Seconda punta, ala, centravanti. Sempre atipico, sempre in qualche modo adattato. Quagliarella ha una duttilità che a lui stesso piace sottolineare. Un elemento che lo ha penalizzato, secondo altri, come Emiliano Mondonico, che lo lanciò in granata. L'intera carriera di Quagliarella è attraversata da questa ambiguità. Ogni esperienza può essere letta in modi opposti. È stato sottovalutato, in questi anni? È stato esaltato senza vere ragioni?
Di sicuro c'è che con le squadre di club ha segnato 125 gol in 399 gare ufficiali (ma la somma dei minuti effettivamente giocati, 25.944, equivale a circa 288 gare nette). Di sicuro nella percezione collettiva ha proceduto per accelerazioni e frenate. Di sicuro è il tipo di calciatore che raramente lascia indifferenti.
È nato a Castellammare di Stabia, il 31 gennaio 1983, nel rione Annunziatella. Il suo rapporto col territorio è fortissimo. Basta vedere l'accoglienza dopo la disfatta nazionale in Sudafrica. Basta sentire la canzone “Qua Qua Quagliarè” che gli ha dedicato tal Giorgio Coccobello. A Castellammare hanno fatto anche il gelato al gusto “Quagliarella”.
In rete esiste il video della sua partecipazione, da ragazzino, alla gara podistica annuale in onore della Madonna patrona. La religione ha un grosso peso in casa. Fabio ha tre fratelli e una sorella. Adriano, autista di autobus, tempo fa aveva in programma di portarlo in pellegrinaggio a Lourdes. Il più rigoroso in materia di fede, Gennaro, rimprovera qualsiasi gesto scaramantico. Lui, Fabio, in un periodo senza gol si lasciò accompagnare a Pompei da un inviato delle Iene, per ricevere la benedizione dalla Madonna a cui è devoto.
Dicono sia l'uomo dei gol impossibili. Lo chiamano “Eta Beta”, come il personaggio Disney che viene dal futuro. Quagliarella è immaginazione, rischio. Gli anni di gavetta devono avergli fatto capire che un errore non cambia tanto, mentre un risultato impensabile sì. Non c'è arroganza, ma consapevolezza. E disillusione, anche: quella di chi sa che le prestazioni perfette e le carriere lineari non esistono. Tanto vale sbagliare, ma averci provato.
All'esordio al San Paolo con la maglia del Napoli prende una traversa da centrocampo, oltre a segnare due gol. Un gol da centrocampo l'aveva già fatto in blucerchiato. E poi nel 2010/11, in maglia juventina, c'erano stati il gol di tacco contro l'Udinese e quello di testa, ma praticamente rasoterra, contro il Lecce. E tanti altri.
Provarci, sempre. Il suo spirito viene evidenziato dalle statistiche dei tentativi a rete. Al momento è il terzo in tutta la Serie A, a pari merito con Higuaín, per media di tiri in porta (4 a gara). Nella scorsa stagione era stato il primo, a pari merito con Tévez (3,6 a gara).
Uomo di entusiasmi, uomo di doppiette. Alla prima da titolare in Nazionale (Lituania-Italia, 6 giugno 2007) ne realizza una bellissima. La prima doppietta la fa in Coppa Italia con il Torino, nel 2004/05. Poi tre alla Sampdoria, tre nel biennio friulano, altre tre nella stagione a Napoli. Due doppiette e una tripletta in quattro anni di Juventus. Una tripletta e una doppietta al Torino, fra la scorsa stagione e l'inizio di questa.
Una compilation di gol non aggiornatissima, ma che vale la pena.
Quagliarella ha un'aria triste. Forse sono i lineamenti poco comuni, forse la serietà del carattere (che aveva già da bambino, per il suo allenatore alla Junior Gragnano). Forse sono le lacrime che non ha mai nascosto. Piangeva appena arrivato a Torino, quando dal collegio telefonava a casa alle tre di notte. Piangeva alla fine dell'ultima partita italiana ai Mondiali 2010, come già aveva pianto alla notizia della convocazione.
O forse l'aria triste ha a che fare solo con il suo percorso da calciatore. Il sogno di giocare al Napoli, la squadra del cuore, la squadra di suo padre Vittorio, a lungo abbonato in curva, è durato un anno. La tanto rincorsa partecipazione ai Mondiali ha coinciso con l'uscita ai gironi in Sudafrica ed è durata quarantacinque minuti.
Un'altra chiave può essere la morte di Niccolò Galli, l'incidente stradale che nel febbraio 2001 privò Quagliarella di una specie di gemello. Coetaneo e compagno in nazionale Under-17. Alla morte dell'amico, Quagliarella aveva compiuto diciotto anni da una manciata di giorni. Giocava ancora per il Torino, dov'era arrivato nel 1993, mentre Galli ci era già passato prima di peregrinare tra i settori giovanili di Parma, Fiorentina, Arsenal e Bologna. Il numero 27 sulla maglia è un omaggio e un modo di continuare a far correre quelle cifre su un campo.
Il pianto dopo la sconfitta con la Slovacchia ai Mondiali sudafricani.
Al Torino ci resta fino al 2005, quando la società fallisce. In maglia granata aveva messo insieme qualche minuto in A e una stagione intera in B (conclusa con la promozione), per il resto aveva giocato in prestito (Florentia Viola in C2, Chieti in C1).
Si ritrova svincolato, così, e va all'Udinese. Anche il club friulano lo manda in prestito, ad Ascoli. Il 2005/06 è un momento di svolta: finalmente viene impiegato con regolarità nella massima serie. Segna poco (3 gol in 33 presenze, 2.003 minuti) ma contribuisce alla salvezza del Picchio, sotto la guida dell'emergente Marco Giampaolo. Ma a fine stagione i friulani non sono convinti e lo cedono alla Sampdoria: la metà del suo cartellino e la metà di Mirko Pieri in cambio della metà di Salvatore Foti (classe '88, oggi svincolato dopo tanta B e una parentesi in Svizzera).
A Genova lo vuole fortemente mister Novellino, che se n'era innamorato ai tempi di Ascoli: «L'ho visto e ho detto: Ma quanto è forte?». E lui trova i gol: quattordici, in 42 partite fra campionato e Coppa Italia. Alcuni bellissimi, come la rovesciata contro la Reggina e il pallonetto all'Atalanta. Eppure l'esperienza in blucerchiato finisce lì: in estate la Samp non si accorda con l'Udinese e alle buste perde il giocatore.
Quello in Friuli (2007-2009) è il primo ritorno della sua carriera. Nei due anni in bianconero il suo rendimento è continuo, affidabile. Non è l'attaccante da venti gol, ma in entrambe le stagioni va comodamente in doppia cifra. Lui e Totò Di Natale si trovano bene, e in squadra c'è gente come Alexis Sánchez e Handanovic. Quel periodo, la sua famiglia lo ricorda come il più difficile per vedersi, andare in treno a Udine è un lungo viaggio che dura tutta la notte. Ma la ricompensa arriva, dopo quelle due stagioni. Fabio torna a casa.
A sette anni aveva visto Maradona giocare al San Paolo. Una ventina d'anni dopo, quando su quel campo e con quella maglia ci gioca lui, sembra tutto perfetto: è nel momento della maturità, De Laurentiis lo ha voluto al punto che è l'acquisto più costoso della sua presidenza, l'allenatore è Roberto Donadoni, che l'aveva fatto esordire in Nazionale maggiore. Ma la consacrazione non arriva. Quagliarella non porta al salto di qualità sé stesso né il club, che arriva sesto in classifica.
Si può considerare un fallimento, il suo? Non mi pare così facile. Di gol ne ha fatti undici. Intorno aveva una buona squadra, ma i limiti erano evidenti. A ottobre l'allenatore era stato esonerato, e alla guida era arrivato un Mazzarri, che appunto prendeva una squadra non sua. È insomma impietoso il paragone con la trionfale stagione seguente: l'arrivo di Lavezzi e Cavani, l'esplosione di Hamsík, l'assorbimento del gioco di Mazzarri, la conquista del terzo posto. Quagliarella non c'è, ma cosa avrebbe fatto in quell'insieme di condizioni virtuose?
Nell'estate del 2010, il Napoli lo cede alla Juventus in prestito oneroso. Anche quando, l'anno dopo, il passaggio diventerà a titolo definitivo, l'investimento di De Laurentiis non rientrerà del tutto (18 milioni contro i 15 milioni ricevuti). I tifosi partenopei se la prendono con Quagliarella, lo considerano un tradimento. A lui non va giù, si difende, spiega che è stata una scelta della società, che non va a guadagnare di più. D'altra parte, nei fumetti, Eta Beta è allergico al denaro. Di sicuro la bella storia del ritorno a casa è guastata.
Pronti, via: con la Juventus fa 9 gol in 17 partite di campionato. Poi si rompe il crociato: è il gennaio 2011 e la sua stagione è finita. In quella successiva trova poco spazio. E lo stesso accadrà in quella dopo, e in quella dopo ancora.
Resta la sensazione che sia difficilissimo, anche per i quattro anni in bianconero, valutare l'esperienza. Perché, fatta eccezione per quei primi mesi, non ha potuto davvero tradire o confermare la fiducia: semplicemente non gli hanno dato la possibilità di guidare l'attacco bianconero. Oppure non se l'è meritata, quella possibilità. Dipende dalla prospettiva. Si è sempre fatto trovare pronto, questo sì. I numeri dicono: 30 reti e 9 assist in 102 partite.
Tutti i gol segnati con la maglia della Juve.
Con la Juventus in Champions League ha segnato contro il Chelsea nel girone e ha realizzato un gol anche agli ottavi contro il Celtic. A fare un bilancio, in campo internazionale ha sempre reso molto. Nella sua carriera, in Champions ha segnato 6 gol in 527 minuti giocati (un gol ogni 88 minuti) e tra Coppa UEFA ed Europa League i gol sono 12 in 1.578 minuti giocati (un gol ogni 131,5 minuti).
In Nazionale maggiore ha collezionato 25 presenze e 7 reti, ma solo 974 minuti effettivi. Ci è arrivato dopo l'intera trafila delle Nazionali giovanili, ma saltando, di fatto, l'Under-21 (una sola presenza).
È una storia di incompiutezza, che spinge a ragionare sui what if. Con la maglia azzurra Quagliarella gioca soprattutto scampoli, concentrati nelle gare di qualificazione, e trova pochissimo spazio nelle fasi finali. Agli Europei del 2008, ha a disposizione appena tredici minuti contro la Romania nel girone. Al Mondiale in Sudafrica gioca appena un tempo, ma è una delle migliori prestazioni della sua carriera.
Probabilmente si tratta della gara che più esalta i suoi sostenitori e convince gli scettici. Probabilmente in tutte le case sintonizzate fa maledire Lippi per averlo inserito così tardi. È l'ultima partita del girone, contro la Slovacchia, e lui ci prova in tutti i modi a evitare l'eliminazione: un gol (bellissimo), un'iniziativa personale che porta al gol di Di Natale, un gol annullato per un lievissimo fuorigioco, un tiro salvato (o no?) da un difensore sulla linea. Eppure finisce 2-3 e l'Italia va fuori.
Le fasi salienti dell'ultima partita degli azzurri in Sudafrica. Quagliarella entra nell'intervallo, ed è in tutte le azioni cruciali che fanno sognare la rimonta.
Il secondo ritorno della sua carriera non è un viaggio fisico, la città è la stessa, ma passare la barricata non può che essere un'esperienza forte. E portare di nuovo quei colori nove anni dopo l'ultima volta, anche questo è un viaggio. Il Toro è risorto, come sempre. Quagliarella non è un ventiduenne di belle speranze, ma un trentunenne che ha scelto il granata per colorare il suo tramonto.
Se qualcuno ha avuto dei dubbi, li ha lasciati andare. Tredici gol nel campionato scorso, uno dei quali storico. In questo scorcio di stagione, in 8 partite fra campionato e Coppa Italia, ha messo insieme 4 gol e 2 assist. Numeri importanti. Tra 5 gare il Torino sarà la squadra con cui avrà collezionato più presenze, scavalcando proprio la Juve.
Torino-Juventus, la scorsa primavera. Prima l'assist a Darmian, poi il gol del sorpasso. C'è il nome di Quagliarella sul derby che torna granata vent'anni dopo l'ultima volta.
Lui stesso ha dichiarato che l'aspetto del calcio che gli piace di più è l'imprevedibilità. Secondo me ci si può spingere oltre, si può riconoscere un'originalità sublimata in una concezione eterodossa del calcio.
Agli Oscar del calcio dell'AIC, nel 2009, Quagliarella viene premiato per il gol più bello dell'anno, un tiro al volo con la maglia dell'Udinese «contro il mio Napoli», come dice. Mi piace l'attenzione con cui Ibrahimovic dalla platea assiste alla premiazione, mi sembra per una volta concedere rispetto, e non gratuitamente: credere nell'incredibile, provare a costruirlo dal nulla, resistendo alle attese e alle convenzioni del gioco, è qualcosa che li accomuna.
Eccolo. Napoli-Udinese del 2008/09. Un tiro che è difficile farsi venire in mente: Eta Beta si coordina, al limite dell'area, quando ancora nessuno può sapere in che modo gli arriverà il pallone, in anticipo sul pensiero dei difensori e del portiere prima ancora che sui loro movimenti.
Il tramonto color granata forse è un nuovo inizio. Perché adesso c'è un altro obiettivo fino a qualche tempo fa impensabile, e sarebbe un altro ritorno: la Nazionale. Il Torino ha una squadra solida, un allenatore serio e capace, tanti giovani di ottima prospettiva. E Quagliarella sembra avere la forza di guidare il club e sé stesso verso un altro salto di qualità, dopo che quello di Napoli gli sfuggì.
Anche se, prima della recente convocazione da parte di Conte, è stato convocato ancora nel settembre 2014, l'ultima volta in campo con la maglia azzurra è stata a novembre 2010. Cinque anni dopo, un paio di settimane fa, non si precludeva l'obiettivo di tornare a indossarla: «Perché non dovrei pensarci?». Nessun dubbio che ci proverà, fino all'ultimo.