Piotr Zielinski è arrivato al Napoli nel 2016. Un’estate importante perché il club aveva ceduto Gonzalo Higuain alla Juventus e - dopo Cavani e Higuain - ha iniziato ad assumere un’identità collettiva e non più legata alla voracità del proprio numero 9. Zielinski è arrivato insieme al connazionale Milik e si è ambientato subito a Napoli, in una squadra tecnica e che dominava le partite col pallone. La sua importanza però è restata sottotraccia in tutti questi anni, dietro quella degli autentici leader tecnici della squadra. All’inizio ha potuto crescere all’ombra di Hamsik, meccanismo fondamentale della catena di sinistra del Napoli. Quando il capitano è stato ceduto, il dominio del centrocampo è passato prima a Jorginho e poi a Fabian Ruiz.
Zielinski è stato costante e affidabile. Ogni anno è andato vicino a giocare sempre quasi 50 partite e solo lo scorso anno ha segnato meno di 5 gol. Ma è sembrato sempre fare meno di quanto il suo talento gli avrebbe permesso. Non ha mai avuto momenti di autentico dominio del centrocampo, né è riuscito a essere troppo produttivo nei numeri offensivi. I 6 o 7 gol che segnava a stagione sono sembrati sempre troppo pochi; un po’ perché Hamsik, di cui sembrava dovesse raccogliere l’eredità, andava sempre in doppia cifra (in ben 7 stagioni a Napoli), un po’ perché Zielinski sembra avere tutto per segnare ed essere decisivo nella definizione dell’azione.
A inizio carriera era un trequartista piuttosto classico, ma nelle sue prime partite da professionista - all’Udinese sotto Guidolin - è stato schierato come esterno offensivo. Zielinski è forte fisicamente, dribbla bene, specie quando gli spazi attorno a lui si fanno più angusti, e calcia in modo delizioso con entrambi i piedi. L’osservatore che lo ha scoperto per l’Udinese - in un torneo U-17 in Spagna - ha dichiarato dopo i primi resoconti: «Non riuscivamo a capire qual era il suo piede naturale». Zielinski sa calciare in modo forte e violento, o anche dolce e preciso. Nella preparazione al tiro è sempre reattivo e pulito. Per il modo in cui riesce a conciliare intensità e precisione, e anche per una tecnica così sobria da risultare a volte meccanica, a inizio carriera è stato paragonato a Pavel Nedved.
Eppure in carriera è sempre sembrato un po’ inconcludente, nelle scelte e nelle esecuzioni. Come se la palla finisse per scottargli un po’, o perdesse quel filo di intensità mentale per essere veramente decisivo vicino alla porta. È un aspetto che, in momenti diversi, hanno sottolineato in tanti. Francesco Guidolin, il suo primo allenatore tra i professionisti, lo ha definito “suo figlio”: «L’ho visto la prima volta che era poco più di un bambino, gracile e magro ma con due piedini... Mi sono detto: 'Questo lo devo curare con attenzione, perché ci sono le stimmate del giocatore'». A giugno scorso, durante un’intervista televisiva, lo ha rimproverato dicendogli: «Uno come te deve fare dieci gol all’anno». “Zibi” Boniek lo ha definito uno dei migliori al mondo, ma ha anche detto che ha un problema di personalità. Gennaro Gattuso, dopo la partita contro il Cagliari, in cui Zielinski ha segnato la sua seconda doppietta in carriera e offerto sensazioni di autentico dominio, ha detto: «Gli manca cattiveria negli ultimi venti metri». Un concetto che aveva espresso anche un mese fa: «Non ho mai visto gente che salta l’uomo come lui, danza quando ha la palla. Per diventare un top player gli mancano 7-8 gol, che ha nel bagaglio. Ha tecnica, balistica e non solo. Dopo il Covid ha fatto un po’ di fatica, ma è molto molto forte. Mi piace molto per come gioca, da mezzala e da sottopunta».
Contro il Cagliari, dicevamo, Zielinski è stato il migliore in campo. Ha segnato il gol dell’1-0 con un tiro violento da venti metri: una palla colpita col collo pieno, un po’ sotto, che si è alzata sopra la testa del portiere per abbassarsi sotto la traversa. Si è mosso sotto Petagna, che gli ha scaricato la palla di prima con l’esterno; Zielinski ha fatto le cose semplici, se l’è spostata con l’interno destro e calciato col sinistro. Un gol che nasce dalla sua nuova posizione in campo. Gattuso lo ha schierato trequartista centrale del 4-2-3-1, con Insigne a sinistra e Lozano a destra. È il ruolo in cui Zielinski ha giocato a inizio carriera ma che per un motivo o l’altro non ha mai davvero ricoperto. Neanche nell’Empoli che giocava col rombo, ma che preferiva un giocatore più bravo spalle alla porta come Saponara.
Nel Napoli a inizio stagione in quel ruolo ha giocato Mertens, un giocatore forse più preciso ed estroso di Zielinski. Il polacco però aggiunge un grande dinamismo all’interpretazione del ruolo, sia in orizzontale che in verticale. Un dinamismo e un’applicazione anche nel pressing che Mertens di certo non può garantire.
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Tre diversi movimenti di Zielinski nella stessa azione. All’inizio allunga la difesa del Cagliari con una corsa centrale; poi la squadra decide di attaccare posizionalmente e allora accorcia in zona palla; poi, dopo lo scarico, si sovrappone a Insigne sul lato sinistro.
Dopo l’1-1 di Joao Pedro, è stato di nuovo Zielinski a piegare la partita dalla parte del Napoli con il gol più bello della giornata. Sul cross di Di Lorenzo, si è ritrovato all’improvviso la palla sotto il piede, a quel punto ha addosso Walukiewicz, con Rog vicino a lato. Zielinski se la sposta con un pallonetto d’esterno per evitare l’intervento. Gli rimane un po’ sotto, e a quel punto tira di controbalzo col collo sinistro. Una conclusione non difficile da eseguire, ma difficile da pensare col piede debole.
All’inizio di questa stagione Zielinski è stato condizionato dalla positività al coronavirus. Il giocatore è rientrato dopo tre settimane, ma ha faticato a ritrovare la condizione. Una difficoltà comune a diversi calciatori che hanno avuto il virus, e che è stata forse sottovalutata nella percezione pubblica. Marek Kozminski, per esempio, ha dichiarato che lo vedeva “sofferente” e lo stesso Gattuso ha chiarito quanto per lui sia stato difficile ritrovare la condizione. Da novembre però il suo rendimento è progressivamente salito. Gioca in modo leggermente diverso dal solito; per esempio tocca mediamente 10 palloni in meno a partita rispetto alle altre stagioni a Napoli. Quando riceve palla però è più coraggioso: con 3.3 dribbling ogni 90 minuti è il centrocampista di Serie A che ne esegue di più, e se prendiamo anche gli altri ruoli solo Boga e de Paul saltano l’uomo più di lui nel nostro campionato. Sono gli stessi numeri che aveva a Empoli, quando da mezzala sinistra nel rombo di Maurizio Sarri aveva giocato la prima grande stagione della sua carriera.
Zielinski sembra sempre un po’ rigido col pallone tra i piedi, raramente si lascia andare a improvvisi cambi di direzione e a finte di corpo. Dribbla soprattutto con i cambi di passo e sfruttando una frequenza di corsa in spazi stretti che appartiene a pochi. La sua corsa molto simmetrica, in cui tocca la palla con entrambi i piedi, lo rende imprevedibile. Prendiamo quest’azione col Torino per esempio. Zielinski riceve sulla trequarti - era stato schierato trequartista centrale in quella partita - e prima di ricevere alza la testa per vedere il movimento di Insigne. Poi però la riabbassa subito, Lukic arriva di corsa alle sue spalle e sembra coglierlo di sorpresa; ma Zielinski aveva “sentito” l’arrivo dell’avversario e si è spostato la palla con l’esterno sinistro all’ultimo momento facendola passare sotto le gambe di Lukic.
Zielinski è il re dei tunnel di quest’anno: ne ha già realizzati 8, uno in più del suo massimo in carriera. Nessuno ne fa più di lui in Serie A. Il mio preferito è quello fatto tra le gambe di Manuel Lazzari al termine di un Lazio-Napoli perso malamente dalla squadra di Gattuso. L’avversario ha provato a superarlo in velocità, lui lo ha scansato dolcemente, e ha recuperato palla; Lazzari gli è tornato addosso e lui lo ha accompagnato all’uscita con un leggerissimo tocco d’esterno.
Il talento di Zielinski è appariscente: un giocatore veloce, forte nei duelli corpo a corpo, disciplinato in fase difensiva, tecnico nel passaggio, nel tiro e nel dribbling. D’altra parte, invece, sembra un po’ mancare nella parte più immateriale del gioco: la lucidità nelle letture, negli smarcamenti, nella creatività e nella visione di gioco negli ultimi metri. Tutti aspetti non sempre all’altezza del modo squisito in cui tocca il pallone. A volte ha grandi intuizioni, come questa rifinitura per Insigne, ma spesso finisce per perdersi. Prendiamo quest’azione col Cagliari per esempio, in cui entra in area da sinistra: gioca sempre con la testa bassa e non vede il movimento di Petagna ed è troppo precipitoso con una palla astrusa sul secondo palo.
I suoi numeri creativi sono stati sempre piuttosto bassi in carriera: 1,5 passaggi chiave medi per 90 minuti, mai più di 4 assist stagionali - tolta la prima stagione al Napoli, quando in una macchina offensiva perfetta ne aveva serviti 7.
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Quando può alzare la testa con molti metri davanti, il suo talento balistico gli permette comunque di pensare filtranti assurdi tipo questo.
Le contraddizioni del suo gioco, unite però a una grande completezza, hanno portato gli allenatori a chiedergli forse troppo versatilità. Sarri, Ancelotti e Gattuso hanno sempre ribadito che può giocare più o meno in tutti i ruoli. «Può giocare anche esterno d’attacco, oppure tra i due mediani» si spinse a dire Ancelotti, che infatti l’anno scorso ha provato a farlo diventare il cervello del Napoli davanti la difesa. Ma quando deve pensare troppo, e deve più organizzare che guidare la carica, Zielinski diventa un giocatore normale, persino limitato. Il suo talento è meno complesso e raffinato, per esempio, di quello di Fabian Ruiz, meno portato all’essenziale. Non è un giocatore bravo a cucire il gioco della sua squadra ma a rompere quello avversario. Il modo per sfruttarlo al massimo sembra essere di farlo ricevere fronte alla porta negli ultimi trenta metri di campo: a quel punto può fare quasi quello che vuole.
Il maggior numero di dribbling tentati sono il sintomo delle maggiori responsabilità che Zielinski si sta assumendo quest’anno. Il polacco ha accresciuto progressivamente la propria influenza, ricoprendo anche i vuoti delle assenze, di Osimhen e soprattutto Mertens. Da quando il belga è uscito per infortunio, Gattuso lo sta schierando trequartista centrale, e Zielinski ha una grande libertà di movimento e sta accettando più responsabilità. Contro Torino e Cagliari, senza Mertens, Zielinski ha toccato il massimo di tiri stagionali, 5 e 6.
A volte la severità delle critiche nei suoi confronti è stata eccessiva, ma dimostrava per contrasto la vastità del suo talento. Sarri qualche anno fa si era sbilanciato come ha fatto con pochi altri giocatori: «È un talento assoluto dal punto di vista tecnico, ha grandi doti fisiche, se cresce a livello di personalità può decidere lui dove giocare in futuro, potrebbe farlo in qualsiasi zona del campo. Può diventare il nuovo De Bruyne». Nel 2016 andò al Napoli rifiutando anche la corte di Jurgen Klopp che avrebbe voluto portarlo al Liverpool.
Quest’anno sembra mentalmente in grado di rispondere alle grandi aspettative che da sempre si nutrono su di lui. Nei nostri giudizi lo facciamo spesso passare per un veterano della categoria, ma in fondo ha ancora ventisei anni.