’icona più desiderata dal marketing beffa la superpotenza dell'abbigliamento sportivo per approdare alla Reebok. Si tratta del primo gran rifiuto da parte di un atleta di questo livello e da Beaverton rispondono dirottando il budget sul liceale Lebron James.

Una dinastia sfortunata

Quando rientra in patria dopo la prima stagione è più consapevole dei suoi mezzi, l’atteggiamento pacato riservato al palcoscenico NBA lascia spazio a un trascinatore emotivo e vocalmente ispirato per la Nazionale. A una visita di controllo, i medici giudicano però la situazione fisica allarmante: i quasi 20 chili di muscoli che ha sviluppato hanno peggiorato i problemi al solito alluce. Il peso (intorno ai 140 chili) comincia a spaventare e si ipotizza un periodo di riposo per evitare conseguenze a lungo termine per le caviglie, che già mostrano i primi segnali di cedimento. Viene studiato un programma per rinforzare i muscoli delle gambe, rimodellare il tronco e lunghe terapie per migliorare i problemi della postura.

Pura utopia. Anche i Rockets vengono invitati a limitare il minutaggio intorno ai 25 minuti di media, un suggerimento rispedito al mittente. Yao si trova intrappolato in un inarrestabile circolo vizioso composto da allenamenti, partite e riabilitazioni varie che sembra impossibile anche solo da rallentare. La Lega sta facendo i conti con la flessione degli ascolti televisivi nazionali, principalmente a causa del ricambio generazionale tra i protagonisti del Dream Team e la nuova leva, che stenta a decollare. Magic Johnson, Larry Bird e Michael Jordan non trovano eredi immediati almeno a livello di carisma, diventa quindi importante attingere ai rating internazionali in continua ascesa e strizzare l’occhio al pubblico wasp, affascinato dall’aura semplice e modesta che emana Yao. In questo momento di transizione è praticamente indispensabile e la sua immagine è onnipresente.

Presto le votazioni per la partita dell’All Star Game si trasformano in un plebiscito, come quando da solo supera i due milioni e mezzo di voti. Yao stringe sempre i denti, consapevole di non potersi fermare per nessun motivo. Dopo quattro stagioni di crisi, Houston torna a frequentare la post season anche grazie a Jeff Van Gundy. Si accelerano allora le basi per creare un ciclo vincente: nel 2004 va in porto la cessione di Steve Francis per aggiungere Tracy Mcgrady (realizzatore da 30 punti a sera) al roster; uno scambio che vede il coinvolgimento di ben 7 giocatori. La Western Conference è un vasca piena di squali: i Lakers di Kobe, gli Spurs di Tim Duncan, gli Wolves di Kevin Garnett e i Suns di Steve Nash, uno scenario alquanto complesso. Eppure i Rockets riescono a ritagliarsi lo stesso un importante ruolo da outsider, grazie ai principi di una difesa asfissiante costruita intorno alle capacità di Yao di proteggere il ferro, tra i migliori al mondo.

Ci sono tutti i presupposti per costruire una dinastia e lo status di squadra di culto è praticamente immediato. L’eliminazione nel primo turno dei playoff del 2005 per mano dei Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki (altro cliente scomodo...) sembra soltanto un incidente di percorso verso la gloria, ma si trasforma nel picco assoluto raggiunto dalla coppia. Due atleti di 25 e 24 anni che vengono a più riprese paragonati a Magic Johnson e Kareem Abdul-Jabbar, si trasformano in uno dei più grandi what if della storia moderna di questo sport.

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Yao dopo le fatiche alle Olimpiadi di Atene è in riserva ma coach Thibodeau, oggi allenatore dei New York Knicks ma in quel momento celebre architetto della difesa di Van Gundy, decide di incrementare ancora il regime degli allenamenti. La decisione manda su tutte le furie i giocatori americani del roster e a distanza di decenni, Tracy Mcgrady continua a sostenere che parte dei problemi del suo compagno siano da ricollegare a quel carico di lavoro eccessivo. Tra giugno e dicembre del 2005 a Yao cedono in successione la caviglia sinistra e il malconcio alluce che viene operato due volte in pochi giorni, dopo uno scontro di gioco con Danny Fortson.

Su 463 partite di stagione regolare in cui sono a roster, Houston conterà ben 146 assenze di Yao e 160 di Mcgrady, a sua volta bloccato per problemi alla schiena e al ginocchio. In realtà il figlio prediletto di Shanghai inizialmente riemerge più forte di prima dai primi infortuni, grazie a un bagaglio tecnico sempre più raffinato e a uno sviluppo del gioco che ormai non ha niente da invidiare ai migliori giocatori della NBA. Le operazioni sembrano aver stabilizzato la gamba sinistra, fattore che lo spinge a rilanciare il lavoro in sala pesi per fare il vuoto sotto canestro. Nel 2006/07 sta viaggiando su livelli da MVP (26.8 punti, 9.7 rimbalzi, 2.3 stoppate) e sfoggia un ambidestrismo che lo rende immarcabile. A dicembre però si procura una frattura alla tibia destra che rallenta la sua corsa (resta fuori per 32 partite) e propizia i titoli di coda sul ciclo sportivo di Jeff Van Gundy.

Polvere di stelle

L’avvento della nidiata formidabile dei giocatori selezionati nel draft 2003 (Lebron James, Dwyane Wade, Carmelo Anthony) e il loro impatto sulla NBA deviano progressivamente i riflettori dalla figura di Yao. Curiosamente però è proprio nel momento in cui il suo nome si appanna negli Stati Uniti, logorato da una sovraesposizione mediatica eccessiva, che diventa leggendario in Cina. Quando è a tutti gli effetti uno dei migliori giocatori della Lega e probabilmente il lungo più completo, diviene soggetto di un meme, immediatamente virale nel mondo. Siamo di fronte al manifesto ideale che ha segnato il suo percorso: lo status di icona popolare appiccicato suo malgrado, una fama in cui il suo enorme talento cestistico è marginalizzato a favore dell’originalità più che del personaggio della persona, del suo fisico e del suo linguaggio del corpo.

Con l’approdo in panchina di Rick Adelman nel 2007, arriva anche una rifinitissima Princeton Offense, sistema di movimenti offensivi alimentato da 4 esterni e un centro che si muove tra post basso e lunetta, basato sulla costruzione di spazio sotto canestro grazie a veloci ribaltamenti e tagli in back-door. Yao completa la sua evoluzione cestistica e migliora come passatore, in assoluto l'aspetto meno esaltante del repertorio; con il nuovo allenatore le letture dei raddoppi diventano di un'altra categoria e l’intesa con Luis Scola trasforma i Rockets in una mina vagante. Nel febbraio 2008 è però ancora il fisico a tradirlo, con la frattura dell’osso navicolare della gamba destra. Con l'approssimarsi delle Olimpiadi che lo vedono di nuovo portabandiera (per tradizione il suo paese ama affidarsi ai giocatori di basket) sfuma ogni possibilità di rivederlo in stagione regolare. Ai giochi olimpici di Pechino sfoggia una condizione ancora approssimativa, in qualche azione sembra claudicante ma le statistiche e l’impatto che riesce a portare alla causa sono di primo ordine. Quando si presenta ai nastri della stagione 2008/2009 è invece in grande spolvero tanto da riuscire a giocare ben 77 partite, contribuire a 53 vittorie e meritare il premio simbolico di MVP romantico.

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Houston gioca un basket accattivante e di grande sostanza a cui è stato aggiunto anche Ron Artest. Quando a febbraio Tracy McGrady deve alzare bandiera bianca per un problema al ginocchio sinistro, il gruppo si compatta e per larghi tratti dell’annata, sogna di conquistare il fattore campo. Nei playoff il primo turno scorre via senza eccessive difficoltà: i Portland Trail Blazers di Brandon Roy sono costretti alla resa in 6 partite e la stampa comincia a guardare con favore a Houston. Il momento sembra magico e se ne accorgono anche i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant e Pau Gasol, costretti a sventolare bandiera bianca nella gara uno casalinga. Conquistato il fattore campo, Houston sembra intenzionato a tenerlo grazie anche al tifo del Toyota Center. Adelman, a cui rimangono vecchi rancori contro i Lakers maturati ai tempi dei Sacramento Kings, ha costruito intorno a Yao un ottimo cast di supporto: la difesa di Shane Battier, la velocità di Aaron Brooks e la versatilità di Ron Artest fanno faville in un sistema del genere. Nel momento più bello e cruciale della sua carriera, sul 2 a 1 per Houston, il fisico presenta ancora il conto e l’ennesima frattura spegne di colpo tutti i sogni di gloria. La caviglia sinistra cede di schianto (i supporti metallici necessari alla guarigione hanno un peso record) e anche se Yao tenta ancora di tornare sul parquet nei due anni successivi, il percorso agonistico si ferma qui. Sic transit gloria mundi, come è effimero lo sport.

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Retaggio

Le partite più significative della sua carriera hanno fatto impallidire gli ascolti del Super Bowl: quando ha giocato per la prima volta con Shaq, solo in Cina la media degli ascoltatori ha superato di slancio i 200 milioni di media. Ha prima sopportato e poi gradualmente infranto gli stereotipi che lo hanno circondato, non si è mai irrigidito di fronte alle gaffe di giocatori e telecronisti che non erano mentalmente e culturalmente pronti ad accoglierlo ad inizio millennio. Quando i media lo hanno trasformato in una celebrità non si è mai scomposto e ha continuato a vivere con le sue regole e una genuina semplicità: si tratta dell’unica prima scelta assoluta che ha sfoggiato al braccio una fascia di Macramè in omaggio alla fidanzata.

Come si fa a non essere romantici con Yao Ming? Capace di mostrare una determinazione feroce nei momenti di necessità, di rifiutare la corte di Michael Jordan da adolescente, sempre abile nel destreggiarsi nei rapporti con le autorità, a differenza del povero Wang Zhizhi. Ha toccato il cuore della maggior parte delle persone che hanno lavorato con lui, fatto il suo ingresso nella Hall of Fame con soltanto una o forse due stagioni giocate al massimo delle possibilità. Davvero inimitabile.

Ha trasformato una base di appassionati di circa 32 milioni di persone in patria, portandola a oltre 300 milioni, quasi il numero degli abitanti negli Stati Uniti. Quando si è dedicato a una appassionata campagna di sensibilizzazione, il consumo delle pinne di squalo in Cina è calato del 70-80% in pochi anni. Produttore di vino di grande successo, è andata peggio quando ha provato a trasformare il campionato nazionale da presidente della federazione, promuovendo una serie di radicali trasformazioni che hanno incontrato fiera opposizione dei conservatori. Senza il suo contributo sul parquet, la nazionale cinese ha perso peso specifico, visibilità internazionale e da qualche anno è oggetto di vibranti contestazioni dei tifosi, esasperati da una lunga crisi di risultati. Yao non manca di criticare l’atteggiamento morbido dei suoi successori, ma è sempre pronto a fare da parafulmine al movimento e coinvolgere vecchie glorie NBA in clinic speciali, manifestazioni e quanto possa servire per superare la crisi attuale del gigante asiatico. All’orizzonte non ci sono eredi pronti a raccogliere il testimone (due ottavi posti olimpici e tre successi ai giochi asiatici) anche se i media hanno fatto un gran parlare di un prospetto femminile. Dalla diplomazia del ping-pong alla diplomazia del basket: il passo non è stato breve.

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