Chissà quali pensieri sono passati per la testa di Adriano mentre si avvicinava al centro del campo dello Stade Océane di Le Havre. Era lo scorso ottobre, la squadra di casa stava per sfidare l'Arles-Avignon in una gara di serie B francese; lui si trovava lì per essere presentato a quello che sarebbe dovuto essere il suo nuovo pubblico.
Poca gioia, forse disagio, in quella camminata ingobbita, scortato da sconosciuti in giacca, cravatta e sciarpa. Una sciarpa con i colori di una squadra che, fino a pochi giorni prima, non aveva mai sentito nominare. Erano altri i sogni di Pipoca, il bambino che giocava per strada con gli amici, che avevano preso a chiamarlo così da quando la voce di sua madre, affacciata alla finestra, interruppe una partita: "Adriano, vieni a mangiare i pop corn!".
Lo speaker del Le Havre lo annuncia, i tifosi iniziano a fare rumore, lui finge un sorriso e li saluta. Tempo fa era il Meazza a tributargli ovazioni enormemente più calorose per i suoi gol in Champions League. Rimette il muso: sono già passati una decina d'anni da allora. Ecco il cerchio di centrocampo, l'arbitro gli dà il cinque e poggia la palla ai suoi piedi: gli tocca anche dare il calcio d'inizio. Come una vecchia gloria.
Capitolo I: que sorte, que talento, que estrella!
14 agosto 2001, Trofeo Santiago Bernabéu, 85': Vieri, autore del gol del vantaggio dell'Inter, pareggiato da Hierro su rigore, lascia il campo al brasiliano diciannovenne arrivato da meno di una settimana. Per lui solo cinque minuti più tre di recupero: noccioline. Oppure no. Se "noventa minuti en el Bernabéu son molto longo", otto possono non essere pochissimi. La prima palla che tocca è un tunnel per guadagnarsi il fallo, poi è tutto un crescendo di dribbling, di forza e rapidità, che, a tempo scaduto, portano ad una punizione dal limite. Opzioni: il destro di Seedorf o il sinistro di Materazzi. Ma Cuper la pensa diversamente, così Adriano si avvicina al punto di battuta e inizia a discutere con l'olandese, il quale comprende che per il suo nuovo compagno quella non sia soltanto una punizione dal limite nei minuti di recupero di un'amichevole estiva. Pochi istanti dopo, dal mancino del brasiliano arrivato l'altro giorno parte una traiettoria tesa come una spada laser di Star Wars: Hierro, l'ultimo in barriera, sembra spostarsi per evitare la decapitazione, Casillas, con più coraggio, allunga il braccio, ma nemmeno lui può arrivarci, la sfera scheggia violentemente la parte inferiore della traversa e finisce in rete.
Una canzone metal per un sinistro d'acciaio: ci sta, no?
Sogno di una notte di mezza estate per i tifosi nerazzurri: in attesa della completa guarigione di Ronaldo, e di vederlo finalmente al fianco di Vieri, si ritrovano in squadra uno che sembra la reincarnazione del primo nel corpo del secondo. Lui però vola basso: "Zagallo non mi faceva mai rilassare, mi diceva sempre: «Attento, ho visto molti talenti bruciarsi in fretta». Ma non credo che mi succederà (sic!), perché credo di avere una qualità: voglio imparare tutto, ogni giorno una cosa nuova. Spesso i giovani pensano subito al futuro, ma per diventare un calciatore devi pensare anzitutto a quello che succede adesso".
Zagallo fu il secondo ed ultimo allenatore avuto da Adriano al Flamengo prima del suo trasferimento in Europa. A farlo debuttare in prima squadra fu invece Carpegiani, che lo portò in panchina il 6 febbraio del 2000 in una trasferta del Torneo Rio-San Paolo contro il Tricolor Paulista di Rogério Ceni. Anche quello fu un giorno da ricordare, un debutto da predestinato, un Real Madrid-Inter ante litteram. Alla fine del primo tempo il San Paolo conduce 2-1, poi entra lui e il primo pallone che tocca viene subito trasformato nel gol del pareggio. Fino al 90' il Fla segnerà altre tre volte, l'ultima delle quali grazie a un assist di Adriano, che mette Leandro Machado nelle condizioni di tirare a porta vuota.
Que sorte, que talento, que estrella!
Il feeling con le prime volte di colui che, già dalla notte del Bernabéu, era divenuto Dinamite si conferma in occasione del suo esordio ufficiale al Meazza. È il 16 settembre 2001, terza giornata di campionato, l'Inter affronta il Venezia con lo sponsor principale coperto da un rettangolo nero in segno di lutto per l'attentato al World Trade Center di cinque giorni prima. Lui entra nella ripresa e al 90' la partita è sull'1 a 1. Nel recupero, mentre Seedorf sta per battere un corner dalla destra, il brasiliano si prepara a un'altra dimostrazione della sua strabordante potenza esplosiva: ingaggia un corpo a corpo con Björklund, riesce a liberarsene, colpisce di testa e, mentre il suo marcatore è a terra, lui sta già contando i passi per rimettere in porta la respinta di Generoso Rossi, da posizione molto defilata. Altro tracciante, tra il palo e l'uomo a sua protezione, altro 2-1 in extremis, questo decisamente più pesante.
Il sempre moderato Roberto Scarpini di Inter Channel stavolta si esalta un po'.
Non vuole perdere tempo Adriano, non ha mai potuto farlo. Doveva portare la sua famiglia fuori da Vila Cruzeiro, favela del Complexo do Alemão, quartiere non proprio borghese nel nord di Rio de Janeiro. Lo doveva a nonna Wanda, grazie alla vendita delle cui torte il nipote poté pagarsi i mezzi pubblici per raggiungere il campo d'allenamento del Flamengo; lo doveva a papà Almir, che, da quando il figlio aveva dieci anni, viveva con la scheggia di una pallottola (da cui fu colpito accidentalmente) conficcata in fronte; lo doveva a mamma Rosilda, che nel periodo più duro, con lei senza lavoro e il marito in fin di vita, dissuase il piccolo dal mollare tutto, lo fece inginocchiare e iniziò a pregare con lui. Non molto tempo dopo quella preghiera, lei trovò un nuovo lavoro, il padre uscì dall'ospedale e lui, passato a giocare con i ragazzi più grandi del Flamengo, iniziò a percepire i primi soldini da calciatore.
Capitolo II: in provincia
Né le motivazioni, né la rete col Venezia sono però sufficienti per garantire ad Adriano un posto nell'Inter fino a fine stagione. Sostanzialmente è ancora il ragazzo che giocava a piedi nudi sullo sterrato scartando tutto quello che trovava davanti: i compagni sono poco più che contorno. A gennaio, dopo 14 presenze ufficiali (per lo più spezzoni di gara) e quell'unico gol segnato, viene mandato in prestito alla Fiorentina in piena procedura fallimentare, già priva di Batistuta, Rui Costa e Toldo. Nonostante il suo contributo, la stagione si concluse ugualmente col penultimo posto e la retrocessione, ma lui ebbe quantomeno la possibilità di giocare con continuità.
Questa rete non sarà passata inosservata a Moratti: al 90', contro il Milan, con Costacurta che, provando a impedirgli la conclusione, gli sbatte contro e rimbalza per terra.
Nel frattempo l'Inter perdeva lo scudetto all'ultima giornata in casa della Lazio e salutava - poco cordialmente - Ronaldo, ma Adriano non è ritenuto ancora pronto per ricevere il testimone direttamente dalle mani del suo connazionale. Per far coppia con Vieri viene scelto Crespo, mentre Adriano viene ceduto in comproprietà al Parma per 12.8 milioni di euro. Sulla panchina della squadra ducale Adriano trova Prandelli, con cui avrà un gran rapporto e farà registrare netti progressi nel gioco aereo e di squadra. I 26 gol segnati nell'anno e mezzo in gialloblù (miglior media realizzativa con una maglia italiana) dimostrano la completezza del suo nuovo arsenale, epitome del numero 9 del futuro: d'opportunismo, di testa, in progressione, mirando all'angolino o, più spesso, mirando a spaccare la porta, specie su calcio piazzato.
Nel campionato 2002/03 compone la coppia d'attacco più prolifica d'Italia con Mutu, che beneficerà delle sue sponde e ricambierà con assist in serie. Tra le sue vittime, Juventus, Roma, Lazio e Milan (contro cui stavolta capitalizzerà di tacco una grande sgroppata sulla sinistra del fantasista).
La rete più bella dell'annata la firma però al Braglia di Modena, in cui i difensori canarini si scoprono impotenti contro quel giocatore capace di dribblare a passo di samba e dominare la strada con l'autorità di un Hummer (minuto 2:25 del video sotto).
Riuscite a trovare un modo in cui non abbia segnato?
Nella stagione successiva gli bastano 20 minuti della prima giornata a Bologna per trovare il fondo della rete: solita mina da fuori area e festa con Morfeo simulando una partita a carte, ovvero quello che i due avevano fatto qualche giorno prima con dei vecchietti a San Benedetto dei Marsi, paese natale del trequartista. Adriano si era trovato a suo agio con quella gente semplice e per ringraziarla dell'ospitalità decise di dedicarle il suo gol successivo.
Nel girone d'andata segnerà 8 reti in 9 partite. Non potrà però giocare anche quello di ritorno col Parma: a gennaio l'Inter ha di nuovo bisogno di lui.
Capitolo III: imperatore
Cuper, esonerato alla sesta giornata, era stato sostituito da Zaccheroni, che il 5 maggio sedeva sulla panchina della Lazio. Da quel giorno l'Inter non era più andata così vicina al successo e per riprovarci si decise di puntare proprio su Adriano, adesso prossimo ai 22 anni: 15 milioni la cifra necessaria per riscattare la seconda metà del suo cartellino. Nella stessa sessione di mercato dalla Lazio arriva anche un'altra colonna dell'Inter degli anni successivi, Stanković. I due debuttano dal primo minuto il primo febbraio 2004 in Inter-Siena e il nuovo numero 10 nerazzurro dimostra di non aver perso il feeling con i debutti ad effetto. In coppia con un Recoba alzatosi dal letto col piede giusto, riprende la sua storia in nerazzurro da dove l'aveva lasciata: segnando a Generoso Rossi, lo stesso portiere di Inter-Venezia del 2001. Questa volta le reti saranno due, intervallate da un rigore procurato. Tre giorni dopo, in Coppa Italia contro la Juventus, segna un'altra doppietta per il 2-2 finale, assistito in entrambi i casi dall'uruguaiano.
Risale a quell'ottimo periodo un'intervista rilasciata da Zaccheroni alla Gazzetta dello Sport, in cui il tecnico di Meldola, chiamato a parlarne a ruota libera, torna più volte a sottolineare l'importanza della tenuta mentale nel suo gioco. Pur ritenendo che il ragazzo non pecchi in quell'aspetto, il suo discorso, per qualche motivo, entra più volte nel campo semantico della psiche. Solo un modo per cercare di tenerlo con i piedi ben piantati per terra, o il vecchio Zac aveva visto qualcos'altro?
Ecco la trascrizione di parte dell'intervista: "Oggi è un grande giocatore... Con la necessaria maturazione che può avvenire solo col tempo, quindi con l'acquisizione anche di energie molto importanti dal punto di vista nervoso, potrà completarsi e diventare un grande campione, perché sul piano tecnico c'è, sul piano tattico è bravo, sul piano fisico non si può minimamente discutere... Al momento c'è anche sul piano nervoso, però... Qui all'Inter presumibilmente ci dovrà rimanere per molto tempo, in una società molto ambiziosa, con molte partite da disputare nell'arco di una stagione, con grandi obiettivi da raggiungere, quindi serve un bel serbatoio di energie nervose...".
Il finale di quella stagione coincide con l'inizio del periodo più luminoso della sua carriera. Con l'Inter in corsa per il quarto posto, allora valido per i preliminari di Champions, si carica la squadra sulle possenti spalle e segna sei reti nelle ultime sei partite, compresa, alla penultima, una punizione contro il "suo" Parma, che viene così superato di un punto in classifica. Nella decisiva 34.esima giornata, contro l'Empoli che lotta per non retrocedere, l'Inter deve difendere quel punto e Adriano griffa il 3-2 finale con due reti delle sue. Prima va molto su per impattare di testa un cross da fermo di Recoba - e festeggia contraendo ogni muscolo del corpo, ben visibile sotto uno strato di adipe minimo - poi, partendo dalla trequarti, brucia in velocità tre difensori, fa sedere il portiere e deposita nella porta spalancata.
Nella stagione successiva l'Inter giocherà in Champions League, ma prima c'è l'estate. E per Adriano non sarà un'estate come tutte le altre.
In Perù si gioca la Copa America e il ct del Brasile Carlos Alberto Parreira arruola una Nazionale piuttosto giovane - col solo Kléberson reduce dal vittorioso Mondiale nippo-coreano di due anni prima - per l'ennesima sfida all'Argentina, allenata da Marcelo Bielsa. Adriano, già protagonista con le selezioni verdeoro Under-17 e Under-20 (vincitrici, rispettivamente, dei campionati mondiali e sudamericani di categoria) e della brutta Confederations Cup del 2003 (brutta per la sua squadra, incapace di superare il girone, ma non solo, visto il decesso in campo del camerunense Marc-Vivien Foé), è tra i 22 convocati. Gli spetta la maglia numero 7 (la 9 è di Luis Fabiano) e il suo obiettivo è conquistare un popolo ancora un po' scettico nei suoi confronti, anche per la storica preferenza verso gli attaccanti più piccoli e fantasiosi.
L'interista scende in campo in tutte le partite, proprio in coppia con O Fabuloso. Nella seconda gara del girone segna una tripletta contro il Costa Rica. Nei quarti, contro il Messico, realizza una doppietta e fa segnare Ricardo Oliveira con un delizioso colpo di tacco. In semifinale trova la rete dell'1-1 contro l'Uruguay e non fallisce uno dei rigori che permettono alla Seleção di rimanere nell'Estadio Nacional di Lima per la finalissima. Dall'altra parte del tabellone arrivano, come da copione, El Loco Bielsa e l'Albiceleste. All'87', sull'1-1, l'Argentina mette una mano sul trofeo con la rete di César Delgado, ma al terzo minuto di recupero Adriano manda la gara ai supplementari. Si arriverà ai rigori, il numero 7 segnerà il suo penalty e il Brasile si prenderà quella coppa. Gli scettici sono convinti, il Brasile è ai suoi piedi. Dal Perù non tornerà semplicemente Dinamite, ma O Imperador.
Tutti i gol di quella Copa America, tra cui i sette (più due rigori) di Adriano, capocannoniere della manifestazione.
Dieci giorni dopo Adriano è già in Italia, a Bari, dove si è giocato il trofeo Birra Moretti. In viaggio, sul pullman verso l'aeroporto, riceve una telefonata da casa: la voce dall'altra parte lo avvisa che papà Almir si è spento in seguito ad un malore. Per molti, a partire dal giocatore stesso nelle sue confessioni di qualche tempo fa, è l'inizio della fine.
Ma gli effetti del lutto si faranno sentire solo sul lungo periodo. Dopo essere volato in Brasile per il funerale, raggiunge la squadra in Svizzera per il preliminare d'andata col Basilea. Nell'1-1 finale apre le marcature con un bellissimo quanto raro gol di destro: braccia e sguardo verso il cielo, per quella che da allora sarà la sua tipica esultanza. Nel ritorno altre due reti e un assist: 4-1 e nerazzurri in Champions League.
Era la prima Inter di Mancini, con Verón sulla sedia del regista, una squadra tanto bella esteticamente, quanto incapace di vincere. Il campionato 2004/05 è quello della pareggite: 18 gare nulle, quasi un intero girone. Poche colpe possono essere addebitate all'Imperatore, che anzi sale ulteriormente di livello e diventa idolo indiscusso del suo pubblico e protagonista di un coro sulla base di una celebre canzone dei Ricchi e Poveri.
Nella seconda giornata, un pari - of course - contro il Palermo, fa viaggiare la palla a 140 km/h con un tiro da circa 25 metri: la sfera, impattando contro la traversa fa lo stesso rumore della mazza dell'Orso Ebreo contro il cranio dei nazisti in Bastardi senza gloria. Poi ci sarà anche il-gol-contro-l'Udinese, ovvero la prima e, a volte, l'unica cosa positiva che tutti ora ricordano di lui, per un totale di 28 timbri tra campionato e coppe.
Il-gol-contro-l'Udinese: sì, "È diventato verde".
Nelle Coppe l'Inter andrà meglio. Il girone di Champions viene superato senza sconfitte. Adriano si mette in luce soprattutto nella doppia sfida al Valencia. Nell'1-5 in Spagna, oltre a segnare e far segnare chiunque, sfiora una rete da fantascienza colpendo l'esterno della rete dopo una veronica con tunnel a Navarro: uscirà tra gli applausi del Mestalla. Nell'1-1 a Milano reagisce ad un fallo di Caneira colpendolo con due pugni - uno dei suoi rarissimi comportamenti antisportivi - e viene espulso: uscirà tra gli applausi del Meazza. Agli ottavi fa fuori il Porto con una tripletta nella gara di ritorno, ma le ambizioni europee si spengono come un petardo sulla spalla di Dida.
La stagione si conclude con la finale di Coppa Italia contro la Roma, ma Adriano fa in tempo a giocare solo l'andata, in cui realizza una decisiva doppietta. Assisterà alla premiazione dalla Germania, in cui è impegnato col Brasile nella Confederations Cup.
Per la prova generale del Mondiale tedesco, Parreira limita gli esperimenti e mette in vetrina quasi tutti i migliori: 4-2-3-1, con Ronaldinho, Kakà e Robinho alle spalle di Adriano. Ma i premi individuali sono tutti per quest'ultimo: miglior giocatore della manifestazione e capocannoniere, con 5 centri in altrettante partite, due nella finale vinta 4-1 contro l'Argentina.
Il coefficiente di difficoltà della prima rete è elevatissimo: come ha fatto a raggruppare il corpo, dopo quello scatto parallelo alla linea di fondo, e a centrare la porta con un tiro così potente?
A dicembre 2005 risulterà il miglior marcatore dell'anno solare a livello internazionale secondo l'IFFHS e arriverà settimo nella classifica del Pallone d'oro (fu sesto nell'edizione precedente). Anche la stagione successiva, infatti, era iniziata alla grande, con l'assist per la decisiva rete di Verón nella Supercoppa strappata alla Juve e una tripletta al Treviso, dedicata alla fidanzata Danielle. Da quel momento, però, qualcosa si inceppa. Adriano gioca partite isteriche, come divorato dall'ansia di dover dimostrare a tutto il mondo di essere sempre lo stesso giocatore. Vive di entusiasmi: gli riesce una gran giocata e nel possesso successivo pare inarrestabile; si mangia un gol e tutta la fiducia in sé viene meno, così da rendergli complicato anche il passaggio più elementare. È un'auto di grossa cilindrata in cui la persona alla guida si è addormentata: sul rettilineo magari il motore singhiozza ma le cose continuano ad andare; alla prima curva si ritroverà, inevitabilmente, disintegrata contro il guard rail. Il 12 febbraio 2006, nel match in cui l'Inter dice definitivamente addio allo scudetto (che si ritroverà ugualmente cucito sul petto per via di Calciopoli), segna alla Juventus grazie ad una perfetta punizione. Ma doveva essere battuta di seconda: Paparesta giustamente annulla. Qualcosa di eccezionale cancellato in un istante. In un certo senso è la metafora della sua storia, che proprio su quel fischio dell'arbitro inizia un'inesorabile discesa.
Dall'inizio di quella stagione Adriano aveva modificato radicalmente la meccanica di tiro nei calci piazzati: più giro, meno potenza, uguale efficacia.
Capitolo IV: il crollo dell’impero
La prima occasione di rilancio è data dalla Coppa del Mondo. Il Brasile che aveva incantato in Confederations è la grande favorita per la vittoria finale. Ci sono quelli del 4-1 all'Argentina, più alcuni veterani, a partire da Ronaldo. La Nike non può esimersi da metterceli tutti in un grande spot.
Negli spazi angusti dello spogliatoio, tra giocolieri come Ronaldinho e Robinho, Adriano appare impacciato. Più credibile nella scena della preghiera collettiva.
Ma usciti dallo spogliatoio i verdeoro si divertiranno ben poco. Kaká a parte, il quadrato magico delude su tutta la linea: Ronaldinho, Pallone d'oro in carica, appare svuotato da una stagione che lo ha visto trionfare in Liga e Champions; Ronaldo è già da un po' El Gordo - il che non gli impedirà di segnare comunque tre reti e stabilire il record di realizzazioni nei Mondiali, (battuto solo da Klose lo scorso anno); Adriano è appesantito, macchinoso, semplicemente la peggiore versione vista fino ad allora. Però nella seconda gara segna all'Australia con un preciso sinistro e imita Bebeto nel gesto della culla, in onore del suo primo figlio, Adriano Junior, appena avuto da Danielle. Dopo gli ottavi superati col Ghana, nei quarti ci pensa Henry a rimandare a casa i campioni in carica.
Da quel momento Adriano vestirà i panni di Zeno Cosini, il protagonista de La Coscienza di Zeno di Italo Svevo che si rivolge allo psicanalista per debellare il vizio del fumo. Così come il personaggio nato dalla penna dell'autore triestino scriveva sul suo diario di aver appena fumato l'ultima sigaretta, salvo poi trovarsi a fumare innumerevoli altre ultime sigarette, allo stesso modo il brasiliano prometterà più e più volte alla stampa di essere cambiato e di non ripetere gli stessi errori.
La Konami ci crede e lo sceglie come testimonial di Pro Evolution Soccer 6. Ma se la sua controparte videoludica sarà quasi immarcabile, con delle stats pompatissime, nella realtà è Adriano in sé ad essere sovradimensionato, molto più che in Germania. In un video di auguri natalizi di Inter Channel lo si vede giocare a basket in allenamento, tentare di eseguire una schiacciata e sfondare shaquillescamente il canestro (posto chiaramente ad altezza non regolamentare).
Il campo da calcio, invece, lo vede pochino. È l'Inter del dopo-Calciopoli, la prima capace di vincere uno scudetto sul campo, grazie anche ad un parco attaccanti esagerato: Ibrahimović, Crespo, Cruz, Recoba e, da ultimo, Adriano. Nonostante il relativo stato di forma, riesce comunque a ritagliarsi un po' di spazio con l'arrivo del 2007, chiude la stagione con 6 reti e partecipa con gioia alla festa scudetto.
Non molta gioia ci sarà nell'annata successiva. Come ammesso dallo stesso giocatore solo dopo, da un po' di tempo era crollato in uno stato di depressione. La storia con Danielle era finita; le preghiere non potevano riportare in vita il padre. L'unica soluzione che conosce per andare avanti è l'alcool, da assumere in dosi massicce, ogni giorno. Smette di dormire a casa per paura di fare tardi all'allenamento, ma vi arriva in condizioni così impresentabili da essere mandato a riposare in infermeria, mentre ai giornalisti viene detto che ha dei problemi muscolari. Certamente le compagnie che frequenta non fanno molto per aiutarlo: "Adriano - secondo Franco Combi, allora medico sociale dell'Inter - aveva tanti problemi, ma soprattutto le persone che aveva intorno lo trascinavano in posti sbagliati appena metteva piede fuori da Appiano Gentile. Lui diceva che era maggiorenne e poteva decidere... sono scelte".
Capitolo V: ritorno in minore
La tolleranza di Mancini non è illimitata, così a gennaio l'Imperatore si ritrova improvvisamente nella stessa situazione di quando aveva 19 anni: ceduto in prestito semestrale. Stavolta proprio al San Paolo, la prima squadra che aveva affrontato da professionista. In patria trova un'accoglienza entusiasta: va subito a ruba tra i tifosi la maglietta ufficiale con nome Imperador e numero romano "X". L'aria di casa e un campionato meno competitivo lo rimettono sotto la luce dei riflettori. E sotto i riflettori lui non ha paura di togliersi la maglietta. In non molto tempo, infatti, è riuscito a recuperare un'ottima forma fisica, sebbene non sufficiente a ritrovare anche le accelerazioni e l'esplosività solite. Le zone di campo coperte dai suoi movimenti si sono ridotte, quasi come un centravanti vecchio stampo, ma grazie alla stazza e agli istinti, in area - e soprattutto in aria - riesce ancora a farsi rispettare.
Anche il sinistro è rovente come sempre, sebbene abbia perso un po’ di esplosività.
A prestito scaduto, torna a Milano, di nuovo imbolsito, questa volta sotto Mourinho. Il tecnico portoghese è convinto di poterlo recuperare definitivamente e punta su di lui sin dall'inizio. Nella prima partita del girone di Champions League apre le marcature contro il Panathinaikos e diventa il miglior realizzatore della storia interista nella manifestazione continentale. Nonostante qualche convocazione saltata per via di ritardi negli allenamenti, Mourinho continua a fidarsi di lui e lo fa giocare spesso e volentieri in coppia con Ibrahimović. Non perde l'abitudine di segnare contro il Milan, sebbene aiutato da un tocco col braccio. Parte titolare nello 0-0 degli ottavi di finale contro il Manchester United e colpisce un palo in semirovesciata nel 2-0 dell'Old Trafford che costa l'eliminazione. Non è più quello dei tempi belli, ma la speranza che a poco a poco si stia riavvicinando a quei livelli torna ad albergare nel cuore di più di un appassionato.
Anche in Brasile se ne accorgono e ad inizio aprile viene convocato per le gare di qualificazione al Mondiale 2010. Alla vigilia del primo allenamento organizza un festino protrattosi fino all'alba con compagni di squadra, modelle e un trans. Contro Ecuador e Perù non gioca per infortunio. E sul volo da San Paolo che riporta a Milano Julio Cesar e i milanisti, lui non c'è. "Nemmeno io so dove sia" dice il procuratore Gilmar Rinaldi. Ricomparirà qualche giorno dopo nella sua favela d'origine, dove convoca una conferenza stampa: "Non so ancora se starò per uno, due o tre mesi senza giocare. Ho intenzione di ripensare alla mia carriera. In Brasile mi sento felice, vicino ai miei amici, ai miei familiari... Non ho nulla contro l'Inter, però, non mi piaceva vivere in Italia, mi sentivo sempre oggetto di pressioni. Ho sopportato pressioni molto forti fin da quando avevo 18 anni... Chi è intelligente capirà la mia decisione. Non sono malato. Adriano non è morto, lo stavano ammazzando".
Solo un mese dopo ritornerà in vita, con i colori del suo Flamengo. Nel giorno del suo ennesimo debutto (ancora una volta bagnato dal gol), la tv brasiliana manda in onda una lunga intervista in un talk emotivo, durante la quale Adriano versa più di qualche lacrima nel ripensare ai momenti felici della sua carriera. Indossa una maglietta rossa con disegnato il suo profilo, incoronato d'alloro e incorniciato dalla scritta: Imperador do Rio. All'inizio spiega di aver voluto il Flamengo per "ricominciare da zero, cioè ritornare ad avere un obiettivo. Perché quando non hai niente e cominci a giocare, nella testa pensi: «Devo aiutare la mia famiglia, voglio diventare un calciatore famoso». Ma se arrivare è facile, mantenersi in vetta è molto difficile". Sorprendentemente, proprio quando il baratro sembrava ad un passo, e nonostante qualche allenamento saltato di troppo, tira fuori una stagione da 19 reti, che permette ai rossoneri di trionfare nel Brasileirão. Al triplice fischio dell'ultima giornata è di nuovo in lacrime, ma di gioia: per la prima volta è stato il protagonista assoluto in una squadra vincente.
Quanta dolcezza nel pallonetto al Coritiba! (minuto 2.20)
Capitolo VI: baratro
Non perde occasione per smentirsi e nell'estate del 2010 torna in Italia, firmando un triennale con la Roma: "Cosa è cambiato da quando sono andato? Ora sono molto più maturo, questo è un altro Adriano e sono venuto in Italia per dimostrarlo. Quanto peso? Ho qualche chilo in più, ma ho un progetto davanti e farò allenamenti per tornare in forma". Intanto al Flaminio hanno la geniale idea di presentarlo al pubblico dandogli una sciarpa con su scritto "Mo' te gonfio". Dopo 8 presenze e 0 reti il contratto verrà rescisso consensualmente già a marzo 2011.
Nei successivi quattro anni firma col Corinthians, resta fermo 5 mesi, torna al Flamengo, viene rifiutato da Palmeiras e Internacional e ottiene un contratto dall'Atlético Paranaense. In tutto - quattro anni! - saranno cinque presenze e un gol. Ma saranno soprattutto altri allenamenti saltati, sparizioni e riapparizioni in locali notturni, il superamento dei 100 chili, altri due figli da due donne diverse, foto con fucili in mano e, stando a Rinaldi, una situazione psicologica allarmante, tale da non poter escludere un futuro suicidio (un proposito che la madre confessò avesse avuto anche in un periodo difficile all'Inter).
Addirittura lo scorso novembre era stato accusato di associazione finalizzata al traffico di droga, falsificazione di documenti e traffico di droga, a causa di una moto che regalò ad un narcotrafficante. Accuse cadute pochi giorni dopo: "Sapevo che questa denuncia non avrebbe portato a nulla. Non ho nulla da rimproverarmi, io sono onesto. Pago le tasse e non nego da dove vengo". Aveva portato la famiglia fuori dalla favela, ma la favela non è mai uscita da lui. E alla fine, anche a causa delle difficoltà economiche, vende il suo appartamento di Rio e torna a Vila Cruzeiro.
In prossimità della scorsa estate abbiamo rivisto Adriano sul divano di un hotel milanese, in compagnia di Gianluca Di Marzio e di un doppio mento che aspira a diventare triplo, elemosinare un contratto a gettone da parte di una squadra "che mi possa aiutare a mettere la testa a posto... non che adesso non ce l'abbia, però tutto dipende anche dall'ambiente, dal gruppo" perché "adesso sono cambiato davvero".
Proprio in questi giorni, però, dovrebbe essere stata posta la pietra tombale sulla trattativa con il Le Havre, conseguenza della rottura tra il club e il presidente in pectore Christophe Maillol, che aveva promesso Adriano come primo acquisto, salvo poi non fornire in tempo le garanzie necessarie a rilevare il pacchetto di maggioranza della società. Difficilmente al figlio di Rosilda peserà dover rinunciare a trasferte insidiose come quella allo Stade de la Source di Orléans, 5.849 posti a sedere.
Questo nella realtà.
Ma in un mondo parallelo Adriano la scorsa estate sedeva non sul divano con Di Marzio, ma nello spogliatoio del Mineirão di Belo Horizonte, con Thiago Silva e David Luiz. Maglia verdeoro numero 9, fascia di capitano al suo braccio, leader trentaduenne della Seleção. La luce interiore non si era mai spenta, la gente intorno a lui aveva saputo aiutarlo nei momenti difficili, ed egli aveva ripagato tutti con una carriera esemplare, piena di successi. Là fuori ci sono i tedeschi, è la semifinale mondiale, tutti piangono mentre intonano l'inno: "Ouviram do Ipiranga as margens plácidas / de um povo heróico o brado retumbante...".
Magari sarebbe stato comunque 1-7, magari sarebbe stato lì solo per prendersi tutti gli insulti della nazione al posto di Fred. Oppure il suo sinistro avrebbe piegato anche le mani di Neuer. E battuto l'imbattibile Germania. E quando Adriano trova in finale l'Argentina, be', sapete già come va a finire. Non c'è due senza tre, del resto. Anche in un mondo parallelo.