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L'approdo del Re
02 lug 2018
Cosa significa il passaggio di LeBron James ai Los Angeles Lakers per la sua legacy, per la sua nuova squadra e per l'equilibrio della NBA.
(articolo)
9 min
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A pensarci un attimo, la prossima squadra di LeBron James era già scritta da tempo: se la priorità per la sua scelta in free agency era il benessere della sua famiglia fuori dal campo, la decisione non poteva che ricadere su Los Angeles, dove i James possiedono non una ma ben due case — più che nella nativa Akron, per intenderci. L.A. è l’epicentro del mondo di LeBron James durante l’estate già da qualche anno ed è solamente logico che, avvicinandosi alla parte finale della sua carriera, voglia continuare ad espandere il suo gigantesco impero finanziario nella città che gli permette le maggiori potenzialità fuori dal campo dal punto di vista economico. Se a questo scenario aggiungete la possibilità di far giocare i propri figli in un contesto cestistico di alto livello — il più grande, Bronny, secondo quanto riferito si è già iscritto nella scuola privata di Sierra Canyon, una powerhouse a livello scolastico —, unire tutti i puntini non diventa così difficile.

Come già scrivevamo settimana scorsa, quella di James è una scelta prima di tutto extra-campo sulla quale ha sicuramente pesato la presenza ingombrante di Magic Johnson. Più che Michael Jordan, il giocatore a cui più James vuole avvicinarsi è proprio Magic, non solo per lo stile di gioco in campo (LeBron si è sempre professato più un playmaker che un realizzatore), ma anche per quanto fatto fuori dal campo dopo la carriera, durante la quale l’ex numero 32 dei Lakers è riuscito a indicare la strada per tutti gli atleti venuti dopo di lui con i suoi investimenti di successo. Non è un caso che i due si siano incontrati già sabato sera sul tardi (bisogna dedurre dopo mezzanotte per evitare il tampering, ma con Magic non si sa mai) per discutere dei dettagli del passaggio di James a L.A., anche se a quanto pare la decisione era ormai stata presa da giorni.

James si inserisce così nella lunga tradizione dei grandi della NBA che hanno scelto di vestire il gialloviola: basti pensare che dei primi otto realizzatori nella storia della lega, LeBron è il sesto che giocherà per i Lakers dopo Kareem Abdul-Jabbar, Karl Malone, Kobe Bryant, Wilt Chamberlain e Shaquille O’Neal. LeBron rappresenta il free agent più importante ad essere sbarcato a L.A. proprio dai tempi di Shaq nel 1996 ed è il compimento del piano di Magic e Rob Pelinka, che hanno preso le redini dei Lakers un anno e mezzo fa proprio per arrivare a questo momento: ridare alla franchigia una superstar di primissimo livello in grado di riportarla innanzitutto alla rilevanza (obiettivo già raggiunto) e ai playoff dopo cinque anni di assenza (obiettivo raggiungibile), ma soprattutto di raggiungere quel titolo che permetterebbe di raggiungere i Boston Celtics a quota 17 nella classifica all-time della NBA (obiettivo per il quale conviene approfondire).

Una decisione a lungo termine

Se la scelta di andare ai Lakers era in qualche modo prevedibile, a sorprendere è stata la durata del contratto decisa da James: quattro anni a 154 milioni di dollari complessivi, mantenendosi la possibilità di uscire dall’accordo prima dell’ultima stagione prevista. Era dal 2010 che LeBron non firmava un contratto così lungo, visto che nei suoi quattro anni a Cleveland aveva sempre preferito la flessibilità e la forza contrattuale per tenere saldamente il coltello dalla parte del manico e costringere la proprietà a spendere pur di mantenerlo in città. Una presa di posizione nata soprattutto dal pessimo rapporto con il proprietario Dan Gilbert, mai realmente apprezzato a livello umano per quanto professionalmente la loro relazione sia stata il più delle volte accettabile, ma anche dalla fretta di dover vincere un titolo a Cleveland per compiere il suo destino. Una fretta che evidentemente non avvertiva questa volta, pensando — a suo modo comprensibilmente — di essersi guadagnato la possibilità di fare quello che gli pare della sua carriera, che la sua legacy sia al sicuro. Per usare le parole di Kendrick Lamar: “My spot is solidified if you ask me / My name is identified as ‘that king’”.

Secondo quanto scritto da Lee Jenkins su Sports Illustrated, James è convinto che a L.A. troverà quello che a Cleveland non aveva per poter costruire una contender in grado di competere per il titolo per diversi anni: non solo talento giovane a roster, ma anche una città e una dirigenza in grado di attrarre free agent di livello grazie allo spazio salariale a disposizione. Questo ci fa pensare che LeBron sia solo il primo di una “campagna acquisti” in grado di rivoluzionare il volto dei gialloviola: poche ore dopo l’annuncio di James — dato, questa volta, attraverso uno scarno comunicato della sua agenzia di rappresentanza, decisamente sottotono — i vari Kentavious Caldwell-Pope, JaVale McGee (!) e Lance Stephenson (!!) hanno tutti trovato un accordo per andare ai Lakers, e c’è da immaginare che non finiscano qui.

Ovvio però che con quei tre non si vada da nessuna parte, men che meno battere i Golden State Warriors quattro volte in sette partite: per fare quello servirà aggiungere uno o più All-Star al roster attuale e sarà interessante vedere come la decisione resa pubblica da James cambierà le negoziazioni in corso tra i Lakers e i San Antonio Spurs per Kawhi Leonard. Fino a questo momento le offerte arrivate ai texani sono state definite “deludenti” se non proprio “inaccettabili”, ma se Leonard manterrà ferma la sua volontà di rifirmare solo per i Lakers (e quindi scegliendo di legarsi a James per il resto del prime della sua carriera), Magic e Pelinka mantengono il coltello dalla parte del manico visto che James non ha dato l’obbligo di portare anche Leonard immediatamente — altrimenti non avrebbe firmato così in fretta e per così a lungo.

È chiaro però che uno non prende LeBron James per vivacchiare e accontentarsi di andare ai playoff: nel momento in cui arriva il Re in squadra, l’obiettivo unico diventa vincere il titolo. Con questa scelta James si è messo ulteriore pressione addosso per portare un gruppo di giovani inesperti a fare strada nella ben più difficile Western Conference. Se quella di andare a Miami nel 2010 poteva sembrare la scelta “facile”, questa dal punto di vista prettamente cestistico è forse la più difficile tra quelle a disposizione, perché tutte le altre squadre — dai Rockets ai Sixers fino agli stessi Cavs — avevano più certezze in ottica playoff rispetto a quante ne diano i vari Lonzo Ball, Brandon Ingram e Kyle Kuzma guidati da coach Luke Walton.

Per puntare legittimamente al titolo ci sarà bisogno di aggiungere Leonard, che andrebbe a svolgere il ruolo di “Pippen-supercharged” di fianco a “Jordan-LeBron”, ma i Lakers dovranno fare un grande lavoro per evitare di distruggere del tutto la profondità del roster pur di aggiungere Leonard subito. Dalla loro parte hanno il fatto che Kawhi potrebbe liberarsi tra un anno pur di unirsi ai gialloviola, quindi in teoria basterebbe mantenere lo spazio salariale a disposizione per aggiungere un candidato MVP senza cedere asset tra un anno. L’esperienza con Paul George, che un anno fa sembrava certo di diventare un giocatore dei Lakers e invece ha rifirmato a lungo con i Thunder, non può che aver spaventato la dirigenza gialloviola: nella NBA non c’è veramente certezza di quello che succederà anche in un periodo di tempo breve, e se Leonard venisse ceduto a una contender della Eastern Conference come i Boston Celtics o i Philadelphia 76ers non sarebbe così improbabile che cambi idea, decidendo di restare dove si è trovato bene (e dove avrebbe una strada più semplice verso le Finals).

Quali giocatori mettere attorno al Re

Aver firmato James rimane comunque un colpo straordinario per il modo in cui potrà migliorare lo sviluppo dei giovani a disposizione. Lonzo Ball è probabilmente già adesso il miglior passatore ad essere stato nella stessa squadra di James e, se il 37% mantenuto da dicembre in poi dalla lunga distanza si rivelasse sostenibile, sarebbe un buonissimo complemento come trattatore di palla secondario. Brandon Ingram, se rimanesse in città, potrebbe liberarsi dei compiti di creazione primaria per i quali non sembra ancora pronto, fungendo da “coltellino svizzero” offensivo in grado di tirare, passare e palleggiare in un sistema basato sul movimento di palla. Kyle Kuzma troverebbe tantissimi tiri aperti con cui colpire e una difesa già mossa da poter attaccare per mettere punti a tabellone, ovverosia la cosa che gli riesce meglio in questo momento della sua carriera.

Ovvio però che loro tre, insieme a James, non possano reggere il passo di corazzate come i Rockets o gli Warriors, che soprattutto nella metà campo difensiva mantengono un vantaggio di esperienza collettiva, stazza fisica e talento difficilmente colmabile in un solo anno o con un solo viaggio ai playoff. Per come sono costruiti ora, viene persino difficile pensare che i Lakers possano battere agilmente gli Utah Jazz o gli Oklahoma City Thunder al primo turno, figuriamoci essere pronti a vincere il titolo. James però deve aver ricevuto delle rassicurazioni sulle prossime mosse di mercato da fare adesso o nell’immediato futuro, e ha pensato che il guadagno fuori dal campo in termini economici, familiari e di “percezione” superassero qualsiasi dubbio a livello cestistico. I Lakers dal punto di vista salariale mantengono quella flessibilità in grado di permettere a Magic e a Pelinka di modellare il roster in base alle esigenze: se fallisse l’assalto a Kawhi, è possibile che questa squadra si presenti così com’è al training camp e solo poi durante la stagione vengano apportate le modifiche necessarie per renderla competitiva in base alla prova del campo. D’altronde anche i primissimi Cavs schieravano in quintetto Dion Waiters e Anderson Varejao, prima di trovare la quadratura della rotazione con le acquisizioni di J.R. Smith, Iman Shumpert e Timofey Mozgov a gennaio.

Quello che è probabile è che questi Lakers riescano ad operare con meno fretta rispetto a quanto i Cavs hanno dovuto fare negli ultimi anni per costruire la miglior squadra possibile attorno a James: avere la rassicurazione che per almeno tre anni LeBron sarà sotto controllo è un privilegio che a Cleveland non hanno mai potuto godere, e sarà interessante vedere come la squadra verrà costruita sia sul breve termine (perché comunque James non è uno che vuole rimanere fuori dai playoff) sia sul lungo periodo (grazie ai giovani e alla flessibilità salariale).

In ogni caso, preparatevi a una stagione memorabile: unire il brand del più grande giocatore del mondo a quello della franchigia più seguita della NBA è una combinazione che promette di fare scintille, e non appena saranno disponibili aspettatevi di vedere canotte gialloviola di James in ogni dove. Siamo solo all’inizio di un lungo viaggio: il Re è approdato a Los Angeles e di sicuro non ci è arrivato per recitare un ruolo di secondo piano.

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