
Arrivati all’ottavo gioco del secondo set, andava tutto bene per Carlos Alcaraz. Giocava passanti e smorzate spettacolari, agitava il pugno verso il suo angolo, sorrideva. Tutti sembravano divertirsi, e c’era una certa allegria diffusa sul campo di Miami. Il buon umore di quando Alcaraz gioca bene a tennis e le cose sembrano andare al loro posto. Torna una certa armonia nel mondo.
Dopo un rovescio incrociato vincente, Alcaraz è sul 30 pari, sul punto di fare il break decisivo del secondo set dopo aver vinto il primo. Il peso dei suoi colpi sembra semplicemente troppo per il povero David Goffin - uno di quei tennisti la cui normalità serve per far splendere l’eccezionalità degli altri.
Poco dopo Alcaraz si ritrova sotto 0-40. Non è semplice capire perché, è stato un battito di ciglia, un breve passaggio a vuoto dello scorrere del tempo. Un calo di tensione brevissimo, una manciata di minuti, un’uscita pigra dal servizio, un rovescio tirato via, e si ritrova con l’avversario a servire per il secondo set. David Goffin ha avuto il merito di restare concentrato e di non mollare la partita. Sapeva che se ci avesse creduto avrebbe avuto una possibilità, perché chiunque sa di avere una possibilità con Alcaraz in questo momento. Ed è questa, più di ogni altra cosa, la situazione peggiore per lo spagnolo in questa fase. Il suo status non gli procura timore reverenziale, ma il desiderio di prendersi il suo scalpo - quello di un animale magnifico ma estremamente fragile. E il tennis è uno sport di equilibri psicologici sottili, in cui offrire questo tipo di vantaggio agli avversari può rivelarsi fatale.
Poco dopo Alcaraz è sotto 2-0 anche nel terzo set, la partita era andata. Saranno passati massimo dieci minuti da quando il match sembrava innocuo, un primo turno come un altro. Dovremmo parlare dei meriti di David Goffin, che è stato numero 7 del mondo otto anni fa, e che oggi, a 34 anni, va ancora in giro a battere dei top-3 grazie al suo cervello. Contro Alcaraz ha giocato a chiudere gli spazi in avanti. È stato con i piedi ben dentro il campo, ha giocato in anticipo e assorbito la potenza da fondo dell'avversario; col servizio ha usato la tattica ormai consolidata contro Alcaraz: lo slice a uscire da destra. È raro che un giocatore di quel livello giochi due partite di fila così terribili come quelle giocate da Alcaraz, a Indian Wells contro Draper e a Miami contro Goffin. Due sconfitte orrende, sebbene arrivate in modi diversi, e che raccontano il momento che sta vivendo.
Contro Goffin abbiamo visto la sua incapacità a reagire al piano di gioco dell’avversario. La sconfitta nel deserto americano contro Draper è però persino più inquietante, nonostante l’inglese abbia giocato un torneo di altissimo livello, che lo ha consacrato come un potenziale vincitore Slam. Alcaraz però lo aveva battuto già 3 volte sul cemento e a Indian Wells gioca nelle migliori condizioni possibili per il suo tennis. Se dovessimo indicare qual è il campo da tennis preferito di Alcaraz, quello che esalta maggiormente il suo gioco, dovremmo dire quello: cemento lento, rimbalzi alti e regolari. Nel torneo Alcaraz ha toccato picchi di gioco spaventosi. Ha lasciato due game al numero 15 del mondo Grigor Dimitrov e nessun game nel secondo set a Draper. Poi all’inizio del terzo set è successo lo strano episodio della video review, Alcaraz si fa togliere il servizio e sbraca per un quarto d'ora.
È troppo difficile da riassumere cosa è successo in quel passaggio, fate prima a recuperare questo pasticcio di Mohamed Lahyani.
Finora abbiamo citato le partite che Alcaraz ha perso, ma bisognerebbe citare anche quelle in cui ha vinto; nelle quali, cioè, è riuscito a tirarsi fuori da grosse buche di punteggio in cui si era cacciato a causa di questi profondi cali di tensione che vive nelle partite. Per esempio nei cinque set a Wimbledon giocati contro Tiafoe.
Quella semifinale con Draper è solo la prima in un Master 1000 negli ultimi dodici mesi, in cui non ha mai fatto finale in quella categoria di torneo dopo Indian Wells dello scorso anno. In questi dodici mesi difficili Alcaraz è riuscito comunque a vincere due Slam e a giocare una finale ai Giochi Olimpici, il che rende piuttosto complicato parlare di Alcaraz per noi che scriviamo di tennis. Ad avanzare un discorso critico ci si sente spesso rispondere che a 21 anni lo spagnolo ha già in bacheca 4 tornei dello Slam di cui 2 Wimbledon. Tutto vero, ma essere critici non significa essere per forza distruttivi, e può essere interessante riflettere su cosa non vada nel tennis di Alcaraz pur non negandone la grandezza. Anche perché ormai questo momento torna a cicli continui. Nel 2023, dopo la sconfitta a Cincinnati contro Djokovic; nel 2024 dopo quella contro Botic van De Zandschulp agli US Open. Momenti che tornano con una frequenza sempre maggiore. Alcaraz non è un dominatore, e non è detto che lo diventerà, ma ora ci si chiede se non possa addirittura trovarsi in una situazione peggiore tra poco.
Si può dire che dopo l’eliminazione agli US Open i problemi di Alcaraz, che in quel momento sembravano episodici, si sono stabilizzati. Si continua a parlare di alti e bassi e irregolarità di risultati, ed è vero, ma a questo punto possiamo cominciare a individuare un pattern dentro un lasso di tempo più ampio e che ci dà delle risposte più consistenti e affidabili. Una regolarità all'interno di questa discontinuità.
Ognuno può scegliere il suo punto di partenza, ma il mio resta la sconfitta contro Djokovic a Cincinnati 2023. Nel successivo slam, a New York, viene eliminato da un Medvedev stranamente aggressivo. Se consideriamo solo i tornei su cemento più prestigiosi - Slam e Master 1000 - Alcaraz da quel momento non è mai andato oltre i quarti di finale escluso appunto Indian Wells 2024, che però come detto presenta condizioni peculiari che non esistono altrove - e forse non è del tutto un caso che dopo due vittorie del torneo consecutive Alcaraz abbia deluso quest’anno in cui la superficie è cambiata diventando più rapida. Si parla dei suoi problemi sempre in termini di continuità e stabilità psicologica, ma innanzitutto va detto che Alcaraz ha un problema con i tornei su cemento, ma che in modo?
Sarebbe assurdo sostenere un problema di adattabilità del suo tennis a una superficie. Su cemento Alcaraz ha vinto il suo primo Slam in carriera e ha saputo battere più o meno chiunque. Non c’è, del resto, niente che il suo tennis non sappia fare. Però c’è un fatto, e cioè che negli ultimi anni il circuito su cemento è decisamente più competitivo rispetto alle altre superfici. Oggi quasi il 70% del calendario tennistico è occupato da tornei su cemento, e questo ha generato tennisti che possono anche sparire, o limitare i danni, durante la primavera e fare i punti necessari alla classifica il resto del tempo. Tennisti che hanno la propria superficie preferita nel cemento e che su terra e soprattutto su erba si adattano poco. Alcaraz, insomma, che invece si adatta benissimo a terra ed erba, ha semplicemente meno avversari lì. I tornei sono più comodi.
Le superfici “morbide” sono meno severe con la discontinuità di Alcaraz dentro la partita. La varietà del suo gioco, che su cemento a volte diventa fonte di confusione, su terra ed erba è un vantaggio molto grande. Soprattutto contro giocatori lineari che faticano a gestire ritmi e traiettorie spezzate. La terra esalta la sua resistenza difensiva, l'erba la sua capacità d'improvvisazione.
Questi vantaggi si amplificano negli Slam, dove i cinque set permettono ad Alcaraz di riassorbire nel punteggio i propri passaggi a vuoto psico-fisici. Non voglio ridimensionare le sue vittorie, ma Alcaraz ha vinto l’ultimo Wimbledon battendo avversari non di primissimo livello. In semifinale ha sconfitto Medvedev, uno dei peggiori top-10 su erba della storia recente, e in finale una versione molto minore di Djokovic. A Londra partirà di nuovo come favorito assoluto indipendentemente da come ci arriverà, perché il resto del circuito gioca troppo male sul verde. Stessa cosa, almeno parzialmente, al Roland Garros.
Senza fare grandi risultati sul cemento, però, è complicato puntare a essere numero uno del mondo. La classifica non mente: nel 2022 Alcaraz era numero uno del mondo, nel 2023 numero 2, nel 2024 numero 3 e oggi non appare del tutto implausibile scendere ulteriormente in classifica, vista la quantità di punti che avrà da difendere nei prossimi mesi e il suo attuale stato di forma. Tutto questo per dire che non si può più parlare di passaggi a vuoto, ma si può notare invece un chiaro percorso di involuzione di Alcaraz negli ultimi due anni e mezzo. Forse è un filtro troppo severo attraverso cui leggere la sua storia recente, ma da quando ha vinto Wimbledon 2023 i suoi avversari hanno capito di più come gestire l’elettricità del suo gioco tatticamente, e mentalmente sanno di avere sempre possibilità di rientrare; mentre lui non ha ancora trovato un equilibrio e una stabilità, e a ogni sconfitta sembra sempre più frustrato.
Per questo negli ultimi mesi si parla con sempre più insistenza di un possibile cambio di allenatore, che oggi è Juan Carlos Ferrero. Soprattutto dopo la sconfitta contro Djokovic in Australia - un Djokovic mal ridotto - si è iniziato a dire che il gioco di Alcaraz sia arrivato a un punto morto, e che ci sia bisogno di cambiare qualcosa. L’esempio è quello di Sinner, che lasciando Piatti in favore della coppia Cahill-Vagnozzi è riuscito a lavorare su difetti fino a quel momento cronicizzati. Finora le scelte di Alcaraz sono state più conservative. A dicembre ha aggiunto Samuel Lopez al suo staff, senza però che ci siano stati risultati tangibili, o che si sia vista una direzione.
«Come mi sento? Terribile…», dice Alcaraz, triste e inconsolabile dopo la sconfitta contro Goffin. La seconda sconfitta consecutiva contro David Goffin, tre anni dopo la prima. C’è qualcosa di profondo e universale nella tristezza di Alcaraz quando perde, perché sembra la tristezza assoluta di un bambino che non riesce ancora a capire del tutto la durezza del mondo, quanto questo può essere maligno e intricato. Non un bambino qualsiasi, ma un bambino geniale. Se perde Alcaraz, perde tutto il tennis, siamo tutti tristi; i più pragmatici dicono che la sua sconfitta fa male all’appeal dello sport nel mercato dell’attenzione; i più lirici dicono che se perde Alcaraz perde il tennis. In questo è davvero l’erede di Roger Federer.
Alcaraz è confuso, gli mancano le parole. «Stavo giocando un buon tennis, mi sentivo bene, ma dopo questa sconfitta non so cosa dire». Di fronte a questa sconfitta non sa bene cosa fare: «Non sono sicuro cosa fare nei prossimi giorni. Analizzerò la sconfitta o proverò a dimenticarla. Vedremo». Nell'indecisione forse possiamo leggere molti dei problemi di Alcaraz: guardare dentro il male, non distogliere lo sguardo e provare a capirlo? Oppure fare finta di niente e restare positivi, non lasciarsi intaccare dalla sconfitta: dimenticare. È l’eterno dilemma emotivo del tennis. Bisogna giocare pensando a fondo a quello che si sta facendo, provare a decriptare i codici profondi del gioco, oppure rimanere sulla superficie e lasciarsi guidare dall’istinto, giocare solo attraverso la memoria involontaria?
Alcaraz finora ha scelto di lasciar fluire il suo gioco. Dopo i punti importanti agita il pugno e sorride. Si ripete frasi motivazionali, cerca di restare positivo. Il suo lavoro in campo sembra più mentale che tattico. Anche i suoi allenatori sembrano confermarlo. Samuel Lopez ha detto di aver posto molto enfasi «sul fatto che sia prima di tutto se stesso. Ci siamo preoccupati molto di questo e non tanto del tennis, per costruire Carlos. Lui lo sta capendo e ci sta riuscendo: è uno degli obiettivi che ci siamo fissati nella pre-season». Anche Ferrero è stato chiaro su quale sia il problema di Alcaraz: «Ha degli alti e bassi durante la partita, qualcosa su cui dobbiamo lavorare di giorno in giorno».
Quello di Alcaraz viene sempre raccontato come un problema squisitamente mentale. Anche dai suoi allenatori. Un problema che però a quanto pare non è mai stato risolto del tutto. Già nel 2021 Ferrero raccontava della formazione di Alcaraz in un’intervista al sito della ATP: «Sin da piccolo ha avuto la tendenza ad essere un po’ discontinuo: per certi tratti giocava benissimo e poi iniziava a sbagliare tutto. Gli capita ancora ogni tanto, ma adesso è molto più stabile; si tratta di un aspetto che ho menzionato spesso in questi tre anni e che lui è stato in grado di affrontare attraverso il lavoro con Isabel Balaguer, una psicologa».
Balaguer è direttrice dell’unità di ricerca sulla psicologia dello sport all’Università di Valencia. Ancora oggi lavora con Alcaraz, e sembra volerlo formare in una specie di dimensione olistica: «Isabel mi dice molte cose per essere in armonia con me stesso. Nelle partite devi essere in sintonia con il tuo corpo e raggiungere il tuo obiettivo». Prima della finale di Wimbledon 2023 lo ha aiutato a calmarsi preparando una routine pre-partita. Si dice che dopo la semifinale persa contro Djokovic al Roland Garros di qualche mese prima, in cui Alcaraz ha sofferto di crampi da ansia, abbia intensificato il lavoro con lei. Inevitabilmente quindi Balanguer è sul banco degli imputati in queste settimane.
Eppure la dimensione mentale nel tennis è sempre collegata a quella del gioco. Siamo sicuri che l’instabilità psicologica di Alcaraz non sia collegata alla sua instabilità tattica? Nel tennis non è semplice dire dove iniziano le questioni tattiche, dove quelle tecniche e dove quelle mentali. È un gomitolo davvero difficile da districare.
L’approccio di Ferrero sembra quello della tradizione spagnola allo sport, per cui bisogna avere una certa filosofia nel fare le cose, da portare avanti indipendentemente dall’avversario: «Bisogna essere sempre se stessi, avere chiara la propria identità. Non aver paura di perdere, ma se si perde, farlo dopo aver giocato nel proprio stile». Queste sono parole di Lopez ma valgono sicuramente anche per Ferrero. Nel tennis è davvero possibile qualcosa del genere? In uno sport così relazionale, si può seguire una propria filosofia di gioco indipendente dalle risposte che l’avversario che trova? Quand’è che questa identità diventa ideologia? È un approccio perfetto per sviluppare un giocatore, ma quando si arriva ai vertici e il tennis diventa opaco e intricato, forse nessuno si può permettere di essere esclusivamente istintivo. Forse nemmeno Carlos Alcaraz, col suo immenso talento, può permettersi di ignorare che un avversario esiste e adotta continue contromisure per disinnescare i tuoi punti di forza.
Facciamo qualche esempio. È chiaro che il servizio in slice nell’angolo della parità è qualcosa che soffre. Se ne è accorto Medvedev, poi Djokovic, e ora persino Goffin. Alcaraz, però, continua a non trovare risposte. Nella partita contro Goffin sembrava evidente che il belga soffrisse il back sul lato del dritto, ma è un’arma che Alcaraz ha continuato a esplorare poco. Contro Djokovic agli US Open ha continuato ad accettare scambi manovrati centralmente invece di abbassare la velocità e puntare più agli angoli, contro un avversario che si muoveva male. A volte sembra appiattirsi nelle letture del servizio avversario ma anche del proprio, variando troppo o non variando mai. Eppure nel tempo libero Alcaraz gioca a scacchi proprio per migliorare i tempi di risposta alle strategie avversarie - «Negli scacchi, come nel tennis, se ti perdi per un momento il gioco è finito e non lo ribalti più. Grazie ad alfieri e cavalli osservo meglio anche i movimenti della palla in campo».
Bisogna dire chiaramente che Ferrero è stato decisivo per rendere Alcaraz speciale. Gli ha lasciato sviluppare un gioco libero e creativo, senza imbrigliarlo in pattern di gioco rigidi. È il motivo per cui il tennis di Alcaraz non somiglia a quello di nessun altro: non c’è niente di scontato, né di dato in questo. Certo, il talento dello spagnolo aiuta, ma la mano dell’allenatore si vede. Ora però bisogna capire se ad Alcaraz non serva forse altro per andare avanti.
Qualcosa cambia nel gioco degli Alcaraz. Per esempio ha lavorato sul movimento di preparazione del rovescio e anche il lancio di palla della prima di servizio di recente sembra andare in direzione di una maggiore aggressività. Però l’impressione è che ad Alcaraz manchi un piano di gioco definito, le idee chiare per stare rilassato dentro le partite. Avere in alcuni pattern di gioco la coperta di Linus in cui rifugiarsi nelle situazioni di tensione, magari rinunciando a un po’ di spettacolarità. Oppure forse dovrebbe esplorare ancora di più la sua varietà, ma questo gli richiederebbe più sveltezza tattica e più stabilità mentale. Diventare più lineari oppure ancora più vari? È un'enigma difficile da sciogliere. Da solo Alcaraz in campo non riesce a trovare le risposte, e secondo alcuni Ferrero “telecomanda” un po’ troppo il suo assistito dagli spalti - forse impigrendone l’intelligenza tennistica. Sembra che la macchina cerebrale del tennis di Alcaraz non sa all'altezza di quella tecnica.
Alcaraz è un tennista dello sperpero, e i momenti di flessione che vive all’interno delle partite sembrano seminare quelli di esaltazione. Il rimbalzo è più alto perché la caduta più forte. O almeno questa è l’impressione che offre Alcaraz in certe partite. L’energia e la felicità con cui gioca sembra anche il prodotto dell’entusiasmo di essersi ritrovato, di scoprire di saper giocare ancora a tennis con quella brillantezza.
C'è anche una questione tecnica. Non avere un servizio dominante non gli permette di avere stabilità durante i match, a ricucire i passaggi a vuoto, e a nascondere con più grazia i cali di tensione. Senza un primo colpo dominante è costretto a non poter economizzare talvolta il suo gioco nelle varie fasi di partita. Certo, nessuno cambia ritmo da fondo con la facilità di Alcaraz, ma non avere una prima di servizio che inclina subito lo scambio lo costringe a tenere la tensione alta. E tenere sempre la tensione alta può provocare punti di rottura.
Alcaraz in campo è un pendolo tra lo sconforto più puro e l’esaltazione assoluta: «Oggi stavo combattendo contro me stesso e la mia mente. Tante emozioni che non riuscivo a controllare. Vincevo dei punti e mi gasavo. Dopo perdevo dei punti e mi buttavo giù», ha detto dopo la sconfitta contro van de Zandschulp.
Insomma, la discontinuità di Alcaraz è legata all’istinto con cui gioca; e l’istinto è ciò che rende il tennis di Alcaraz speciale. Credo sia questo che intenda Ferrero quando dice di voler che Alcaraz sia sé stesso. Magari anche perché non è sicuro che modificando il suo approccio, semplificandolo o rendendolo più cerebrale, Alcaraz possa migliorare. La stabilità mentale, l’acume tattico, sono cose che si imparano? Non è semplice dirlo, ora siamo in un'impasse.
L’impressione è che molto del rapporto tra Alcaraz e Ferrero si giocherà nei prossimi mesi. Dovesse fallire al Roland Garros allora potrebbe davvero arrivare una decisione drastica.
Cambiare allenatore può portare benefici, come abbiamo visto con Sinner, ma può essere anche un salto nel vuoto, come visto con Rune, che oggi è tornato con la coda tra le gambe dal suo primo allenatore danese. Lo stesso Sinner ha dovuto affrontare alcuni mesi in cui il suo gioco sembrava anche più instabile del solito. È quello che succede quando si avvia un processo di cambiamento. Ci possono essere traumi e cattivi risultati. Un allenatore per un tennista non è solamente un allenatore, e in ballo non ci sono solo aspetti tattici e tecnici. È una persona con cui si viaggia, l’unico bastone a cui appoggiarsi in un mondo di pressioni e precarietà esistenziale. Alcaraz ha accanto Ferrero da quando è adolescente e il suo valore va ben oltre gli aspetti tecnici. Lorenzo Musetti, per esempio, preferisce continuare ad allenarsi con Tartarini, il suo allenatore di quando era ragazzo, perché riconosce il suo supporto umano come inestimabile. Ognuno ha il suo percorso, non esistono ricette universali. Magari ad Alcaraz farebbe bene uscire dalla sua zona di comfort e provare a responsabilizzarsi? Oppure rischia di trovarsi in un vuoto troppo grande, in questo momento di grande confusione instabilità emotiva? Non ci sono risposte semplici.
Il 2024 è stato l’anno in cui il tennis è ufficialmente entrato in una nuova era, ma questi primi mesi del 2025 sono stati strani e difficili da leggere. La squalifica di Sinner ha aperto la possibilità di correre per la prima posizione del ranking. Invece di essere stimolati dall’obiettivo, Zverev e Alcaraz sono crollati di fronte alla pressione.
La Top-10 è instabile e il Sunshine Double difficile da predire. A Indian Wells ha trionfato Draper, in una finale a tratti inguardabile contro Rune; a Miami nessuno dei semifinalisti dello scorso torneo è ancora in gara. C’è una grossa possibilità per Djokovic, che nelle ultime settimane è parso in fase terminale in campo e confusissimo al di fuori di esso. Joao Fonseca sta arrivando ma è ancora presto. È superfluo e banale, a questo punto, dire che il tennis abbia bisogno che Alcaraz non si disunisca.