Come altri Clásici recenti, anche quello di domenica ha confermato un calo della qualità di gioco espressa dalle due squadre in campo. Real Madrid e Barcellona sono lontane dal picco che abbiamo ammirato qualche anno fa: la prima sta cercando di voltare pagina dopo la sbornia di successi consecutivi in Champions League a cui ha seguito il breve fallimento di Lopetegui e Solari e il ritorno di Zidane poco più di un anno fa; la seconda, invece, è a metà strada tra l’accettare il proprio declino e il riuscire a fermarlo aggrappandosi ancora, sempre di più, alla figura di Messi, che da sola assicura prestigio e competitività (almeno in Liga).
In campo, quindi, non si è visto il miglior calcio possibile. Detto ciò, però, va aggiunto che è stata una partita gradevole, con il Barcellona che ha avuto le migliori occasioni per passare in vantaggio nel primo tempo (mostrando però gli stessi limiti nell’attaccare la profondità visti nella sfida al San Paolo contro il Napoli) e il Real Madrid che è riuscito a ribaltare l’inerzia della gara con un approccio diverso nel secondo tempo, che gli ha permesso di vincere per 2-0.
In ultima analisi, la partita ha dimostrato che è il Madrid a trovarsi più avanti nel suo processo di rinnovamento. Il ritorno di Zinedine Zidane, che poteva sembrare scaramantico all'inizio, sembra aver incanalato questa ricostruzione, confermandoci che il suo valore viene sottolineato sempre troppo poco. Negli anni Zidane ha accumulato una tale credibilità (che si aggiunge al carisma del calciatore che è stato) che oggi gli permette di fare scelte anche drastiche in totale tranquillità. Scelte che hanno pagato anche contro il Barcellona, come l’ingresso tra i titolari di Federico Valverde e Vinicius Jr, autore del primo gol. Vincendo il Madrid è tornato in testa alla classifica (con un punto di vantaggio sul Barcellona) ma, soprattutto, ha mostrato i primi segni tangibili di una ripresa di ampio respiro, dopo un periodo in cui l'allenatore francese era stato costretto ad agire nel breve termine per rimettere in piedi una stagione che sembrava perduta.
Questa è la prima volta dal 2006 (anche lì finì 2-0) che il Real Madrid non subisce gol nel Clásico in Liga al Bernabeu.
Il pressing del nuovo Real Madrid
Dopo il caos affrontato mercoledì contro il Manchester City, il Barcellona ha messo il Real Madrid di fronte a problemi diversi: la squadra di Setién ha mostrato ancora pazienza, dominando il primo tempo attraverso il possesso palla. Come detto, però, non c’erano movimenti in profondità ed è difficile così segnare contro una difesa schierata. Il Barcellona voleva muovere il pallone aspettando che de Jong attirasse Casemiro fuori posizione, così da stuzzicare Sergio Ramos a uscire su Messi. A quel punto, con Ramos fuori dalla linea, bisognava cercare un filtrante per i tagli di Vidal, Griezmann (o dello stesso Messi in un secondo momento) nello spazio lasciato libero.
Come spesso gli capita ultimamente, Messi non è stato brillante sul piano atletico, mentre Vidal ha sbagliato troppo col pallone tra i piedi. Ma sono stati carenti anche Griezmann e de Jong. Più che il Barcellona di Messi, allora, è sembrato quello di Arthur Melo: una squadra sempre tranquilla nella gestione, ma troppo poco pericolosa in area avversaria.
Questa tattica non ha portato al gol, ma ha creato più pericoli di quanto visto a Napoli. Si è vista lungo tutti i primi 45 minuti, in cui il Barcellona è riuscito a mantenere il possesso ripetutamente nella metà campo avversaria (61,3% di possesso palla) e ha tirato 7 volte (3 in porta)
Il Real Madrid ci ha messo un po' a capire come rispondere alla strategia del Barcellona. Piqué a fine partita ha detto di aver visto nel primo tempo il peggior Real Madrid mai affrontato; un meno iperbolico Zidane ha sottolineato l’assenza di pressione del Real Madrid, in contrasto proprio con quanto successo nei quarantacinque minuti dopo: «Il primo tempo è stato complicato perché non siamo andati bene nella pressione alta, però il secondo tempo è stato molto meglio. Un avversario del genere non lo si può lasciar giocare».
L’intervallo ha concesso a Zidane l’occasione per intervenire sia mentalmente che tatticamente sulla squadra: Il Madrid è tornato in campo con un baricentro più alto, grazie a un suo piccolo aggiustamento tattico. Salendo in pressione fino all’area di rigore del Barcellona, con Marcelo su Semedo (terzino su terzino) e Carvajal su de Jong (terzino su mezzala) nello spazio di mezzo di destra. La pressione del Real Madrid si è fatta più intensa e meglio indirizzata su punti specifici del sistema di Setién: l’ampiezza di Semedo e la profondità di de Jong.
In questo modo Zidane ha permesso Casemiro e Kroos di recuperare il pallone in modo più aggressivo sulla circolazione centrale, costringendo contemporaneamente il possesso del Barcellona l’esterno.
Comincia a nascere il sospetto che per il Barcellona l’uscita palla controllata sia più una necessità difensiva che una scelta offensiva, al momento. Utile più a conservare il pallone e nascondere la carente fase di transizione difensiva che ad arrivare ordinati nella metà campo avversaria. Questo deve averlo capito anche Zidane, che invece che aspettare il Barcellona e colpirlo sulla transizione con il campo lungo ha deciso di metterlo in difficoltà sull’unico aspetto del gioco in cui si sente sicuro.
In questo modo la partita è cambiata anche dal punto di vista mentale. Anche Setién a fine partita ha sottolineato l'aspetto del pressing del Madrid: «Quando l’avversario ti pressa devi uscire rapidamente, ma non è facile perché sono giocatori con grande intensità. (…) Hanno migliorato moltissimo la loro capacità di recuperare il pallone dopo la perdita». Il risultato di 2-0 finisce quasi per stare corto al Real Madrid, considerando l'errore sotto porta di Benzema, una grandissima parata di ter Stegen su Isco e un salvataggio sulla linea di Piqué.
Una squadra proattiva anche senza palla
Il lavoro di Zidane si concentra su due aspetti interconnessi: quello mentale e quello tattico. Il tecnico riesce a trasmettere ai giocatori la convinzione che la maglietta che indossano sia realmente speciale e diversa da tutte le altre, parallelamente, però, la sua capacità strategica e di lettura delle partite gli permette di aggiustarsi sull’avversario che devono affrontare e di non trovarsi mai impreparati.
L'ultimo Classico, però, ci dice molto anche sul tipo di squadra che Zidane ha in mente e su come vuole cambiare il Real Madrid. Nel suo primo periodo, Zidane faceva della riaggressione rapida in un campo ristretto il metodo con cui riconquistare il pallone, sfruttando la densità che faceva in zona palla quando ne era in possesso. Isco e Benzema si muovevano per formare un rombo con una mezzala e un terzino, da lì nasceva l’azione da gol finalizzata da Cristiano Ronaldo in area di rigore. E se si perdeva il pallone la vicinanza di quattro giocatori permetteva di recuperarla in tempi brevi. Quel Real Madrid gestiva così i momenti della partita: giocando e recuperando palla nello stesso punto di campo, da cui usciva con un filtrante in verticale o un cambio di gioco mortifero. Gli avversari finivano sempre per disordinarsi cercando di stare dietro al caos costruito dal Real Madrid.
In questa sua nuova gestione, Zidane sta mantenendo intatte alcune caratteristiche di quella squadra (caratterizzata soprattutto dal senso del gioco di Isco) ma vuole anche sia più aggressiva. Per questo è anche il Real Madrid di Federico Valverde, in ogni partita importante in campo al posto di uno tra Modric e Kroos. Zidane ha forse deciso che il Real Madrid non può più puntare solo a dominare i momenti delle partite attraverso la tecnica: deve essere una squadra maggiormente proattiva senza palla. Il che è utile anche ad aumentare il numero delle azioni da gol ora che non c’è più Cristiano Ronaldo.
Valverde e Vinícius Jr sono i simboli del nuovo ciclo di Zidane
Alla luce delle travagliate stagioni di Eden Hazard (al momento fermo dopo il quarto infortunio stagionale) e Gareth Bale (recuperato solo nelle ultime settimane dopo un anno ai margini della rosa), Zidane ha dovuto ripensare il proprio sistema di gioco. L’allenatore francese avrebbe forse preferito giocare con quel 4-3-3 estremamente fluido con cui ha costruito il suo incredibile ciclo di successi, sostituendo Cristiano Ronaldo con Hazard, ma ha dovuto reinventarsi una nuova architettura tattica, provando diverse soluzioni per affidarsi ai tanti giovani talenti della rosa.
Zinedine Zidane sta anche cercando di non perdere quella fluidità quasi totale con il pallone che distingueva il suo primo Madrid, e che portava la squadra a ordinarsi intorno ai propri giocatori più di talento, a partire dal figliol prodigo Isco. Ma alla tecnica sublime dei vecchi interpreti, vuole aggiungere le qualità dei nuovi innesti, ovvero un maggiore atletismo e una maggiore velocità di esecuzione. Questo nuovo Real Madrid vuole sempre ordinarsi attraverso la tecnica, ma allo stesso tempo gioca a ritmo più alto, puntando sulla capacità atletica di Valverde a centrocampo e sulla velocità unita alla tecnica in conduzione di Vinicius Jr.
Da un punto di vista offensivo, il 2020 del Real Madrid sembra legato, anche simbolicamente, alle prestazioni e alla crescita di Vinícius Jr, un giocatore che ad inizio stagione sembrava sparito dai radar (panchinato nel derby di Madrid a settembre e nel Clásico di dicembre) a favore dell’altro giovane talento brasiliano, Rodrygo. E invece Zidane lo ha utilizzato prima col contagocce e poi con sempre più costanza, soprattutto nelle partite importanti. Vinícius ha giocato titolare con la Real Sociedad nei quarti di Coppa del Re, negli ottavi di Champions League con il Manchester City e poi nel Clásico pochi giorni dopo. In tutte e tre le partite è sembrato il giocatore capace di fare la differenza in area di rigore.
Vinícius ha ancora 19 anni e non stupisce la sua esuberanza, ma sembra sempre pensare troppo, o troppo poco, quando ha il pallone tra i piedi. Un aspetto che può finire per mettere in ombra il suo enorme talento e minare l’efficacia delle sue giocate, sempre al limite tra il grande numero e la figuraccia. Vinicius, insomma, ha ancora molti alti e molti bassi, e questo è visibile anche da un punto di vista statistico: ci sono partite in cui sembra poter solo sbattere sugli avversari (nel Clásico, ad esempio, gli sono riusciti appena 4 dribbling sui 12 tentati) e altre in cui cammina sulle acque (come contro la Real Sociedad, quando i dribbling riusciti sono stati 12, sui 17 tentati).
Il trend, però, sembra essere quello di una crescita costante, soprattutto a livello di influenza all’interno della squadra. Contro la Real Sociedad e contro il Manchester City aveva realizzato 2 assist, nel Clásico è arrivato invece il primo gol decisivo della sua giovanissima carriera a Madrid. Un gol che ha messo in mostra non solo il suo grande talento tecnico e atletico, ma anche le aspettative che ripongono in lui i compagni.
Come Kroos, che dopo una maestosa pausa di 3 secondi che sembra quasi una citazione di Riquelme lo mette nella condizione di tagliare alle spalle del nuovo entrato, Braithwaite, indicandogli con la mano il movimento da fare prima di dargli in pallone con il tempo giusto.
Un’azione studiata, a detta di Vinícius: «Quel passaggio di Kroos lo facciamo sempre in allenamento, oggi ci è riuscito».
«Ha fatto un gol importante in una partita importante e sono felice per lui», ha detto dopo la partita Zidane, che sta raccogliendo oggi i frutti della sua gestione. «Voglio sottolineare però il suo impegno sia in attacco che in difesa. Ha tutte le carte in regola, fuori dal campo poi si può dire quello che si vuole. Certo, a volte le critiche sono pesanti, però questo è quello che significa stare nel Real Madrid».
Con il gol dell’1-0, tra l’altro, Vinícius Jr ha superato Leo Messi come giocatore più giovane a segnare in un Clásico. È una statistica di poco valore, ma per il Real Madrid di Zidane, almeno simbolicamente, potrebbe rappresentare un cambio di pagina, l’inizio di un nuovo ciclo.
Il tecnico francese sta dimostrando ancora una volta la sua intelligenza in panchina, che si manifesta prima di tutto nella volontà di iniziare un nuovo corso piuttosto che di riprendere ciò che aveva lasciato. Il suo talento da allenatore è ancora più evidente se si pensa al fatto che questa squadra sta prendendo forma senza il giocatore che teoricamente più avrebbe dovuto rappresentarlo, e cioè Eden Hazard.
La visione di Zidane sembra incastrarsi alla perfezione con quella della società proprio perché punta alla crescita dei talenti che sono adesso in rosa e, potenzialmente, di quelli che con ogni probabilità arriveranno nei prossimi anni (come Odegaard e Kubo). Un progetto la cui bontà sarà quindi valutata non solo alla fine di questa stagione, che comunque vede il Real Madrid in testa alla classifica e ancora in corsa in Champions League, ma anche su quelle a venire.