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La sciatrice italiana più vincente di sempre
14 feb 2025
Il percorso che ha portato Federica Brignone a dominare lo slalom gigante ai Mondiali di Saalbach.
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C’è stato un momento in cui, chi era davanti alla televisione ieri pomeriggio verso le 14:10, ha pensato che fosse finita. Era in corso la seconda manche del gigante femminile dei Mondiali di Saalbach, in Austria, e a metà gara un’italiana era in testa. Federica Brignone doveva ancora scendere, ma dopo tante atlete sul filo di lana, che si superavano o arrivavano dietro di pochissimi centesimi, Alice Robinson aveva fatto la manche della vita. È una predestinata, Robinson: il suo primo podio in Coppa del Mondo è arrivato quando non era ancora maggiorenne, ha già vinto in gigante quest’anno e ha rifilato quasi due secondi a tutte.

Da leader della gara era appena stata scalzata Thea Louise Stjernesund: per un solo centesimo da Paula Moltzan. Stjernesund, che non ha mai vinto né in Coppa del Mondo né ai Mondiali a livello individuale, è scoppiata in un pianto inconsolabile. Poi è arrivata la grande speranza dello sci neozelandese, Alice Robinson, a prendersi quello che sembrava l’oro della consacrazione. Mancava solo Brignone, per l'appunto.

Stjernesund trattiene il fiato: potrebbe ancora andare sul podio. Moltzan è sicura di una medaglia e qualsiasi metallo era mediamente inatteso. Robinson sogna la prima vittoria i Mondiali. Manca Brignone.

Difficile che senta la pressione. È salita sul podio di Coppa del Mondo per la prima volta nel 2009, sta riscrivendo record di longevità da un paio di stagioni, è l’unica italiana ad essere riuscita nell’impresa più ambita e difficile per una sciatrice, cioè vincere la classifica generale di Coppa del Mondo. Eppure quest’anno Brignone, in gigante, ha vissuto solo di alti e bassi: ha vinto a Soelden e a Semmering, è uscita a Killington, Kranjska Gora e Kronplatz. I fantasmi di quest’ultima gara sembravano ripresentarsi: Brignone vince la prima manche, Robinson la attende sulla poltrona di leader. Sulla Erta era uscita, gestendo male un dosso.

Ieri però è andata diversamente: Brignone non ha solo vinto, ha sciato come forse non ha mai fatto in carriera. Miglior tempo assoluto anche in seconda manche, quasi un secondo rifilato a Robinson, quasi tre – un distacco fuori dall’ordinario – a tutte le altre.

Camilla Alfieri, ex sciatrice e ora commentatrice tecnica per Eurosport, parla di «un altro sport» fatto da Brignone rispetto alle avversarie. Ieri, tra le 53 porte ai piedi dello Zwölferkogel, la montagna del Tirolo austriaco che ospita tutte le gare di questi Mondiali, era impossibile sciare meglio di Brignone.

Qui per fare un piantino: la seconda manche vista con la madre.

Questi di Saalbach non sono i primi, grandi Mondiali di Federica Brignone. È la più vincente sciatrice italiana di sempre (due leggende come Isolde Kostner e Deborah Compagnoni hanno meno vittorie in lei in Coppa del Mondo sommate), eppure qualcosa l’ha continuamente resa sottovalutata, o seconda, o meno apprezzata di quanto valga realmente. Le manca l’oro olimpico, ha una compagna di squadra mediaticamente molto ingombrante, appena ha due giorni liberi durante la stagione torna nella sua Valle d’Aosta e sta comunque in mezzo alla neve. Non è, tuttavia, la classica montanara, e nemmeno una tipica persona introversa. Per capire appieno Federica Brignone bisogna partire dalla madre, Maria Rosa Carla Anita Quario, detta “Ninna”, che a sua volta fu una sciatrice leggendaria.

GLI INIZI
La più forte e famosa Nazionale italiana di sci alpino di sempre, la Valanga azzurra, è ormai agli sgoccioli. Stanno per cominciare gli anni Ottanta e Gustav Thoeni e Piero Gros sono a fine carriera. Con loro, anche la squadra che aveva fatto paura a tutti sta per chiudere un ciclo. Proprio a cavallo tra anni Settanta e Ottanta, comincia a vincere una generazione di donne fenomenali: Daniela Zini, Paola Magoni, l’attuale vice presidente del CONI Claudia Giordani e Ninna Quario compongono quella che venne ribattezzata Valanga rosa. Zini e Quario firmarono, nel gennaio 1984, la prima storica doppietta della nazionale femminile di sci alpino. Oggi, anche grazie alla figlia di Quario, arriva almeno una doppietta da nove anni consecutivi.

Come la madre, Brignone è nata a Milano. Il padre Daniele, invece, è originario di Savona, ma è maestro di sci a Courmayeur, dove hanno casa i nonni. Fin da piccolissima Federica frequenta le nevi valdostane: "Ho iniziato a sciare a un anno e mezzo, zampettando con un paio di sci di plastica dove capitava, anche a Milano sui tappeti del nostro appartamento", scrive Brignone sul proprio sito. Nel 1996, quando Federica ha 6 anni, la famiglia trasloca in Valle d’Aosta, a La Salle, per assecondare il sogno della madre di vivere in montagna e nella natura. Il padre la allena solo per un paio d’anni («mi dava fastidio che la gente pensasse che se avevo successo era solo perché ero figlia di»), ma ammette di aver appreso dai genitori la sua educazione motoria. I suoi genitori «non riuscivano a stare fermi, giocavano a tennis, correvano, arrampicavano e lo facevano sempre con me e mio fratello, senza mai lasciarci soli».

Il padre, che oggi non è più sposato con Ninna Quario, ricorda che non ha mai pensato di stare costruendo un’atleta: «Volevo solo che sviluppasse tutte le capacità motorie possibili, divertendosi». Sempre Daniele Brignone: «Sono il contrario del padre di Andre Agassi che lo obbligava al tennis; non c’è stato niente di prestabilito, le scelte sono state tutte sue, figlie della sua passione e della sua tenacia». Federica gli riconosce di aver sviluppato precocemente in lei «quelle qualità che oggi mi rendono un’atleta sui generis: una grande adattabilità, molta coordinazione ed equilibrio». La madre, invece, terminata la carriera continua a frequentare il Circo Bianco come giornalista e appena può si porta dietro i figli, Federica e Davide, di tre anni più giovane. Da questi viaggi della madre scaturiscono queste foto incredibili dei fratelli Brignone piccolissimi con Tomba o Ghedina.

Ninna Quario intervista la figlia dopo che Brignone ha vinto il gigante di Solden nell’ottobre 2015.

Brignone comincia a vincere qualche gara giovanile, a 15 anni arriva quarta alla fase nazionale del Trofeo Topolino, una delle più importanti gare al mondo per le categorie Ragazzi (Under 14) e Allievi (Under 16), oggi nota come Alpe Cimbra FIS Children Cup. Come avviene a buona parte dei talenti più promettenti dello sci italiano, a 16 anni Brignone entra nella pipeline della Nazionale, dapprima con la squadra C (è una trafila che abbiamo spiegato meglio qui).

Fa impressione leggere oggi i nomi delle ragazze che erano in squadra con lei: nessuna scia più da anni a livello agonistico. Giulia Candiago lavora come addetta stampa della FIS, Irene Curtoni – dopo una brillante carriera, terminata nel 2021 – commenta le gare di sci per la televisione svizzera in lingua italiana.

LA CONSACRAZIONE

Brignone brucia le tappe. Fin dalla prima stagione nel circuito FIS viene portata a fare gare di Coppa Europa, il circuito cadetto alla Coppa del Mondo. In questo gigante del febbraio 2006 a Roccaraso, per esempio, è l’unica classe 1990 al via e sfiora un piazzamento nelle 30. Nella stagione 2008/2009 vince i Mondiali juniores in combinata e in Coppa Europa fa punti in tutte le discipline, mostrando i primi segni di una polivalenza invidiabile.

È il 28 novembre 2009 quando, a 19 anni, Brignone finisce sul primo podio di Coppa del Mondo, in gigante ad Aspen. Si tratta della sua quinta gara in assoluto al livello più alto dello sci alpino, e dimostrerà che non è un fuoco di paglia nelle settimane successive, arrivando due volte quarta, sempre in gigante. È ormai una delle migliori al mondo in gigante (ai Mondiali di Garmisch 2011 arriva seconda, tra Tina Maze e Tessa Worley), ma tutto il resto è abbastanza nebuloso. Brignone è considerata una sciatrice più adatta alle discipline tecniche che a quelle veloci: fino al gennaio 2016 parteciperà a solo tre discese libere in Coppa del Mondo, senza mai andare a punti, mentre in slalom, almeno nei primi anni di carriera, prende parte a tantissime gare arrivando raramente in fondo e ancor più raramente a punti. Tutt’oggi Brignone ha più partenze in slalom (63, con zero top-10 raggiunte) che in discesa (59, dieci podi e due vittorie) in Coppa del Mondo.

Guardando indietro, questo ritardo con cui ha approcciato le discipline veloci frustra Brignone. Nel 2020, intervistata dalla madre in Bulgaria, dice che «a Bansko è iniziata la mia carriera da velocista. Non volevano mai farmi fare le gare veloci, ma nel 2015 col 50 arrivai 15esima in superG» e le cose iniziarono a cambiare. Il direttore tecnico, dopo anni di Livio Magoni, cambia e diventa Gianluca Rulfi. Gianmario Bonzi faceva già telecronache per Eurosport all’epoca, e oggi conferma che è stato lui il fattore determinante. «Arriva Rulfi e cambia tutto. Riesch e Vonn sembravano irraggiungibili, invece la questione era solo come veniva impostato l’allenamento. È una svolta incredibile per Federica».

Ripercorrere tutte le tappe di una carriera lunghissima e piena di gare, successi e infortuni sarebbe lavoro da biografo, limitiamoci quindi a delineare alcuni momenti chiave della carriera di Brignone. Il primo, lungo stop (si opera per rimuovere una cisti tendinea situata all’altezza del malleolo della caviglia destra) la costringe a saltare gran parte della stagione 2012/13, compresi i Mondiali di Schladming. La stagione olimpica di Sochi 2014 e quella successiva sono difficili per Brignone: non riesce a mettere assieme i pezzi di un talento enorme. Nel gennaio 2016 Gianluca Rulfi è il responsabile delle discipline tecniche femminili e, parlando di Brignone in gigante, dice che «se si vuole lottare per la coppa di specialità non si può essere così irregolari. [...] Bisogna riuscire a mettere insieme più manche senza sbagliare, magari a volte si può anche andare un po’ più lenti, ma dimostrare stabilità».

In un’altra intervista, sempre dei primi mesi del 2016, Brignone afferma con rammarico che puntare alla Coppa del Mondo generale, per un’atleta italiana, è quasi impossibile, e non per colpa delle atlete: «Se guardate i campioni che hanno vinto o quasi vinto le ultime coppe, dalla Maze alla Fenninger, dalla Vonn alla Gut, a Hirscher, tutti hanno un team personale. E, senza alcuna polemica, penso che avrei bisogno di qualcosa di più. Non penso a un team privato, a me piace stare con le compagne, mi piace il gruppo. È già stato fatto un super lavoro, ma dovrei riuscire a spostarmi con più autonomia tra una squadra e l’altra (di prove tecniche e velocità). E poi dipenderà dalla forma, dal fisico e dagli acciacchi».

La vera svolta avviene quando riesce a ritagliarsi una maggiore autonomia all’interno della squadra. Una sorta di team privato all’interno della Nazionale, come possono permettersi solo i campionissimi: dal 2017 la allena Davide, il fratello, che ha avuto una carriera breve a causa di continui infortuni alle ginocchia. Per circa un lustro, però, va avanti una querelle all’interno della nazionale: Brignone vuole più autonomia e avere sempre il fratello di cui si fida ciecamente accanto, la federazione non ha intenzione di assumerlo. Quindi Davide risulta «a libro paga di mia sorella, è uno sforzo non da poco per lei», rivela nell’ottobre 2021. «A Federica avevano detto che non sarei dovuto venire alle gare: la mia presenza e il mio ruolo sono sempre mal visti, ma con gli allenatori ho buone relazioni. Non mi lamento della situazione, vorrei solo che a tutti stesse a cuore il bene di mia sorella. È l’unica cosa che mi interessa».

Anche all’interno della FISI atleti con team sostanzialmente privati hanno fatto la storia, come Tomba, Compagnoni e Kostner. Negli ultimi anni, inoltre, chi ha vinto la coppa generale ha goduto di grandi autonomie (Hirscher, Shiffrin, Vonn, Gut-Behrami, Maze eccetera): il caso della Svizzera attuale, una nazionale in cui Marco Odermatt è primus inter pares, è quasi un’eccezione. Ogni anno la FISI pubblica un elenco di persone e atlete che compongono la Nazionale e il suo staff: il nome di Davide Brignone compare solo a partire dalla stagione 2022/23. Per la precedente accanto alla voce “Federica Brignone” compaiono due asterischi che recitano “programma dedicato”. Potrebbe sembrare una formalità, ma le ripercussioni sono molto concrete: se – esempio a caso – Brignone deve fare venti giorni d’allenamento in Argentina a settembre, chi paga la trasferta per lei e il suo staff? Capita che atlete del suo livello viaggino con al seguito 40 paia di sci: a chi si può appoggiare il suo skiman?

A proposito di skiman, Brignone può contare su uno dei migliori in circolazione. Mauro Sbardelotto («con una sola elle, come abbiamo da poco scoperto») ha iniziato a curare gli sci di Deborah Compagnoni dal 1994, quando la campionessa di Santa Caterina Valfurva ha iniziato ad allenarsi da sola. Compagnoni sciava su dei Dynastar, Brignone lo fa sui Rossignol: stessa azienda. Sbardelotto è quello che in gergo viene chiamato “skiman ditta”, cioè una figura che Rossignol – o Salomon, o Head, eccetera – paga per seguire in tutto e per tutto un singolo atleta sponsorizzato dall’azienda. Parlando della sensibilità di Brignone, Sbardelotto dice che «Fede è come Deborah, se le sposti anche una minima cosa lo capisce subito, certe atlete invece non sentono nemmeno se cambi radicalmente il set-up», cioè l’insieme di caratteristiche dello sci, degli attacchi e dello scarpone che lo rendono più o meno performante in certe condizioni. «Lo sci è come se fosse un mio piede allungato», conferma Brignone.

Sbardelotto, che lavora con Brignone dal 2013, ha instaurato un rapporto tale con Federica che era lui, anche ieri a Saalbach, il deputato a infilarle un po’ neve nel collo, pochi secondi prima della partenza. È un rito che prosegue da tanti anni.

GLI ULTIMI ANNI
In pista, intanto, Brignone continua a migliorare. Nella stagione interrotta dal Covid, la 2019/20, diventa la prima italiana di sempre a vincere la classifica generale: ma il modo in cui tutto questo avviene non la soddisfa affatto. A La Thuile, nella sua Valle d’Aosta, il giorno prima arriva seconda in superG, il giorno dopo cancellano la combinata. La settimana successiva cancellano le prove di Ofterschwang causa meteo avverso, la pandemia da Covid-19 leva anche le ultime sette prove tra Åre e Cortina. Quando le chiedono come le sono arrivate le coppe di cristallo, compreso quello grosso, Brignone risponde in modo al contempo ironico e desolato: «Il corriere è arrivato a casa dei miei, Davide mi ha mandato un messaggio con la foto delle tre coppe, le ha scartate lui. Mi ha chiesto: “Questa è roba tua o dobbiamo rispedirla indietro perché hanno sbagliato indirizzo?”. Il giorno dopo sono andata a ritirarle. Quando mi sono resa conto che non le ho ricevute come sempre sognavo, non volevo più vederle».

La stagione successiva, nella quale pure vince (superG in Val di Fassa) e va più volte sul podio, la sfianca al punto che pensa al ritiro. «Oggi non me ne fregava davvero nulla. Ho davvero bisogno di staccare e spero di ritrovare presto la motivazione per allenarmi, perché fare le gare in questo modo non ha senso» dice nel marzo 2021. È difficile sondare cosa le mancasse a livello mentale per fare un ulteriore passo in avanti, ma qualche anno dopo si chiederà: «Che cosa avrei raggiunto nella mia carriera se dieci anni fa avessi avuto questa testa qui?».

Chiunque le abbia parlato, nell’arco di una lunghissima carriera fatta di alti e bassi, successi e infortuni, conferma che Brignone è una gran mente. Non banale, molto diretta nelle cose che dice e fa, lavoratrice senza senso e generosa con le persone della sua cerchia. È difficile incasellarla in schemi preconfezionati: non fa segreto di aver utilizzato l’ipnosi, ha davvero a cuore tematiche ecologiste come l’inquinamento marino o lo scioglimento dei ghiacciai, ai vaccini (o all’obbligo vaccinale per competere a Pechino 2022) si è definita «non favorevole».

Sono tanti, insomma, i paradossi nella carriera di Brignone, sotto tutti i punti di vista. Il primo podio in Coppa del Mondo è arrivato quando era ancora adolescente, la prima vittoria ben sei anni dopo. Ha due soprannomi di riferimento, “gabbianella” (per il suo modo di sciare con le braccia aperte e per la fluidità che riusciva sempre a trovare nello sci) e “tigre”, che sono due animali diametralmente opposti. Secondo Matteo Guadagnini, ex direttore tecnico della Nazionale femminile, Brignone «è più talentuosa [di Goggia], il suo gesto è fine, sensibile, e pur essendo più gracile è comunque forte sugli appoggi. Stilisticamente è quasi perfetta, ciondola un po’ e sa usare le inclinazioni, cosa positiva fino a un certo punto, perché quando non riesce a gestirle va in terra».

Proprio il suo rapporto con Goggia ha fatto molto discutere negli ultimi anni. Che le due non si amino è fuori discussione, probabilmente però hanno imparato a rispettare le differenze e a non darsi fastidio a vicenda. Il culmine dell’acredine venne raggiunto nel febbraio 2022, con l’avvicinarsi delle Olimpiadi di Pechino. Eurosport le riporta una frase di Goggia, per la quale i rapporti tra loro sarebbero cambiati per il meglio. Brignone: «Ah sì, ha detto così? Buon per lei. Per me non sono cambiati. Siamo due persone con caratteri opposti. Si può benissimo convivere, se c’è rispetto reciproco. Bisogna togliersi il cappello davanti alle sue prestazioni, gliel’ho anche detto. È una grande atleta, poi il discorso umano è un’altra cosa».

In quei giorni circola molto un’intervista che diede Ninna Quario sul rapporto tra la figlia e Goggia: «Sofia è molto egocentrica, non vuole essere una critica, si vede molto al centro dell'attenzione, si piace e gode di questo, cerca di essere lodevole con se stessa. Federica è esattamente l'opposto: non cerca la ribalta, non è molto attiva sui social e non gliene frega niente di piacere alla gente, non dice mai le cose che sa che piaceranno alla gente, dice quello che pensa e che sente, è molto istintiva e spontanea. Sono semplicemente su due pianeti diversi». Secondo Quario, inoltre, tutto ciò che a livello di rapporti federali è stato negato a Brignone è stato invece concesso a Goggia. Sofia «quello che pretende lo ottiene, Federica è molto più arrendevole e quasi si vergogna a chiedere ciò che le spetta. [...] È indubbio che la situazione non sia proprio paritaria».

It doesn’t get much more Valle d’Aosta than this.

In tantissime interviste Brignone deve ripetere che il suo vero idolo è solo uno: Roger Federer. E c’è qualcosa di federeriano nel suo portamento, perfino nel modo in cui scia, fiero ma discreto, elegante e inarrestabile. Al contrario di Federer, però, Brignone rifugge la sovraesposizione mediatica. Non vorrebbe mai, dice, avere «la notorietà della Vonn, il fatto di non aver mai un momento per me, con tutti che ti cercano». Quando le chiedono cosa ruberebbe a Goggia, Brignone è sicura: «Il suo savoir-faire con i giornalisti e la sua capacità di fare velocità nei tratti facili».

Brignone è una delle sciatrici più appaganti del circuito. «A me piace fare le curve, non voglio sentire lo sci quasi scivolare. Per me è come se avessi un compasso sotto i piedi», ha detto una volta, e questo suo modo molto geometrico di sciare è evidente. In questa stagione ha già vinto in discesa (prime volte in carriera), in superG e in gigante: attualmente comanda la classifica generale di Coppa del Mondo. È troppo presto per sbilanciarsi, mancano ancora tantissime gare: ma, anche grazie alla lunga assenza di Shiffrin, Brignone è in un’ottima posizione. Eppure, essendo una perfezionista e quindi destinata ad essere insoddisfatta, difficilmente si fermerà qui. Continuerà a lavorare a secco (fin quasi a vomitare, diceva dopo una delle prime sedute col preparatore Federico Colli), a cercare pieghe impossibili, a non prendersi con la forza attenzioni di cui non saprebbe che farsene.

Semplificando al massimo, tutto ciò che fa Brignone è lavorare duro, presentarsi al cancelletto di partenza, vincere, ripetere tutto daccapo. Scia per chi se ne intende di sci, i risultati parlano per lei. Si è pienamente guadagnata il diritto di decidere quando e come smettere e fino ad allora farà l’unica cosa per cui è naturalmente portata: competere per vincere.

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