Mattia Zaccagni ha 25 anni e una faccia già vista. Con un doppio taglio ben curato e una barba appena accennata il suo profilo Instagram può essere confuso con quello di altri trequartisti/centrocampisti/esterni che il calcio italiano ha prodotto in quantità negli ultimi anni. In estate si era tinto i capelli biondo platino, come a volersi distinguere, ma a pensarci bene è solo una fase di passaggio che attraversano molti calciatori.
Anche in campo Zaccagni non è uno “che ruba l’occhio”. Non ha un tiro al fulmicotone o la velocità di una biglia impazzita. Non dribbla gli avversari come birilli, né ripulisce palloni come una lavatrice. Eppure il suo talento sta emergendo come uno dei più continui del campionato, o almeno di quel “campionato di mezzo” fatto dalle squadre che un po’ lottano per non retrocedere e un po’ sperano di avere annate migliori, di flirtare con l’Europa. Esattamente il tipo di stagione che il Verona vuole ripetere, dopo essere stato in grado di chiudere lo scorso campionato con gli stessi punti di Parma e Fiorentina, appena due sotto il Sassuolo.
Tra i nomi che avevano costruito il nono posto della scorsa stagione alcuni erano diventati immediatamente materiale da mercato. Rrahmani e Amrabat erano stati prenotati rispettivamente da Napoli e Fiorentina già a gennaio; Kumbulla aveva intrigato tutti, prima di finire alla Roma in estate; mentre Pessina e Verre erano tornati alle squadre di appartenenza. Zaccagni invece era rimasto fuori anche dalle suggestioni che si leggono sui giornali, trafiletti che spesso non si negano a nessuno, come se nessuno si fosse accorto della sua presenza.
L’assist di domenica
Chi non lo conosceva ha imparato a farlo domenica sera. Un suo pregevole assist ha permesso a Favilli di calciare dal cuore dell’area di rigore, praticamente a botta sicura, portando in vantaggio il Verona contro la Juventus. Alla fine il punto conquistato sarebbe stato il primo in 32 anni a Torino. Dell’azione si è sottolineato con insistenza il brutto errore di Bernardeschi, che con un passaggio sciatto ha regalato il pallone agli avversari, eppure è facile individuare il momento in cui una potenziale occasione si è trasformata in un gol e quel momento sta nei piedi di Zaccagni.
In telecronaca Daniele Adani l’aveva paragonata a una giocata di Riquelme, sottolineando in maniera implicita l’impercettibile pausa che Zaccagni fa per mandare fuori tempo Arthur permettendo a Favilli di completare il suo movimento prima di servirlo con un filtrante d’esterno coi giri giusti. Se il paragone è azzardato, la capacità mostrata dal giocatore del Verona di manipolare la difesa della Juventus con la pausa è propria di quel calcio lì. Non è una giocata che Zaccagni potrà replicare in ogni partita della sua carriera, ma evidenzia come sia cresciuto anche a livello di fiducia, di cose che può o non può permettersi su un campo di Serie A.
A marzo Zaccagni era stato uno dei primi calciatori a risultare positivi al coronavirus in Italia. Dopo quell’esperienza, mentre il mondo del calcio era fermo in attesa di conoscere il proprio futuro, in un’intervista rilasciata al canale ufficiale del Verona mentre siede davanti al portatile, un muro bianco alle spalle, Zaccagni ci aveva tenuto a dire che più del gol al Genoa altri erano stati i suoi momenti preferiti della stagione: «Ho fatto un po’ di assist, mi piace mandare in gol i miei compagni, sono momenti belli». Evidenziando come quello per l’ultimo passaggio sia un gusto speciale per lui. La scorsa stagione Zaccagni è stato il secondo giocatore del Verona per numero di assist, 5, meno solo di Lazovic, che riveste un ruolo fondamentale a livello offensivo con i suoi affondi e i suoi cross.
Zaccagni fino a domenica
Zaccagni è uno di quei calciatori che si è costruito per strati. Sgrezzato nella Primavera del Verona, un anno positivo al Venezia in Lega Pro, un esordio quasi casuale in Serie A con Mandorlini - «Ha personalità», disse di lui quel giorno, che vuol dire tutto oppure niente -, poi un’altra mezza stagione in Lega Pro con il Cittadella, e infine un anno di B con il Verona. Senza avere un talento eccezionale a cui aggrapparsi, Zaccagni ha dovuto guadagnarsi la Serie A lavorando sul proprio gioco, aggiungendo cose, inseguendo fisicamente l’obiettivo. Non a caso uno dei pochi gol realizzati in carriera lo ha segnato nel ritorno della finale playoff contro il Cittadella al termine di un’azione spettacolare, dando il via a una storica rimonta che ha riportato la squadra veneta nel massimo campionato.
Arrivato in A, il suo nome era tra quelli improbabili con cui il Verona aveva costruito la sua squadra e che avevano portato i più a trovare una similitudine con la rosa che si ottiene iniziando una Master League a PES, cognomi casuali rimasti nella memoria di molti e che sembrano scelti appositamente per dei giocatori scarsi. Alla prima giornata Juric lo aveva sostituito dopo appena 16 minuti, per raddrizzare la squadra dopo l’espulsione lampo di Dawidowicz. Alla seconda giornata, però, Zaccagni aveva servito l’assist per il gol vittoria di Pessina contro il Lecce. In realtà la giocata più bella l’aveva fatta Verre, lasciandosi scorrere il cross arretrato sotto le gambe che poi il compagno aveva controllato e messo in rete.
A propiziare la rete erano stati tre centrocampisti offensivi, non un caso. Juric ha costruito il Verona con un 3-4-2-1, dove alle spalle di un centravanti si muovono due giocatori a cui è richiesta grande applicazione. Zaccagni viene sempre schierato sulla sinistra, nel mezzo spazio, con il compito di associarsi con il centrocampista centrale di sinistra e, soprattutto, con Lazovic, cercando i suoi movimenti in profondità, oppure andando lui oltre la difesa per ricevere dal compagno, come in occasione dell’assist al Lecce. Per tutta la stagione il Verona ha costruito il suo gioco sulla sinistra (è la squadra che in percentuale ha attaccato di più da quel lato), per poi provare a sfruttare gli inserimenti dal lato debole e spesso Zaccagni si è trovato coinvolto nelle azioni più importanti della squadra.
Oltre a facilitare il gioco offensivo del Verona, Zaccagni era subito sembrato a suo agio anche nei compiti di copertura, mettendo in mostra un dinamismo notevole e incarnando perfettamente lo spirito battagliero con cui il Verona ha approcciato la Serie A. Più andava avanti la stagione, più le cose che sapeva fare erano di più e più utili. «È diventato più tosto», ha detto di lui Juric dopo la vittoria contro la Juventus di gennaio. Un attestato che suona più gratificante se ricevuto da un allenatore che ama l’heavy metal e che ha fatto dell’intensità il punto focale della sua squadra.
Nel giro di una stagione Zaccagni si è messo in luce come un giocatore duttile. Può saltare l’avversario con un tunnel luciferino, grazie a una buona tecnica individuale, ma anche inseguire Ribery e poi fermarlo in scivolata come se non avesse fatto altro nella vita. Per Juric, Zaccagni difende in modo eccezionale.
Qual è il talento di Zaccagni?
Juric gli chiede molto e lui restituisce molto. I numeri non riescono però a rimandare bene qual è il suo talento. Zaccagni non ha un aspetto in cui eccelle in maniera evidente. Ha un buon controllo, ma non eccezionale; è abbastanza tecnico, ma non raffinato; ordinato, ma non geometrico. Juric lo ha definito «Uno dei calciatori più intelligenti che io abbia allenato sinora», una definizione che sembra raccontarlo bene. Zaccagni ha quella capacità intangibile di essere spesso al posto giusto al momento giusto, di fare la corsa in più che aiuta la squadra, il passaggio non più difficile, ma più corretto.
Nel gol di Di Carmine all’Atalanta, ad esempio, Zaccagni non solo fa il passaggio giusto - non era impossibile capire che andava servita la corsa di Lazovic - ma ancora una volta lo fa nella maniera giusta, né troppo in fretta, con il rischio di anticipare la corsa del compagno, né troppo tardi, da permettere il recupero di Toloi. Anche la traccia scelta, interna piuttosto che esterna, si rivela una scelta intelligente. Un passaggio che non entra nelle statistiche, ma che per il Verona è di un’importanza capitale, come sottolineato anche da Juric, secondo cui Zaccagni «fa giocare bene i compagni».
In attacco infatti la squadra di Juric si è scontrata con la difficoltà di fare gol senza avere un centravanti affidabile e avendo gli altri due giocatori offensivi così coinvolti nella fase difensiva. Alla fine in campionato ha segnato 47 reti, meno di diverse squadre a cui è arrivato davanti, nessun giocatore è andato in doppia cifra. Un’aridità dovuta in parte all’incapacità di convertire le occasioni avute, ma anche causata dalla difficoltà di costruirsi un tiro (il Verona è stata la quartultima per tiri tentati nella scorsa Serie A).
Zaccagni in questo deve migliorare: la scorsa stagione tentava 1.1 tiri ogni 90 minuti, meno anche di Rrahmani, che è un difensore centrale, praticamente la metà del compagno di reparto Verre (2.1 per 90’). Spesso l’idea del tiro non sembra neanche venirgli in mente, come se fosse troppo concentrato nell’essere un giocatore di sistema, più utile alla squadra che a sé stesso. In estate il suo allenatore ha provato a pungolarlo su questo aspetto: «Se saprà essere più incisivo negli ultimi 20/25 metri, può ambire alla Nazionale». A fine agosto effettivamente una sua convocazione era parsa possibile, dopotutto Mancini si è dimostrato molto disponibile nel provare diversi elementi, ma non è arrivata.
A oggi la Nazionale sembra un passo ancora troppo grande per Zaccagni. Nel gioco del CT il suo ruolo potrebbe essere quello di mezzala, posizione in cui si stanno mettendo in mostra alcuni dei migliori prospetti del nostro calcio. Barella, Castrovilli, Locatelli, Pellegrini sono tutti giocatori più incisivi di lui, se non nella quantità di cose che riescono a fare, nella qualità con cui riescono a essere decisivi durante una partita.
Zaccagni - che a Verona chiamano Tardelli, “il Tardelli del Verona” per mitigare il paragone - sta dimostrando come sia proficuo l’incontro tra un allenatore con delle idee precise e un giocatore con la volontà di assecondare queste idee. Non è facile fare previsioni sulla stagione del Verona, ma se la squadra riuscisse a trovare la stessa costanza anche senza alcuni elementi importanti dello scorso anno, Zaccagni potrebbe approfittarne per fare ancora un passo in avanti. Essere un giocatore di sistema che spesso scompare, certo, ma anche mettersi in luce come un leader che ogni tanto fa passaggi che assomigliano a quelli di Riquelme.