Il calcio è fermo ma non possiamo smettere di pensare e guardare calcio. Allora andiamo su Footballia e cerchiamo le partite del passato che ci mancano, o di cui abbiamo nostalgia; apriamo YouTube e cerchiamo i nostri giocatori preferiti. O con più feticismo: i gesti tecnici dei nostri giocatori preferiti. Del resto se il pubblico di appassionati di calcio è diventato con gli anni più competente, i video su YouTube - la più generalista delle piattaforme streaming - sono diventati incredibilmente particolareggiati.
Riguardando questi video possiamo apprezzare alcune giocate che hanno definito la nostra memoria calcistica, e il nostro gusto: i lanci di prima di Totti, i dribbling di Robinho, le scivolate di Nesta, i colpi di testa di Bierhoff. Così abbiamo pensato a una serie di articoli che sistematizzasse i migliori calciatori del XXI secolo, dividendoli per categorie specifiche legate alla loro tecnica. Oltre il ruolo, oltre i titoli vinti, oltre le categorie con cui più immediatamente tendiamo a formare la nostra critica calcistica, i nostri discorsi sul calcio. Ora che è tutto fermo possiamo finalmente riflettere e tirare una riga.
La categoria con cui cominciamo questa nuova serie è quella sui migliori “lanciatori” ed è piuttosto intuitiva: i migliori calciatori degli ultimi vent’anni a lanciare lungo. I migliori per tecnica, precisione, ambizione, efficacia. Abbiamo deciso di limitarci a dieci nomi, e siamo quindi stati costretti a delle scelte. Alcuni sono rimasti fuori anche se ci sarebbe piaciuto inserirli (i più contemporanei: Ziyech, Pogba e Trent Alexander-Arnold; il formidabile Wesley Sneijder, o quelli più di nicchia, che capite da soli perché non hanno superato il taglio, tipo Eugenio Corini, Fabio Liverani o Mirko Valdifiori). Ci siamo limitati a scegliere un solo difensore, per evitare di sovrapporci con la categoria dei “difensori bravi coi piedi” che tratteremo in futuro, ma meritano almeno la menzione Toby Alderweireld e David Luiz.
Abbiamo provato a essere il più oggettivi e universali possibili, ma il gusto soggettivo in questo tipo di liste è ineliminabile.
Toni Kroos
Quando si fanno gli elenchi dei calciatori più tecnici al mondo difficilmente viene fuori il nome di Toni Kroos. Forse perché la sua tecnica non ha niente di appariscente, è persino spartana. Nel controllare il pallone, proteggerlo, passarlo ai compagni, calciare verso la porta, non sembra esserci niente che non sia perfettamente essenziale. E l’essenzialità è una forma di eleganza nascosta negli angoli meno visibili di una partita.
La tecnica di Kroos è quella che si esprime soprattutto nel ripulire tutte le asperità, il caos e le storture nella costruzione del gioco: far diventare il calcio un esercizio così razionale da sembrare astratto. La semplicità con cui il Real Madrid in questi anni ha sviluppato il proprio controllo tecnico sulle partite, quella specie di manto morbido con cui avvolge le partite portandole a una temperatura che solo lei sopporta, è merito per buona parte della semplicità tecnica di Toni Kroos, della sua capacità di resistere alla pressione e di aggirarla manipolando tempi e spazi come pochi altri. Ma anche dalla sua capacità di passaggio nel lungo, che nel Real Madrid - cioè nella squadra col più alto tasso tecnico nell’ultimo decennio - non ha eguali.
I lanci di Toni Kroos sono così puliti e precisi che in occasione degli Europei del 2016 gli avevamo dedicato un pezzo in cui li commentavamo e votavamo come si fa per i tuffi, che come i lanci lunghi hanno bisogno di una precisione di movimento minuziosa. Nei cambi di gioco l’esattezza di Kroos è quasi artificiale, da laboratorio.
I suoi video sono rilassanti come ASMR per gli occhi. Guardate questo lancio senza sforzo con cui controlla una palla difficile da lanciare calibrandola in un cambio di gioco; oppure questo verso Marcelo scavando la palla con un pezzo d’esterno del piede. Pur nascendo trequartista, Kroos non è un rifinitore e la sua tecnica nel lancio si esprime soprattutto nei suoi cambi di campo in diagonale mai banali. In questo video intitolato significativamente “50 passaggi che solo Kroos può fare” si nota anche un’altra situazione di lancio in cui brilla Kroos: quelli forti di interno a girare che compie allargato nel mezzo spazio di sinistra. Passaggi così forti e calibrati che chi riceve ha già più della metà del compito assolto.
Per parafrasare una famosa citazione di Vonnegut, quando Kroos esegue un lancio come solo lui sa fare fateci caso.
Juan Sebastian Veron
Non c’era fondamentale tecnico in cui Veron non eccellesse. Il controllo, il dribbling, il tiro, l’uso dell’esterno, della suola, dell’interno, del collo pieno. Anche perché se Veron non fosse stato uno dei calciatori maggiormente dotati di tecnica della sua epoca, difficilmente avrebbe giocato ad alto livello. Le sue scarse doti atletiche erano tanto leggendarie quanto la sua visione di gioco. Veron è uno degli ultimi playmaker, della stessa stirpe di Valderrama e Riquelme, un giocatore con l’ambizione di controllare il tempo e la direzione in cui si sviluppava ogni fase del gioco della sua squadra: costruzione e consolidazione, progressione verso la porta avversaria, rifinitura e finalizzazione. Certo, non arrivava al perfezionismo da orologiaio di Riquelme, né si è mai inserito in un collettivo esaltando e venendo esaltato dai propri compagni come Valderrama con la sua Nazionale: Veron era elegantissimo e sciatto al tempo stesso, ambizioso e decadente. Con gli stinchi nudi, la cui lunghezza era accentuata oltre che dai calzettoni bassi da un laccetto bianco che stringeva sotto al ginocchio destro, Veron sembrava strisciare per il campo, con il suo passo lungo e pesante. Molti dei migliori lanciatori che abbiamo scelto eseguono i propri gesti con la cura di un tennista che gioca il miglior punto della propria partite; Veron è quello stesso tennista che lancia la pallina al pubblico dopo aver vinto, senza guardare dove va a finire.
L’aria sfinita di Veron, come se stesse per accasciarsi al suolo di lì a breve, contrastava con le idee che gli venivano. Vedeva passaggi improvvisi, luminosi, a volte impossibili. Per questo sprecava anche molti palloni, ma i migliori tra quelli che andavano a buon fine erano passaggi che non avrebbe fatto quasi nessun altro. E non parlo solo dei lanci in questo caso, ma soprattutto dei filtranti. Perché Veron era un genio in moltissime cose, tra cui i filtranti rasoterra, che passavano tra le linee avversarie come le pinze di un chirurgo che si avventura in mezzo ad organi vitali. Il Veron della Lazio, quello che aveva ancora venticinque anni anche se ne dimostrava il doppio, era anche un genio del gioco spalle alla porta. Dei controlli orientati (nel video qui sopra ne esegue uno di petto da far cadere la mandibola), del gioco di prima sul corto, degli smarcamenti alle spalle degli avversari, dei passaggi taglia-linee. Però era anche un giocatore fondamentalmente pigro, la cui idea di calcio ideale consisteva nel mandare in porta i compagni di prima, senza neanche stoppare la palla.
Veron sapeva essere precisissimo, ma era splendido anche quando sbagliava. Anche quando con l’età - il Veron trentenne dell’Inter che lasciava raramente la posizione davanti ai difensori, o quello dello United ancora meno mobile) il ricorso al lancione si faceva più insistito. I suoi cambi di campo altissimi erano difficili da controllare e spesso piovevano sui piedi dei compagni una frazione di secondo prima che ci arrivasse un avversario, però quanto era bello vedere la palla che si alzava e abbassava come una lanterna cinese. Oppure quando si trovava di fronte una palla che rimbalzava e lanciava di collo esterno colpendola il più forte possibile, cercando di metterla in un canestro invisibile appena dentro l’area di rigore (qui a 0.25 in un vecchio derby con il Milan ne fa uno pazzesco, ad esempio; nel video sopra ne fa uno a 1.10 sulla fascia, dopo un contrasto, che non si capisce neanche come abbia visto Conceição più avanti), senza preoccuparsi di come l’attaccante avrebbe dovuto controllarla per concludere. La tecnica di calcio di Juan Sebastian Veron è una delle più eleganti ed efficaci degli ultimi trent’anni, forse di sempre.
Xabi Alonso
Il calcio è uno sport dinamico dove le situazioni sono difficili da scomporre. Il lancio lungo, elevato al suo massimo grado artistico, sembra invece appartenere a uno sport statico. Un gesto scomponibile dal resto della partita. Xabi Alonso ne è stato uno dei massimi interpreti anche perché quando calciava il campo da calcio sembrava ghiacciarsi. Lui sembrava prendersi un momento di pausa dal caos, per concentrarsi sull’esecuzione del gesto con la stessa cura dei dettagli di un tennista col servizio, di un giocatore di baseball alla battuta o di un golfista. Certi lanci di Xabi Alonso potrebbero davvero stare in un museo sulla meccanica umana. Quando per definire la sua presenza in campo si usava la categoria della “classe”, tra le più immateriali del calcio, ci si vuole riferire forse soprattutto alla capacità di controllo che aveva sul gioco, e al rapporto inversamente proporzionale tra quanto sembrava essere sotto sforzo e la forza e la precisione dei suoi lanci, capaci di trovare i compagni anche a 50, 60 metri di distanza.
Nel video sopra ce ne sarebbero tanti da citare. Questo a squarciare il campo in diagonale verso Marcelo è forse il più visionario; questo invece quello che - per estetica, coolness e quella specie di sottile snobismo che era nel suo gioco - mi fa godere di più. Alonso aveva un’arte del lancio lungo così elaborata che due dei suoi gol più celebri con la maglia del Liverpool altro non sono che lanci lunghi finiti in rete. Quando Marca qualche anno fa gli ha chiesto come voleva essere ricordato Alonso ha detto una cosa semplice e al contempo grandiosa: «Come un calciatore puro».
Andrea Pirlo
Andrea Pirlo è stato, dal 2000 in avanti, forse il calciatore più iconico della categoria di cui stiamo parlando. Fondamentalmente quella dei registi che, fermi al centro del campo, connettono punti della loro squadra molto distanti tra loro.
Pirlo con i capelli lunghi, l’aria triste e quella corsa che sembrava quella di un uomo che stava fingendo di correre. Nessuno come lui è riuscito ad abbinare un così scarso senso d’agonismo a una così elevata qualità tecnica.
Pirlo nasce trequartista e anche quando è stato spostato davanti la difesa ha mantenuto uno spiccato gusto per la rifinitura. Del calcio di oggi si dice che i numeri dieci si sono spostati trenta metri più indietro: non sono più quelli che giocano tra le linee ma quelli che battono la pressione. Pirlo, allora, è stato tra i primi interpreti di questa mutazione. Ma in un calcio in cui il pressing era più raro, Pirlo poteva guardare molto ai movimenti degli attaccanti. Non stupisce che alla domanda sul compagno con cui si è trovato meglio Pirlo abbia indicato Inzaghi: «Per me era il massimo, perché era sempre sul filo del fuorigioco. E quindi appena avevo la possibilità di lanciarli la palla sapevo, anche senza guardarlo, che lui correva in quella direzione».
Il lancio di Pirlo dietro la difesa, con la gamba e il corpo che oscillano poco, è stato il singolo gesto tecnico più significativo del calcio italiano dei primi anni del XXI secolo, aperto dal leggendario lancio verso Roberto Baggio in un Juventus-Brescia. Uno dei gol che nessuno può dimenticare. Ma di lanci diventati assist è disseminata la carriera di Pirlo. Scavando si possono trovare perle tipo questa per Shevchenko in un remoto Milan-Modena: un assist di sinistro, eseguito appena dopo essersi girato fronte alla porta. Pirlo sentiva i movimenti in profondità come i migliori numeri dieci.
Verso il finale di carriera questa sua qualità di giocare “lungo” è stata esaltata dal sistema di Conte, che amava distanze larghe e la ricerca dell’ampiezza. L’associazione tra Pirlo e Lichtsteiner, l’esterno destro del 3-5-2, può suonare assurda ma ha caratterizzato quel periodo finale di Pirlo in Serie A. Questa lista è piena di centrocampisti che cambiano gioco verso l’esterno; la differenza è che Pirlo lanciava Lichtsteiner per mandarlo in porta dopo inserimenti profondissimi. Un’associazione che personalmente ricordavo avesse fruttato più gol (Lichtsteiner è arrivato a massimo 4 gol stagionali) ma comunque abbastanza memorabile da spingere la Juve a dedicargli sui social questo sketch piuttosto imbarazzante. Lichtsteiner che dopo il gol all’Inter si inchina a Pirlo e gli lucida lo scarpino è l’immagine che riassume la legacy di un lanciatore formidabile. L’immagine universale del cervello che arma il braccio.
Steven Gerrard
Su YouTube si trova una compilation con i migliori passaggi lunghi di Gerrard solo dalla stagione 2012-13. Gerrard era quasi a fine carriera, eppure andò in doppia cifra di gol e assist in un Liverpool che finì settimo in campionato. Come in tutto il suo gioco, anche nei lanci lunghi, Gerrard non era particolarmente elegante. Lanciava in maniera scomposta, ingobbito, i pugni chiusi come se avesse bisogno di ogni briciolo di forza per mandare il pallone lontano dal suo piede. Eppure è senza dubbio uno dei migliori lanciatori della sua epoca. In carriera ha giocato più o meno vicino alla porta, ma non ha mai fatto differenza: che dovesse rifinire il gioco con i suoi lanci o dovesse cercare di spostare il gioco di 80 metri non faceva differenza. I suoi lanci non avevano bisogno di preparazione o posture particolari, non erano un gesto d’artista. Gerrard poteva trovare l’esterno dall’altra parte del campo lanciando di collo un pallone che rimbalzava tra due avversari; lanciare a palombella d’esterno dopo aver fintato un passaggio corto; trovare i movimenti di Suarez con lanci dalla propria area di rigore.
Anche dopo essere scivolato, d’esterno.
In ogni caso i suoi lanci erano sempre precisi. Anche senza guardare sapeva sempre in quale punto del campo lanciare per trovare un compagno sulla corsa, dosare la forza per far passare il pallone appena sopra la testa di un avversario. Non a caso la sua intesa con Torres era leggendaria, un attaccante in grado di muoversi nello spazio magnificamente. Gerrard nei suoi lanci lunghi ha unito una visione di gioco unica, alla capacità di calciare il pallone come se fosse una pallina da tennis piena di sabbia. Non a caso ha segnato più gol incredibili da fuori area di chiunque altro.
I suoi lanci lunghi non saranno delicati e poetici come quelli di Xabi Alonso, che per anni gli ha giocato accanto orchestrando uno dei centrocampi più forti di quegli anni, tuttavia Gerrard rimane un lanciatore unico, efficiente, preciso, ingegnoso. Nessuno ha generato lanciatori puri migliori del calcio inglese e Gerrard è probabilmente l’ultimo della specie, una specie di cigno nero, sgraziato.
Kevin De Bruyne
Mentre penso siamo tutti d’accordo sul fatto che i nuovi palloni, più leggeri, abbiano dato una mano ai grandi tiratori, lo stesso non si può certo dire per i grandi lanciatori, che non possono permettersi il lusso di dare una traiettoria imprevedibile al pallone. Anzi: la prevedibilità della traiettoria è un elemento fondamentale per permettere a chi riceve di arrivare in tempo con la caduta della palla, senza cui il grande lanciatore non potrebbe chiamarsi tale. Eppure c’è una classe ristrettissima di giocatori nel calcio contemporaneo che è riuscita a sfruttare le nuove proprietà dei palloni anche per lanciare - una categoria che, a mio modo di vedere, è rappresentata proprio da Kevin De Bruyne.
Se chiudo gli occhi e penso a De Bruyne la prima cosa che mi viene in mente sono quei terribili passaggi orizzontali che tagliano le aree avversarie come katane affilate, con il pallone che sembra andare più veloce della reattività dei difensori fino a impattare su un compagno che la mette in porta a pochi metri dalla linea di porta (un tipo di assist che il Manchester City sfrutta sistematicamente).
Nella creatività del belga c’è qualcosa di industriale: quando mette il pallone in quello spazio tra difesa e portiere non sembra davvero guardare, o raffigurarsi in mente, un compagno che andrà a riceverlo. Quei passaggi sono treni con orari prefissati su cui i suoi compagni devono solo salire in tempo mettendo una parte del proprio corpo che devii il pallone in porta. Quando colpisce il pallone, De Bruyne sembra dargli una consistenza diversa, che gli permette di accelerare inizialmente, per superare la difesa, per poi fare una pausa impercettibile nella zona in cui i suoi compagni devono colpirlo. E penso che senza i nuovi palloni questo tipo di andamento “non lineare” non sarebbe possibile.
Nei lanci questa caratteristica è ancora più evidente: De Bruyne varia l’accelerazione del pallone per ingannare i difensori avversari e pescare i compagni in zone di campo ancora più vantaggiose di quanto sarebbe possibile fare con dei lanci normali. C’è un video su YouTube chiamato in maniera decisamente poco originale 50+ Genius passes Only Kevin De Bruyne Can Do in cui un momento che ricorre è quello in cui il difensore crede di aver capito la traiettoria del pallone e alla fine rimane fregato. Tra il minuto 1.58 e 2.07 ci sono ad esempio due lanci quasi identici, fatti scavando il pallone con quella zona del piede in cui la punta sta per trasformarsi in interno, in cui i difensori indietreggiano pigramente verso il portiere guardando il pallone che passa sopra le proprie teste solo per accorgersi alla fine che è caduto proprio nell’ultimo spazio disponibile tra loro e il portiere, e che in quello spazio c’è un avversario. L’immagine ricorrente è l’ultimo uomo che cerca disperatamente di intervenire, fallendo.
I miei preferiti, però, sono quelli fatti da lontanissimo, in cui De Bruyne colpisce il pallone forte e le traiettorie diventano davvero irreali. A 4.34 ce n’è uno fatto contro il Manchester United dall’inizio della trequarti in cui il pallone sale altissimo e sembra poter finire in curva, solo per poi cadere a strapiombo poco prima della linea di fondo, come se il pallone avesse assunto improvvisamente una gravità diversa. Quasi sempre c’è un difensore che, ingannato da queste turbolenze, fa la figura dello scemo: a 7.50 uno finisce per cadere di schiena per aver cercato di respingere un suo lancio in diagonale che aveva accelerato il passo nei suoi pressi.
De Bruyne ha raggiunto una sensibilità tale sul pallone che sembra poter controllare la traiettoria anche dopo averlo colpito. Quando diciamo che un lancio è “telecomandato”, nel suo caso questo linguaggio sembra essere meno figurato.
David Beckham
Scrivevamo di Beckham qualche tempo fa: «Molti cross di Beckham in realtà non erano affatto dei cross, piuttosto dei lanci molto precisi, o molto tesi, recapitati con un drone invisibile sui piedi dei compagni direttamente nelle zone più sensibili del campo. La sua visione di gioco è la vera qualità che lo rendeva una minaccia da qualsiasi punto del campo fosse e che gli permetteva di servire gli attaccanti con costanza anche senza poter contare sul dribbling per crearsi lo spazio necessario».
Beckham non metteva solo la palla sulla testa o sul piede dei suoi attaccanti, ma sceglieva i tempi e calibrava la velocità della palla in modo che ci arrivassero senza allungare o accorciare il passo. Spesso, in realtà, bastava che mettessero a disposizione il piatto del proprio piede o la propria fronte affinché la palla ci sbattesse ed entrasse praticamente da sola. Beckham, insomma, aveva una visione di gioco così profonda che pensava anche a come avrebbero finalizzato i suoi lanci o i suoi cross. E poteva mettere in porta i propri compagni da qualsiasi posizione del campo, dalla fascia come dal centro del campo, in corsa o da fermo.
Un calciatore che ricordiamo solo come icona - il braccio sinistro che si alza come quello di un cantante davanti a uno stadio pieno pronto a intonare il ritornello; i mille tagli di capelli, le magliette larghe che in qualche modo non lo facevano sembrare goffo - è stato in realtà forse quello con la tecnica di calcio migliore in assoluto.
Paul Scholes
Scholes è stato il centrocampista più completo della sua generazione, incarnando lo spirito anglosassone del box-to-box meglio di tutti. Potrebbe stare in una lista dei migliori tiratori di bombe, ma anche di passatori, interditori, corridori. Su YouTube si trova una compilation per ogni cosa, viene addirittura chiamato Einstein, la figura di genio universale, genio in tutto. Che lanciasse anche bene è quasi un’ingiustizia, una caratteristica di solito riservata al genio pigro e scostante. Scholes lanciava lungo come faceva tutto il resto in campo, benissimo nonostante la foga di un uomo che sta scappando da qualcosa.
Quello che preferisco dei suoi lanci è il tocco per portarsi la palla in avanti prima di eseguirli. Lo faceva praticamente sempre, prima di caricarsi come una molla e calciare lungo palloni che più che parabole sembravano fendenti, squarci di Fontana. Scholes lanciava colpendo il pallone di taglio, con la parte del piede tra il collo e l’interno. Quando voleva aprire verso la destra del campo, con il destro, dava un po’ di effetto a uscire al pallone. Per il resto suoi lanci potevano essere scambiati per i suoi tiri, violenti e dritti, a dimostrare che il modo più semplice per collegare due punti, anche distanti 50 metri, è una linea retta.
Anche a fine carriera i suoi lanci erano tagliati e precisi.
Scholes ha giocato con lo United per 19 stagioni. Ha lanciato attaccanti ed esterni di tutti i tipi, da Cole e Yorke a Cristiano Ronaldo e Rooney. Nell’immaginario collettivo è il centrocampista perfetto, il modello ideale di tutti quelli venuti dopo, e mai come in questo caso non siamo lontani dalla verità. Il suo gioco lungo è forse rimasto nascosto sotto tutto il resto, ma rimane uno dei più precisi di questo secolo. Quasi tutti i calciatori hanno reso omaggio a Scholes, la più bella citazione però è quella di uno dei più grandi di sempre, Pelè: «Se ci avessi giocato insieme, avrei segnato molti più gol».
Francesco Totti
Non so se Totti sia il miglior lanciatore tra i nomi presenti in questo pezzo. Quello che so per certo è che se penso al suo talento la prima cosa che mi viene in mente è un lancio.
Questo lancio, per la precisione, realizzato contro il Crotone nella stagione 2016/17, quella che porterà al suo ritiro. Non è il miglior lancio di Totti, né il suo più bello, o il suo più importante. Sicuramente, però, è uno dei più rappresentativi: perché realizzato da spalle alla porta, quindi in una situazione di teorica palla coperta in cui la difesa è autorizzata a salire, di prima, e con i rimbalzi contati. Come ci divertivamo a dire da piccoli con i miei amici, è un lancio “già stoppato”, e a Dzeko basta un semplice pallonetto di piatto per trasformarlo in gol.
Al di là degli aspetti tecnici, la cosa che più lo rende un lancio di Totti è la reazione di Dzeko, che un istante dopo aver segnato si gira per indicarlo e per andarlo ad abbracciare. I lanci di Totti più alla Totti sono quelli in cui è evidente che in quella situazione si sarebbe potuto segnare solo attraverso quei lanci. Questo spiega perché in molti di questi gol si vede la squadra andare ad abbracciare chi ha fatto l’assist invece di chi ha fatto il gol, e perché Totti provasse un senso di appagamento esistenziale nel farli. Quando gli riusciva un lancio, Totti aveva la stessa serenità di chi si mette in veranda a prendere l’ultimo sole dopo una lunga giornata di lavoro. Sentiva di aver fatto il suo.
Il motivo era che quei lanci con la loro stessa esistenza affermavano l’insostituibilità del creatore di gioco, senza il quale alla squadra sarebbe mancato il sostentamento più indispensabile, e cioè il gol. In pochi altri giocatori ho mai visto un’espressione così evidente e tracotante di creatività, nel senso letterale del termine. Qualcosa che derivava in parte dalla stessa personalità di Totti, che per tutta la carriera ha cercato di rimarcare la sua importanza all’interno della Roma; in parte dal fatto che in quanto a talento creativo Totti ha sempre avuto pochi rivali, soprattutto all’interno della Roma; ma soprattutto dalla effettiva difficoltà tecnica dei suoi lanci in verticale. Nei suoi momenti migliori, Totti sembrava davvero poter dare vita sul campo di calcio a quello che in Watchmen viene chiamato miracolo termodinamico: cioè la capacità di trasformare l’aria in oro.
Su YouTube ci sono diversi video in cui si raccolgono i migliori assist di Totti, all’interno dei quali troverete decine di lanci in verticali realizzati spalle alla porta. Uno, per Cassano, addirittura di tacco - forse la sublimazione definitiva del suo talento. Con il fantasista barese, com’è noto, Totti ha raggiunto i picchi più alti della sua arte. Momenti in cui riusciva a metterlo davanti alla porta colpendo il pallone di mezzo esterno di puro gusto, per dargli un effetto a uscire ma verso la porta.
Leonardo Bonucci
Bonucci è il primo nome che viene in mente quando si pensa alla new wave dei difensori bravi coi piedi. Forse non è il migliore, non ha la rapidità e la sicurezza di altri difensori nel gestire il possesso difensivo, però nessuno quanto lui ha reso iconico il lancio che partendo da dietro innesca il movimento dell’attaccante dietro la difesa avversaria diventando un assist.
Andando solo a memoria, posso citare il lancio per Vucinic nella partita contro il Cagliari che ha certificato il primo Scudetto dell’era Conte; un altro per l’attaccante montenegrino - uno dei suoi bersagli preferiti - in una partita contro la Lazio in cui ne fece anche uno a Vidal; quello per Giaccherini nella prima partita dell’Europeo contro il Belgio, uno dei più belli che ricordo e per arrivare al presente, quello per lo spettacolare gol di Cristiano Ronaldo contro il Manchester United e per Dybala in un’altra partita di Champions, contro lo Young Boys.
Bonucci si è scoperto lanciatore sopraffino quando ha incontrato Conte, in un sistema di gioco che agevolava questa sua capacità. Il quadrato di costruzione bassa della Juventus offriva due incredibili opzioni per cercare i movimenti degli attaccanti da dietro, ma se le qualità dei lanci di Pirlo - che non a caso è in questa lista - a quel punto erano ampiamente riconosciute, Bonucci è stato una sorpresa per tutti ma anche e soprattutto per sé stesso. In una stagione è passato da 3.9 passaggi lunghi completati a 6.1, continuando a incrementare questo numero fino all’arrivo di Allegri (nell’Europa League 2013/14 è arrivato a 12.6 passaggi lunghi completati a partita, pur con un campione ridotto di 7 partite è un numero assurdo).
Ancora oggi, in alcuni momenti, sembra quasi che Bonucci non possa fare a meno di lanciare lungo, come fosse una dipendenza. Credo perché più di tutti i nomi in questa lista, Bonucci sia quello che più viene definito dalla sua capacità di lanciare lungo, sventagliare palloni a 60-70 metri come fosse una pistola spara magliette. Per Bonucci il lancio lungo non è solo un mezzo per far risalire il gioco ma prima di tutto è la sua signature move.
Rispetto ad altri non ha bisogno di sforzarsi per lanciare lungo: il gesto è naturale, minimo. Ruota la spalla destra all’indietro e via, la palla viaggia come avesse preso una corrente d’aria favorevole. Usa più parti del piede per lanciare: lancia di mezzo collo, ma anche quasi di collo pieno, d’esterno o in ogni modo necessario per tracciare la parabola che ha pensato.
Anche per la posizione di campo che occupa, non è mai improvviso, c’è sempre un ragionamento dietro, una filosofia, Bonucci sembra amare il lancio lungo come i figli. Per questo è uno dei migliori, perché oltre a saperlo fare ci tiene e, come in tutte le cose, è il segreto per farle bene.