Quando nella stagione 2003 la NBA ha organizzato il primo incontro dei San Antonio Spurs a Parigi, per promuovere la Lega in Francia e consolidare lo status di icona di Tony Parker, si era affidata a Zinedine Zidane, Thierry Henry e altri grandi sportivi francesi per dare un tocco di glamour all’evento, che dopotutto era una partita di pre stagione. Il commissioner era ancora David Stern, in un momento in cui era impegnato a rifinire la sua gioiosa macchina da guerra del marketing, sempre meno americano-centrica e più aperta al resto del mondo. Gli Spurs, reduci dal secondo titolo della loro storia, erano i testimonial perfetti per il grande respiro internazionale del proprio roster e la grande fiducia concessa al playmaker franco-belga.
A distanza di 22 anni la situazione è profondamente cambiata: le partite di campionato si giocano abitualmente in uno scenario mondiale, e per rintracciare l’ultimo MVP nato negli Stati Uniti dobbiamo scorrere gli almanacchi fino alla stagione 2017-2018 che ha incoronato James Harden. Parigi è stata selezionata per due partite di stagione regolare lontano dagli Stati Uniti (entrambe tra San Antonio Spurs e Indiana Pacers), la prima volta per la capitale francese e in generale una rarità (era successo a Londra nel 2011). I Global Games hanno attirato pubblico da oltre 53 paesi differenti, un'impresa favorita dalla grande popolarità di Victor Wembanyama.
La stella degli Spurs si trova al terzo posto assoluto nelle ricerche sui social media NBA, la sua canotta rientra tra le cinque più vendute, numeri da capogiro per un prospetto che deve ancora completare il secondo anno e che gioca in una squadra con un mercato piccolo e si trova in piena ricostruzione. Il francese ha raccolto idealmente il testimone da Tony Parker come riferimento del basket per il paese, sia come gancio in NBA che alla guida della Nazionale. Tutto lascia presagire che il suo talento sia destinato a segnare profondamente la lega nei prossimi dieci/venti anni. Come sta procedendo lo sviluppo cestistico e quali sono i suoi punti di forza e di relativa debolezza?
UN NUOVO ARCHETIPO DIFENSIVO
Partiamo dalle certezze, Wembanyama è probabilmente il miglior stoppatore puro della Lega e al momento ne mette insieme circa 4 a partita. Solo due giocatori nella storia hanno numeri migliori nelle prime 100 gare in NBA: Manute Bol e quel David Robinson, che degli Spurs è stato la prima pietra angolare. Il francese si sta allenando con Tim Duncan e come lui dopo la stoppata ama recuperare il pallone e far partire il contropiede, un fondamentale che viene spesso sottovalutato, ma che in un basket in cui è sempre più difficile attaccare a metà campo diventa un vero vantaggio.
Il problema per gli Spurs è incasellare il talento naturale del francese con il rendimento della difesa di squadra, che resta critico. San Antonio concede ancora quasi il 50% dal campo e i rating difensivi sono davvero deludenti se pensiamo alla presenza in campo di un elemento come Wemby. I texani in questo momento sono la 18esima difesa della NBA e primeggiano solo nella classifica delle stoppate (6.9 per sera), ma non ne traggono particolare beneficio. Problemi di chimica perfettamente comprensibili considerando l’età media del roster, la qualità dei compagni del francese e i problemi di salute di Gregg Popovich, che hanno portato alla gestione in amministrazione controllata del 37enne Mitch Johnson.
In questa fase della carriera Wembanyama non sembra ancora in grado di garantire un sistema difensivo stand alone e di compensare quindi le lacune della squadra di appartenenza, come sono riusciti a fare degli specialisti nella migliore fase del loro percorso come il connazionale Rudy Gobert, Dikembe Mutombo e quel Mark Eaton che per anni ha coperto le spalle e supportato Stockton e Malone.
Una cosa è sicura: quasi nessun giocatore nella storia della NBA, aldilà di qualsiasi rilievo statistico, è riuscito a scardinare i punti fermi degli avversari e terrorizzarne la maggior parte solo alzando quelle braccia infinite, che bastano per invitare tutti a girare a largo. Per cercare un paragone nell’era moderna dobbiamo ripensare all’intimidazione pura esercitata da Shaquille O'neal che per la velocità e la potenza inaudita ha scioccato la Lega con un impatto simile.
Rispetto al primo anno Wembanyama ha migliorato molto le sue letture sul lato debole e come difensore in aiuto, ma soprattutto ha dimostrato come può scardinare e riscrivere gli archetipi difensivi che ci hanno accompagnato per almeno 30 anni. Grazie alla velocità di base, la flessibilità e le braccia che a qualcuno ricordano il personaggio di Dhalsim del videogioco classico Street Fighter, è perfetto anche per difendere sul perimetro ed esercitare un tipo di pressione sugli esterni avversari che abbiamo cominciato a metabolizzare con Giannīs Antetokounmpo ed Evan Mobley.
Gli Spurs stanno ancora cercando la giusta soluzione per capitalizzare questa sua capacità di contestare le triple e conciliarla con la protezione del ferro, sfruttando le grandi capacità di recupero e di switching su qualsiasi tipologia di avversario del francese. San Antonio sembra alla ricerca di un lungo che possa garantire una strutturazione diversa del quintetto, permettendo a Wembanyama di giocare con più libertà, senza dover presidiare il pitturato. L’idea è di ricreare, almeno idealmente, la coppia formata da Hakeem Olajuwon e da Ralph Sampson che, morfologicamente parlando, è senza dubbio il predecessore ideale del francese. È difficile però provarci al momento, visto il roster a disposizione e al momento di crisi di Zach Collins, che non è riuscito a costruire una chimica di gioco accettabile con il francese.
CON LA PALLA IN MANO
Per il resto i punti fermi degli Spurs sono pochi: Stephon Castle (possibile rookie dell’anno) e il fragile e incostante Devin Vassell, che potrebbe essere sacrificato per arrivare ad un giocatore ancora più importante. Se questa stagione l'obiettivo massimo è quello di galleggiare in zona play-in, difficilmente la NBA avrà piacere ad accettare che una star della portata di Wembanyama possa non essere sicuro di fare i playoff al terzo anno da professionista. Anche per questo, seppure il roster è molto giovane e potrebbe essere sviluppato con calma, a San Antonio il tempo scorre più veloce che altrove.
Wembanyama, dal canto suo, sta progredendo in tutto ciò che gli è meno naturale. Il controllo del pallone è migliorato molto, e gli consente addirittura di essere il direttore d’orchestra dell’attacco in qualche occasione, soprattutto quando non c’è Chris Paul. L’efficacia come passatore è nettamente cresciuta, a dispetto della media assist in leggero calo (da 3.9 a 3.7 per gara) e dei palloni persi che è sostanzialmente stabile (3.5). Il francese ha iniziato a sfruttare meglio l’altezza e dalla sua naturale torretta di osservazione è decisamente più a suo agio quando si tratta di premiare i tagli dei compagni e di individuare i tiratori sul perimetro grazie alla visione periferica.