Nella tradizionale foto di squadra prima della partita contro il Porto, Zaniolo appare sorridente. È l’unico che sorride, mentre tutti tengono l’espressione di chi forse vuole dimostrare la verità della citazione di Bill Shankly, quella per cui una partita di calcio non è una questione di vita o di morte, ma molto di più. È un’immagine che descrive l’entusiasmo e la pura felicità con cui Zaniolo sta vivendo questo momento in cui il mondo attorno a lui sembra privo di asperità. Zaniolo scoppia di salute, cammina a due metri da terra, si getta su ogni pallone con l’incoscienza di chi non sa che le energie non sono infinite, che non c’è bisogno di giocare ogni minuto come se fosse l’ultimo, abbattendo gli avversari, mangiandosi l’erba.
Zaniolo segna il gol dell’1-0 al Porto a venti minuti dalla fine e si mette a correre, con i capelli tirati indietro dal vento, la lingua di fuori, fa per togliersi la maglia, si ricorda che non vale la pena beccarsi un’ammonizione, grida e con le braccia larghe va sotto la Curva Sud in uno di quei momenti di immortalità che solo il calcio e poche altre cose possono regalare. Poi sei minuti dopo segna il gol del 2-0 e prende la strada più corta per andare dai suoi tifosi, scavalca i tabelloni pubblicitari e corre sulla pista d’atletica. Il tipo di esultanza che definisce l’immaginario del calcio italiano, e in particolare dello Stadio Olimpico, che nelle sue serate più intense pare un campo sudamericano. Un prato da calcio messo in mezzo a uno spazio troppo grande, recintato da una folla così indistinta da sembrare un’unica entità che con i suoi movimenti descrive le onde emotive della partita.
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Bruciare le tappe
Nicolò Zaniolo è il più giovane calciatore italiano ad aver realizzato una doppietta in Champions League. È anche il sesto più giovane italiano ad aver segnato un gol nella massima competizione europea per club, dopo Ferrario, Balotelli, Rivera, Fanna e Danova. È un altro piccolo mattoncino del monumento di hype che Nicolò Zaniolo sta costruendo su sé stesso.
La rapidità della sua ascesa, e la misura della meraviglia e della felicità che lo circonda, non ha precedenti nel nostro calcio. Forse allora vale la pena ricostruire una breve cronologia di Zaniolo.
9 giugno: gioca la finale del campionato Primavera con la maglia dell’Inter.
25 giugno: supera le visite mediche con la Roma.
29 luglio: gioca la finale dell’Europeo U-19.
3 settembre: viene convocato in Nazionale maggiore senza neanche un minuto giocato in Serie A. È il terzo dopo Maccarone e Verratti, che però avevano una certa esperienza in Serie B.
19 settembre: debutta con la maglia della Roma al Santiago Bernabéu.
25 ottobre: riceve la sua prima convocazione per la Nazionale U-21, che arriva quindi dopo la convocazione nella Nazionale maggiore.
11 novembre: debutta da titolare in Serie A contro la Fiorentina giocando un’ottima partita.
26 dicembre: contro il Sassuolo segna il suo primo gol in Serie A, ed è un gol destinato ad entrare subito nell’immaginario del calcio italiano. Zaniolo mette a sedere Ferrari e Consigli, prima di scavalcarli con un pallonetto dolcissimo e beffardo. È il tipo di gol che restituisce quell’idea intangibile ma sempre potente nel calcio, che spesso separa un grande calciatore da un fuoriclasse a livello epidermico, la classe. Dopo il gol i paragoni con Francesco Totti crescono a dismisura, non solo per la maglia che Zaniolo indossa, ma anche per un certo gusto nel battere gli avversari, imporgli la propria superiorità.
19 gennaio: dopo la pausa segna un gol che trasmette invece un’idea opposta ma allo stesso modo esplicativa del talento di Zaniolo. Al Torino segna arpionando un pallone in area di rigore mentre è ancora a terra, e in un unico movimento e un battito di ciglia si coordina per tirare sotto la traversa. Il tipo di gol che si presta ai paragoni con un’altra icona recente di romanismo, Radja Nainggolan, forse il più grande calciatore della storia a giocare da terra.
27 gennaio: nel primo tempo contro l’Atalanta, in pochi minuti, confeziona due assist che ci regalano una sfumatura in più del talento di Zaniolo. Il primo è un assist di petto a Dzeko che fa emergere la sua rapidità di pensiero, il suo istinto per la giocata decisiva; il secondo è un assist per El Shaarawy in cui dimostra di saper mantenere la calma in certe situazioni, di saper prendere sempre la scelta giusta e non solo la più immediata.
3 febbraio: contro il Milan, dopo un primo tempo in cui sembra dominare a livello fisico, segna il gol dell’1-1 sulla riga di porta pochi secondi dopo l’intervallo.
12 febbraio: segna una doppietta in Champions League al Porto.
Otto mesi fa quindi Zaniolo non era davvero nessuno, mentre ora è unanimemente considerato la stella più luminosa del futuro del calcio italiano. Un progetto di campione la cui “futuribilità” rischia di far passare in secondo piano il fatto che è già oggi un calciatore in grado di marcare la differenza nel livello più alto possibile, quello della Champions League. È una chiave offerta anche da De Rossi ieri sera: «Unisce fisico e tecnica. Secondo me e secondo tutti è un grande giocatore e diventerà un campione». Da Natale in poi Zaniolo ha giocato 9 partite in cui ha segnato 5 gol e servito 2 assist, facendo lievitare costantemente l’entusiasmo nella voce di chi parla di lui.
Ecco alcuni titoli e dichiarazioni che sono state dedicate a Zaniolo in questi mesi: «La favola di Zaniolo: ‘Mi ispiro a Kaká’»; «Ricominciamo da Zaniolo»; «Zaniolo, un talento da 10»; «La rivincita di Zaniolo»; «Un gol alla Totti per Zaniolo, un figlio d’arte che sta bruciando le tappe»; «Zaniolo è il prototipo del calciatore moderno»; «Zaniolo ha un talento incredibile»; «Zaniolo sulle orme di Totti».
Toni che hanno costretto Monchi prima - «Ne stiamo parlando troppo» - e Di Francesco poi - «Parlatene meno» - a fare i pompieri.
Eppure è impossibile non lasciarsi entusiasmare da quello che ci sta facendo vedere Zaniolo. Ieri in telecronaca Fabio Caressa, dopo il secondo gol, ha gridato: «La serata del Predestinato», aggiungendo all’hype su Zaniolo un tono quasi biblico. Come se fosse davvero una specie di prescelto, un dono all’Italia come risarcimento della recente povertà del nostro movimento calcistico.
Un entusiasmo che ha certamente a che fare con la rapidità della sua ascesa, che ci ha permesso di non conoscere ancora i limiti di Zaniolo, ma che c’entra soprattutto con la sensazione di dominio, fisico e tecnico, che trasmette in campo. Una sensazione tipica di alcuni dei talenti che stanno definendo una certa idea di calciatore della nostra epoca, comune a Paul Pogba o a Milinkovic-Savic.
Cosa dá Zaniolo da ala
La partita di ieri è stato l’ennesimo certificato bollato del talento di Zaniolo. Nel 4-3-3 con cui ieri la Roma è scesa in campo contro il Porto, è stato schierato ala destra. Va subito detto che non è il suo ruolo naturale: è una posizione in cui ha giocato in carriera, sia in Primavera che nelle Nazionali giovanili, ma che non dovrebbe essere quella di un giocatore che progetta di diventare una mezzala.
Di Francesco lo ha schierato lì per la prima volta contro l’Atalanta. Dopo l’infortunio di Cengiz Under contro il Torino il tecnico lo aveva annunciato: «Zaniolo esterno può dare più equilibrio, sarebbe una finta ala. Possiamo permettercelo, mi piace». Anche nella nostra intervista di novembre aveva dichiarato che avrebbe potuto fare quel ruolo: «L’esterno potrei farlo». Spostato sull’esterno Zaniolo perde alcune opzioni di gioco, diventando forse più prevedibile. Quando riceve non ha la forza in accelerazione per saltare il diretto avversario in profondità, né gli piace spostarsi la palla sul piede debole. Allora preferisce sempre venire dentro al campo, alzare la testa e capire se può cambiare gioco verso un compagno o provare l’imbucata centrale.
Ma tra il leggere le sue intenzioni e impedirgli di fare quello che vuole c’è una grande differenza. È difficile contenere Zaniolo, soprattutto perché è bravo a mettere lo scontro subito sul piano fisico, quello su cui sa di avere pochi rivali. Anche sull’esterno Zaniolo riesce a esaltarsi nel gioco che preferisce, quello di contatto. Con l’esterno del piede allontana la palla dal diretto marcatore e poi lo tiene distante, e mentre quello si affanna per contenerlo, Zaniolo prende slancio sulla gambe e riesce sempre ad andarsene. Anche ieri sera c’è stata più di un’azione di questo tipo, in cui abbiamo visto Zaniolo passare in mezzo a due giocatori del Porto come uno spartifolla. Nella partita di ieri ha vinto 8 duelli. A volte Zaniolo sembra quasi perdere tempo per aspettare che gli arrivi il marcatore a contatto: è fisicamente che può sbilanciarlo e non tecnicamente. Quando prende posizione con le gambe non c’è modo di contenerlo e gli avversari sembrano cadergli letteralmente addosso nello sforzo. Il suo dominio fisico è diventato talmente evidente che gli arbitri hanno smesso di fischiargli diversi falli. Capello a fine partita lo ha paragonato a Pogba.
Un'azione tipica di Zaniolo di ieri. Riceve largo sull'esterno, controlla palla tenendola lontana dall'avversario. Prende posizione, fa forza sulle gambe e dribbla verso il centro del campo.
Questa continua ricerca del duello fisico è stata sottolineata anche da Di Francesco ieri, non in modo del tutto positivo: «Ha fatto un ruolo dove ha giocato poche volte, pensava più ai duelli fisici che a spostare la palla». È naturale che questo talento a giocare in spazi ristretti e con l’uomo addosso sia più utile nei corridoi centrali del campo, ma la Roma ha trovato il modo di sfruttarla anche sull’esterno, appoggiandosi spesso a Zaniolo in uscita dalla difesa, visto il modo in cui proteggeva la palla e riusciva a girarsi anche nelle strettoie più anguste. Oppure usando la sua esuberanza in pressing, un altro frangente di gioco dove Zaniolo riesce a esprimere tutta la sua modernità. Il radar di Ted Knutson fotografa proprio questa qualità.
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Aggirare i limiti
Il limite di Zaniolo in posizione di esterno alto è che non riesce a offrire profondità alla squadra con il pallone (un problema che ieri era acuito dalla presenza di El Shaarawy dalla parte opposta, pure lui poco adatto a un compito di questo tipo), ma di sicuro ci riesce senza palla. Entrambi i gol di ieri nascono da un suo scatto che parte da lontano. Nel primo gol c’è la rappresentazione accurata di come Zaniolo arrivi davanti ai propri limiti e poi trovi sempre il modo di aggirarli, persino di sfruttarli a proprio vantaggio.
Inizialmente, infatti, non riesce a controllare in maniera precisa il passaggio di Dzeko (protagonista anche lui di una partita mastodontica): prova a fermarlo goffamente con la suola, mentre la palla gli scorre leggermente sul lato. Eppure è il primo a intuire che quello stop sbagliato gli ha aggiustato la palla per il tiro, che esegue col piede debole senza pensarci un attimo. Zaniolo legge le cose attorno a lui prima di tutti, e questa - per quanto sia una cosa che non si misura con le statistiche e scorre su un piano quasi invisibile - è una parte fondamentale del talento di Zaniolo. «The teenage sensation does it for Roma» dice il telecronista americano.
Nel secondo gol, mentre Dzeko porta palla sulla trequarti, Zaniolo parte con uno scatto feroce all’altezza del centrocampo, con la sicurezza di poter determinare qualcosa. Dzeko non lo premia e va al tiro incrociato che colpisce il palo interno; Zaniolo è il primo ad arrivare sul rimbalzo, e qui il pubblico calcistico si divide in due categorie: quelli che credono che sia fortuna e quelli che pensano invece che c’entri il tempismo, l’istinto, il fiuto.
Probabilmente c’entrano entrambe le interpretazioni. A Zaniolo sembra andare tutto bene, la realtà empirica sembra sempre andare nella sua direzione, ma è una cosa che lo accomuna ad altri prodigi del calcio contemporaneo. Per certi versi ricorda quella prima di stagione di Mbappé al Monaco, in cui non riusciva a toccare un pallone in area senza segnare, a volte in modi inspiegabili e casuali.
C’è un livello per certi versi misterioso nel talento di Zaniolo. Qualcosa che va al di là della somma delle sue qualità, e di qualsiasi statistica che provi a darne la misura. Se ci servissimo solo della razionalità non riusciremmo a restituire il senso di magia che ispira Zaniolo nel suo equilibrio tra tecnica e potenza; nel modo in cui protegge il pallone, apre il suo sinistro, incide sulle partite. Mette una giocata consistente dietro l’altra, resiste alla pressione che cresce via via attorno a lui. Di Francesco quando parla di lui usa parole e categorie quasi astratte, rarefatte, ma che tutte riescono ad afferrare degli angoli diversi del suo talento: «Nella sua rete [al Torino, nda] c’è caparbietà, forza fisica e voglia di dimostrare. Ha una base fisica importante e riesce a rompere gli equilibri. Poi si allena come gioca e questo è l'aspetto più importante per un giovane». È questa sensazione di magia a renderci entusiasti, e a farci pensare che il talento di Zaniolo in qualche modo ci riguarda.
In una Roma ormai in confusione tattica e psicologica da inizio stagione, i calciatori devono imparare a sopravvivere come i cowboy nel west, cercando di volta in volta giocate fisicamente e tecnicamente eccezionali. Giocatori di sistema come Nzonzi, Cristante o Fazio e giocatori immaturi mentalmente come Schick o Kluivert in questo contesto appassiscono o sono in difficoltà; mentre altri come Dzeko, Manolas e De Rossi riescono a imporre il proprio spessore in totale autosufficienza. In questo contesto la spregiudicatezza di Zaniolo riesce a riempire i vuoti di questa Roma come un fiume in piena, rimettendola in moto. È un aspetto che ha sottolineato più volte anche Di Francesco, sottolineando che è più la Roma a servirsi di Zaniolo che non Zaniolo della Roma (come in fondo sarebbe anche lecito aspettarsi per un giocatore di 19 anni): «Ci godiamo la sua giovinezza».
Dopo la partita Zaniolo si è presentato ai microfoni indossando la sua maschera di ferro. Ha interpretato con assoluta naturalezza il ruolo del giovane che deve pensare solo a lavorare giorno dopo giorno, impermeabile agli entusiasmi perché sa che se c’è una cosa che il pubblico italiano non perdona è qualcuno che si “monta la testa”.
Molti dei suoi compagni hanno ricordato in questi giorni che questo momento d’oro non può durare per sempre, che Zaniolo dovrà prepararsi a un momento difficile. Lorenzo Pellegrini in settimana ha detto: «Deve sapere che adesso per lui è tutto bello Ma potrà esserci un momento difficile. Lì deve essere pronto a far vedere veramente chi è», ma ha aggiunto «Ma penso che non sia un problema per lui, perché lui anche con la testa è come gioca. Sa quello che vuole e come andarselo a prendere».
Arriverà forse il momento in cui saremo tutti pronti a mettere in dubbio il talento che oggi ci fa brillare gli occhi, sostituendo l’entusiasmo con la disillusione, nel calcio sempre pronti a sostituirsi l’uno all’altro come il sole alla luna. Però per il momento è bello sognare su un ragazzo che non ha ancora conosciuto l’infelicità.