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Coach: Maurizio Buscaglia
23 ott 2018
23 ott 2018
Idee, sogni, visioni e obiettivi: l’allenatore dell’Aquila Trento raccontato con le sue parole.
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In questo nuovo ciclo di pezzi de l’Ultimo Uomo daremo spazio alle storie e le voci di alcuni degli allenatori più interessanti del basket italiano ed europeo, per raccontare storie di pallacanestro, e la stagione che sarà, da un’altra prospettiva rispetto a quella a cui siamo solitamente abituati.

Nello sport odierno è difficile assistere a storie di fedeltà e continuità che si trascinano per anni. Progetti tecnici, riguardanti giocatori e allenatori, difficilmente tendono a durare per più di tre o quattro stagioni. O anche meno se l’obiettivo del risultato, non raggiunto, diventa ossessione e unica stella polare per giudicare un lavoro.

Nella pallacanestro italiana del 2018 esistono pochissimi esempi di “vera” longevità: in Serie A soltanto tre allenatori possono vantare una esperienza sulla panchina su cui siedono pari o superiore a quattro stagioni. Uno di questi tre è un nome che abbiamo già incontrato su queste pagine, e rappresenta uno di quella generazione di allenatori emergenti che si sta facendo strada nel panorama cestistico odierno.

La carriera e la storia di Maurizio Buscaglia da Bari, però, non è riassumibile soltanto dalla parola “fedeltà”, quella data all’Aquila Trento di nuovo “sua” dal 2010, dopo un quadriennio a metà dello scorso decennio. Buscaglia è uno degli allenatori più interessanti del basket italiano contemporaneo soprattutto per la sua capacità di proporre, sin dall’inizio della sua carriera, un gioco dall’identità molto chiara.

«Sono sempre stato convinto che in campo la condivisione degli aspetti che possono essere più faticosi, come una difesa tutti insieme, sia un qualcosa in grado di creare un legame». Buscaglia è preciso nell’identificare la difesa, appunto, come un ideale “alfa” da cui parte tutto: «Difendendo insieme, e passandosi il pallone, si vincono più partite, l’ho sempre avuto come modo di vedere». Tale ideale è da applicare anche in presenza di un giocatore dal talento maggiore («Non sono mai finito a non volere esaltare un talento, ma ho sempre cercato di metterlo maggiormente a disposizione della squadra») perché può creare una coesione maggiore: «Tutto ciò può portare i giocatori a condividere le stagioni dal punto di vista emotivo. Imparare a soffrire insieme, a rendere positive le cose meno positive, aiuta a girare pagina dopo una sconfitta e un allenamento venuto male».

«Quando la squadra è meno talentuosa o forte, è sotto nel punteggio o è inferiore all’avversario, ha una maggiore comprensione del limite da superare ed è così in grado di mettere in campo una condivisione di difesa e di gioco che può essere determinante ai fini della vittoria. E per il passaggio vale la stessa idea. Penso ad esempio a quando si dice come l’assist faccia felici due persone: è una frase che mi piace molto, che mi ha sempre fatto capire come questa idea potesse essere portata a tutti i livelli in cui ho allenato».

Carriera in continua evoluzione
Nel corso della sua carriera Buscaglia si è reso protagonista di una delle scalate alla piramide del basket italiano più memorabili dell’era recente. Dalla B2 alla semifinale di Eurocup, l’allenatore nativo di Bari - ma cresciuto cestisticamente tra Perugia e Bologna - ha sempre messo in mostra una base di principi tecnici e tattici molto solida ma, allo stesso tempo, l’umiltà di comprendere che un nuovo livello potesse apportare cambiamenti al suo identikit e modo di vedere il mestiere di allenatore.

«Avendo iniziato un po’ da solo, imparare a delegare è stato un momento molto importante» dice. «È l’imparare a essere capo allenatore, rappresentare una linea guida ma facendo fare qualcosa anche agli altri. Ci vuole serenità nel momento di far organizzare e preparare insieme a te il lavoro degli altri: significa dare allo staff e agli allenatori la delega di determinate cose come lo sviluppo dei giocatori. Facendo questo al meglio prendi da tutti. Chiunque lavori con te ti lascia qualcosa. Così tu prendi da tutti e dalle loro esperienze».

Non è solo questo, però, l’aspetto che più si è aggiunto nel modus operandi di Maurizio Buscaglia: «La capacità di sintesi, di arrivare in un contesto dove tutti fanno in maniera eccellente il proprio lavoro di medico, di fisioterapista, di massaggiatore. Le figure sono differenti, ma il momento della partita è tutto un piccolo sacrificio di tutti, e alla fine la decisione è una sola: è un qualcosa che matura nel tempo».


Il ritorno in città dopo la promozione del 2014.



«In campo, poi» continua Buscaglia, «pur mantenendo i binari e le redini del gruppo, puoi dare più facilmente la possibilità ai giocatori di aprire la loro mente e di provare. Accettando l’errore, crescendo sullo stesso e non avendo paura che le cose possano scappare via». Quando gli viene chiesto quale, delle venti stagioni da capo-allenatore, sia stata quella in grado di cambiare maggiormente il suo modo di allenare, Buscaglia offre una doppia chiave di lettura: «Ce ne sono diverse» afferma, «e penso che sia legato all’aver cambiato così tanto velocemente i vari campionati. La prima è il passaggio dalla B alla A2: ci sono giocatori di un certo livello, i primi stranieri, diversi linguaggi e di conseguenza diversi modi di pensare. Ma anche le trasferte più lunghe, la gestione del personale e del tempo, il passaggio a aspetti diversi di spogliatoio e di squadra».

«Collegandomi a questo ultimo punto» continua «la seconda stagione è la prima in Europa. Un qualcosa che ti fa ragionare, pensare e provare in termini diversi, mettendoti davanti a tanti modi di essere e di fare pallacanestro, scoprendo nuove filosofie e mentalità. Penso siano stati due passaggi che da un lato mi hanno influenzato e messo idee, facendomi imparare e sistemare mentalmente le due cose. Ma allo stesso punto sono state stagioni che mi hanno permesso di provare e verificare ciò che già avevo in testa e che credevo andasse fatto».

Continuità e cambiamenti
Delle venti stagioni - quella che sta per iniziare sarà la numero 21 - di Buscaglia da Head Coach, la stragrande maggioranza è stata spesa insieme a quell’Aquila Trento portata, come detto prima, dalla B a tre vittorie di distanza dall’Eurolega. Una scalata all’insegna della continuità per la giovane squadra trentina, che negli anni non ha esitato a puntare su un nucleo comune di giocatori per provare la scalata ai vertici della piramide cestistica italiana. Ad esempio Andres Pablo “Toto” Forray, arrivato in A Dilettanti nel 2011 e oggi capitano bianconero, con il traguardo delle 300 partite giocate con l’Aquila tagliato nella scorsa stagione.


Il video per celebrare le 300 partite in maglia Aquila di Forray.



La continuità tecnica è un qualcosa che rende diversa Trento dalla media delle squadre italiane, abituate a cambiare frequentemente roster, ed è una diversità riconosciuta dallo stesso Buscaglia: «Ci stiamo confrontando con questo aspetto e ci rendiamo conto di essere diversi» dice. «È anche vero che i vecchi giocatori, tornando, sono nuovi giocatori e ritrovano un vecchio club che è il loro nuovo club. Trovano persone differenti e insieme ci siamo trovati differenti».

«Anche io sono andato via» riferendosi al periodo 2007-2010, due stagioni tra Mestre e Perugia. «E sono ritornato ben volentieri. Il mettere un giocatore nelle condizioni di esprimersi e sentirsi bene, l’aver visto sulla sua pelle un miglioramento, è un mix tra il lavoro del club e di tutti noi. È bello, stimolante, e fa piacere, anche perché manteniamo sempre i contatti: come a Pascolo e Marble quest’estate, è già successo in passato a Sutton e Hogue di tornare».

«Sì, ci si conosce e si tagliano dei momenti di ambientamento, ma in realtà sono scelte ponderate alla base di piccoli percorsi che i giocatori in primis vogliono fare. Chiaramente qualcuno può anche voler ripartire da un posto in cui è stato bene, e questo è merito e stimolo del club che ha creato delle condizioni lavorative che mettono a proprio agio i giocatori. Giornalisticamente sono ritorni, ma per noi non sono sentiti come tali, al di là di riagganciare certi momenti».

Riferendosi all’ultima stagione, una sorta di annata della consacrazione per una Trento capace di ritornare in finale Scudetto nonostante il doppio impegno con l’Eurocup, Buscaglia afferma come «l’anno scorso noi abbiamo fatto un piccolo passo di conferma. Un giocatore cambia quando il suo percorso è finito; l’anno scorso non si sarebbero mai create le condizioni per cui uno come Shields andasse via, perché è pronto ora per giocare in Eurolega».

È tempo però di pensare alla nuova stagione, adesso. «Quest’anno in noi c’è un profondo cambiamento, come il ritorno a certi giocatori italiani, perché siamo riusciti a lavorare su un cambiamento nella tipologia di squadra, che si è europeizzata nell’anno in cui tornano indietro in due e in generale in Italia ci sono meno giocatori europei».

«Quest’anno sarò una bella sfida. Ringrazio il club che cambiando faccia, e un certo tipo di linea tecnica, ha continuato a darmi fiducia, e sono contento di avere l’occasione di poterlo dire. La sfida più importante, oltre a mettere insieme tutti i nuovi pezzi, sarà mantenere quella identità atipica della scorsa stagione, che magari non potremo sempre legare all’atletismo o alla fisicità, ma quantomeno all’applicazione difensiva».

«Abbiamo giocatori diversi che ci permettono di esplorare nuove posizioni del campo, come ad esempio il post basso. Far passare la palla da lì non solo come appoggio, ma anche per costruire o concludere un’azione. Siamo stati una squadra che non ha mai abusato del pick and roll, caratteristica importante della pallacanestro odierna: possiamo fare qualcosa di più anche lì per i giocatori che abbiamo oggi».

Europa e rivincite
Nel 2018-19 di Maurizio Buscaglia e dell’Aquila Trento un ruolo importante lo giocherà anche l’Eurocup, che la Dolomiti Energia sta disputando per la terza volta nella sua storia - la seconda consecutiva - partendo da una base d’esperienza molto diversa nelle due occasioni precedenti. Proprio il debutto europeo stagionale è coinciso con la presenza numero 500 di Buscaglia sulla panchina trentina.



Nel primo anno Trento stupì tutti, raggiungendo la semifinale - un traguardo sin lì raggiunto solo da Treviso cinque anni prima e bissato da Reggio Emilia nell’ultima stagione - eliminando sulla strada anche quell’Olimpia Milano campione d’Italia a fine stagione: una cavalcata con protagonista Davide Pascolo, votato nel secondo quintetto ideale della competizione, e lo stesso Buscaglia, nominato miglior coach.

Il secondo anno, invece, è stato propedeutico per lo sviluppo di una squadra nuova, con una bella striscia di vittorie consecutive nella prima fase ma una eliminazione alla Top 16 contro una squadra imbattuta sino alla finale -i l Lokomotiv Kuban - e una, il Buducnost, che nella stagione 2018-19 disputerà l’Eurolega. Può essere questo terzo anno, per Trento, la sintesi del meglio delle prime due esperienze?

«Può esserlo, e dobbiamo cercare di far diventare questa esperienza figlia di due aspetti. In primis sull’energia e intensità che poi ci siamo portati dietro in campionato, cercando di bilanciare Serie A ed Eurocup, avendo la consapevolezza di poter mettere insieme una squadra più lunga e esperta in un livello che è aumentato. L’Eurocup è una figata, e abbiamo la fortuna di avere nel nostro girone la possibilità di competere con squadre di una “Eurolega 2.0.”: ogni anno abbiamo degli esordienti in coppa che il mercoledì hanno la bava alla bocca, e la sfida sarà quella di alzare contemporaneamente i due livelli».

Se in Europa l’obiettivo è chiaro, in Italia il sogno è quello di andare oltre. “Oltre” che, dopo due finali Scudetto consecutive, può voler dire soltanto “vincere”. Vittoria che però, per Buscaglia, non è una ossessione: «Ci sono dei passi che tu fai quando la serenità e l’equilibrio non le perdi, pur alzando in maniera incredibile direzione, energia e professionalità» afferma. «Riesci a bilanciare le cose. Gli aspetti familiari di questa serenità non sono all’inizio, ma alla fine, e questo aiuta a voltare pagina. C’è voglia, c’è desiderio».

«Abbiamo fatto una stagione in cui abbiamo cominciato e proseguito dicendo “Come facciamo a tornarci un’altra volta?”, e poi è successo. Diciamoci: “Scusate, ma perché non si può rifare?”. È difficilissimo, lo so, ma perché non si può? Chi l’ha detto? È ovvio che più passa il tempo e più aumenta la difficoltà, anche perché sin qui abbiamo dato tutto anche nel desiderio di superare i limiti. Ma puoi sempre fare meglio. Abbiamo il desiderio, avendo vinto in tutte le categorie, della vittoria, della cosa che si materializza: ma allo stesso tempo ci piace molto essere competitivi per andare a materializzare».

La Trento di Buscaglia si è presentata al via della nuova stagione come una squadra tra le principali indiziate per la vittoria del titolo, e questa previsione non è del tutto scemata nonostante un inizio negativo di stagione che ha visto l’Aquila perdere le prime tre partite di campionato. Parte di questa alta considerazione di cui godono i bianconeri c’è anche la costante capacità di miglioramento dimostrata dall’Aquila stagione dopo stagione. Un miglioramento passato anche attraverso l’eliminazione di quella Venezia che, un anno prima, aveva interrotto il sogno tricolore della squadra di Buscaglia.

«L’anno scorso abbiamo cercato di ripartire dall’esperienza dell’anno prima da rimettere su certi aspetti della serie. Siamo riusciti a fare tesoro di tutto ciò per lavorare al meglio: quando conosci il tuo avversario, anche se il suo livello è più alto, cerchi di identificarne i momenti di forza, quando potrebbe andare in crisi - se ci va - e che tipo di reazione può avere la squadra anche in base alla reazione dello stesso allenatore».

«Ci si studia un po’ anche perché ci si conosce e si sa quanto un allenatore riesce ad incidere sulla sua squadra, come De Raffaele a Venezia fa essendo molto bravo. Farlo in anni consecutivi ti dà l’idea di avere costruito, e l’anno dopo vai a dire “Abbiamo costruito la casetta: su quella roba lì torniamoci, mentre su quell’altra andiamo con le dovute differenze”. Così abbiamo riavvolto il nastro per due volte nella serie, prima nelle due gare lì poi in quelle in casa. Senza nasconderci sul fatto che una serie al meglio delle cinque gare o al meglio delle sette per una squadra come la nostra può cambiare molto».

Il futuro è oggi
Nelle fasi iniziali della stagione numero 21 in carriera, e 13 sulla panchina di Trento, è facile chiedersi come un allenatore possa continuare a trovare motivazioni costanti per rilanciare continuamente un progetto tecnico legato a una nuova realtà: «In primis mi piace molto essere qui» dice Buscaglia. «E poi negli anni si cambia molto, si cerca di anticipare continuamente ciò che sarà».

«Quest’anno, ad esempio, abbiamo cambiato pelle bene, partendo da un trascorso di finali e credibilità europeo, in un contesto di un campionato che si sta aprendo in un certo modo e sta crescendo di livello: noi abbiamo avuto un’idea e l’abbiamo portata avanti, e questo per me è uno stimolo continuo».

«Mi piace moltissimo» continua Buscaglia, «pensare che da qui sia passato un giocatore per andare a fare l’alta Eurolega, che vogliamo fare anche noi perché quella è l’ambizione. O pensare che un giocatore possa passare da qui e andare in NBA, perché abbiamo anche quella ambizione, e che mentre passano da qui il loro pensiero possa essere quello di andare in Eurolega con noi».


Eurolega già sfiorata due anni e mezzo fa, da Trento.



«L’obiettivo è anche quello di avere giocatori che vengono perché a loro hai detto che a casa tua, nella loro stagione, espanderanno il loro ruolo e il loro bagaglio tecnico. Non sempre questo succede al meglio, ma giorno dopo giorno intravedi la strada e il risultato prima o poi arriva. I risultati, comunque, sono necessari e aiutano: devi trovare un giusto equilibrio, per evitare di sfociare da una parte dove si gioca solo per vincere e da un’altra parte per non far perdere al giocatore il motivo per cui è venuto. Vorrebbe dire mentirgli, e credo sia la cosa peggiore che gli si possa fare».

L’evoluzione, però, non è soltanto quella del roster di Trento, ma anche quella del bagaglio tecnico del Buscaglia allenatore, certamente aumentato in questi due decenni. Come la stessa pallacanestro è cambiata moltissimo lungo questi 20 anni: quale è quindi l’aspetto del gioco moderno che più lo intriga ed è maggiormente presente nella Trento odierna?

«Noi cerchiamo sempre, e il club lo fa magnificamente, di inserire giocatori adatti alla nostra filosofia. Non è sempre possibile per regole di mercato: tante volte abbiamo preso decisioni in favore del “miglior giocatore” che poteva adattarsi. Mi piace, molto, quando nel gioco moderno è molto più presente il coinvolgimento continuo di tutti i giocatori, con una sorta di bidimensionalità o anche tridimensionalità di un ruolo, che nel lavoro di tutti i giorni si traduce nella capacità di fare più cose allenando, allo stesso tempo, quelle che si sanno fare bene».

«Nessuno, ad esempio, pretende che un tiratore diventi un penetratore, ma può migliorare a mettere palla per terra continuando a lavorare sul suo ruolo. Aggiunge una piccola cosa al suo bagaglio: anche così una combo guard diventa playmaker, un pivot diventa ala. A me» prosegue Buscaglia «questo aspetto in cui la taglia dei giocatori o la loro capacità ti permettono di avere più atipicità piace molto, e questo si determina nelle piccole cose come il portare palla con più giocatori, l’andare in post basso con più giocatori, aprire il campo con più giocatori. Oppure riuscire a leggere certi vantaggi e avere in difesa un atteggiamento più aggressivo permesso da giocatori più rapidi: questo tipo di coinvolgimento di tutti i giocatori in più situazioni è molto interessante».

«Mi piace giocare con un play o un pivot classico?» conclude Buscaglia alla fine della nostra chiacchierata. «Certo, ma bisogna valutare ogni situazione. Credo che lavorando pian piano abbiamo fatto dei piccoli passetti che ci hanno dato più modernità, perché la pallacanestro oggi è più rapida, atletica, veloce, o più saltata e con più corsa di quella che era un po’ di tempo fa. Ho l’impressione che abbiamo seguito un binario, cercando di essere sempre pronti a quello che scorrerà davanti».

Un inizio complicato di stagione non può far passare in secondo piano il lavoro pluriennale di Buscaglia, e la rivoluzione tecnica operata in estate necessita di tempo per vederne i risultati. Il calendario di Trento propone, nelle prossime settimane, tre squadre di prim’ordine come Venezia, Avellino e Brescia: molto della stagione di Treno passerà anche dalla capacità di reazione dell’Aquila e della possibilità di raddrizzare la rotta, provando a seguire gli obiettivi e le aspirazioni tracciati in questa chiacchierata da Buscaglia.

Quella che è indubbia da affermare, a prescindere dai risultati dell’ultimo mese, è l’abilità e la capacità tecnica dell’allenatore, impostosi negli ultimi anni come uno dei più interessanti della pallacanestro italiana: il rilancio del nostro basket può (e deve) infatti passare anche dall’affermazione e dalla proposta di stili diversi da parte degli allenatori di riferimento, in grado di ispirare le nuove leve e generazioni di allenatori.

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