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La lista della fine del mondo: pt.3
20 dic 2013
È la fine del mondo, è la fine dell'anno, ed è ora di classificarne ogni aspetto. In questa terza e ultima parte della nostra maxi-lista apocalittico-annuale: classifiche scomode, formazioni ideali per il calciotto, mixtape, citazioni cinematografiche per tatuaggi, migliori club d'europa, storie da NFL, un anno speso in entertainment. Con contributi di: Contessa, Manusia, Small, Eterno, Niepsuj, Barzaghi e Alemanni.
(articolo)
47 min
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Un'altra fine del mondo si sta avvicinando: quella del 2013. Per prepararsi alla solita eventuale apocalisse, l'Ultimo Uomo ha chiesto ad alcuni collaboratori di meditare su tutte le cose mortali che si lasceranno alle spalle, e loro si sono confessati classificando il meglio e il peggio del 2013. In questa terza e ultima parte: Niccolò Contessa, la mente e la voce de I Cani, ha svelato le classifiche del 2013 che nessuno vi farà leggere; il fotografo Piotr Niepsuj ha scelto le migliori mixtape dell'anno; la giornalista Valentina Barzaghi ha stilato la classifica delle 5 top 5 del cinema: dai peggiori trailer alle migliori citazioni per tatuaggi; Cesare Alemanni, caporedattore di Studio e direttore del Berlin Quarterly, ha raccolto le più belle storie della NFL; il vice-direttore di UU Daniele Manusia ha convocato i suoi 8 giocatori dell'anno per una partita a calciotto; il giornalista Simone Eterno ha scelto le migliori squadre di calcio d'Europa e il direttore de l'Ultimo Uomo, Tim Small, ha ripercorso il suo intero anno di entertainment. Buona lettura.

Ecco la prima e la seconda parte della lista della fine del mondo.

Le 7 classifiche del 2013 che nessuno vi farà leggere

di Niccolò Contessa

7. I dodici mesi più interessanti del 2013

12. Aprile

11. Febbraio

10. Marzo

9. Gennaio

8. Maggio

7. Giugno

6. Dicembre

5. Luglio

4. Agosto

3. Novembre

2. Ottobre

1. Settembre

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6. Le sette morti più social dell'anno

7. Giulio Andreotti

6. Paul Walker

5. Franco Califano

4. Nelson Mandela

3. Tonino Accolla

2. Lou Reed

1. Zuzzurro

5. Le cinque cose da comprare dopo essere diventati ricchi grazie ai BitCoin

5. Un omicidio

4. L'opera omnia di Philip K. Dick

3. Droga

2. Animali in via di estinzione

1. Il cofanetto in vinile di 69 Love Songs

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4. I due Papi più cliccati del 2013

2. Benedetto XVI

1. Francesco I

3. I quattro linciaggi nei confronti di Miley Cyrus più riusciti

4. Quando è uscito il primo video

3. Quando è uscito il disco

2. Quando si è esibita ai VMA

1. Quando è uscito il secondo video

2. Le sei puntate più belle di X Factor 7

6. La quinta

5. La prima

4. La terza

3. La seconda

2. La sesta

1. La quarta

1. I cinque anni che attendiamo con più ansia

5. Il 2021

4. Il 2019

3. Il 2016

2. Il 2014

1. Il 2018

Le migliori mixtape del 2013

di Piotr Niepsuj (@piotrniepsuj)

Prima di mettere insieme la lista di miglior mixtape del 2013 bisogna fare le premesse. In anzitutto le liste con "il meglio dell'anno" non hanno praticamente più senso. Ormai nessuno nel mondo è in grado di raccogliere tutto il "contenuto" nell’oceano di internet in nessuno, anche più stretto, campo di interesse. Per questo motivo la mia lista (come tutte le altre) non può' essere completa o anzi, sarà limitata ad una nicchia. Per esempio solo ieri—il 10 di dicembre del 2013, solo su datpiff.com (la "homepage" per le uscite non-ufficiali nel mondo rap) sono droppati, se ho contato bene, 252 mixtapes. È ovvio che nell'anno mi è sfuggita un sacco di roba importante. Nel 2013 la musica è diventata ufficialmente gratis. Chi ha ancora bisogno delle case discografiche? E poi per cosa? Forse solo per la copertina più accettabile (queste mixtape hanno cover davvero brutte) o per la qualità del suono più alta, ma chissenefrega. Tanto dagli auricolari dell’iPhone non si sente la differenza. Non saprei neanche nominare nessun disco ufficiale uscito nel 2013, forse tranne quelli di Drake e di Kanye, che fra l’altro non hanno fatto mixtape. Curioso.

Così la lista raccoglie solo uscite free-download, scaricate principalmente da datpiff.com, livemixtapes.com o dai soundcloud/bandcamp/tumblr degli artisti stessi ed è molto soggettiva. So che manca qualche titolo che "dovrebbe" esserci ma sinceramente dopo l’overdose di rap tabozzo nel 2012 sono stanco di sentire sempre la stessa cosa.

L'ordine, tranne la posizione numero uno, è puramente casuale.

Cassie — RockaByeBaby

https://www.datpiff.com/Cassie-RockaByeBaby-mixtape.465275.html

RockaByeBaby è un vero game changer. Grazie a Cassie (e Jeremih uscito nel 2012) il mondo ascolta di nuovo r'n'b. È anche probabilmente l'unico mixtape di cui non skippo neanche un pezzo.

CJ Fly — The Way Eye See It

https://www.audiomack.com/album/2dbz/the-way-eye-see-it

CJ Fly fa parte di Pro Era—la crew che rappresenta il "true school rap" o meglio fa la musica che sembra essere uscita negli anni novanta. La verità è che negli anni novanta CJ era appena nato.

Nel 2013 ha fatto un mixtape che tutti i sentimentaloni come me ascoltano con piacere, che non è così spezzato come questo della sua crew.

Little Simz — Blank Canvas

https://lifeandtimes.com/lifetimes-premiere-lil-simz-blank-canvas-mixtape

Simz ha un flow che davvero uccide, è giovane, è bella (per non dire figa) e questo mixtape è stato presentato da Jay-Z sul suo Life+Time blog. Ah, è di Londra il che le dà qualche punto in più. Ha tutte le carte in regola.

Young Scrap — Music We Can F*ck To 5

https://www.livemixtapes.com/mixtapes/24486/young-scrap-music-we-can-fck-to-5.html

Uno di quei mixtape random, che è uscito solo in 128kbps e il cui titolo spiega tutto. Slow and nasty e probabilmente nessuno se lo ricorderà fra poco. Non importa.

Last Night In Paris — Roses

https://soundcloud.com/lastnightinparis/sets/roses

LNIP sono un collettivo di Londra (che nome è?), sono molto fashion e si vestono esclusivamente in nero. Potrebbe essere irrilevante, ma invece spiega molto del loro suono—scuro, crudo e pop allo stesso momento. Se fossero americani sicuramente avrebbero già al meno un paio di featuring importanti, ma così devono aspettare. Non tanto, spero.

Qu'ality x MikeXtra — SILVER EP

https://soundcloud.com/qualityofficial/sets/silver-ep-quality-x-mikextra/

«Do your research on me, I ain't in the new school» dice Qu'ality su uno dei pezzi ma sinceramente non l’ho manco googlato. Stavo girando Milano di notte in macchina ascoltando questo disco. Chill-out hip-hop nel vecchio significato della parola.

Metro Zu — Z UNIT

https://crackedatoms.com/28057/metro-zu-zunit-mixtape/

Z UNIT è un di quei mixtape che quando qualcuno mi chiede che musica ascolto non so rispondere. Sicuramente ha qualcosa a che fare con l’hip-hop. Internet dice "Miami art-rap". Una pazzia.

Kelela — Cut 4 Me

https://fadetomind.net/KELELA

Non ho ancora capito se questo sarà r'n'b del 2015 o se è troppo difficile e spezzato per arrivare alle masse, ma indipendente dal futuro questo è l'unico suono che mi eccita per davvero. Va bene, con le produzioni di Nguzunguzu, Jam City, Bok Bok, Girl Unit, Kingdom e così via era facile da prevedere.

Chance the Rapper — Acid Rap

https://www.datpiff.com/Chance-The-Rapper-Acid-Rap-mixtape.483826.html

Acid Rain è stato scaricato da Datpiff più di 350.000 volte ed è stato nominato per BET Awards "Best Mixtape del 2013" (vinto poi da Big Sean). Chance è finito in cover di Dazed senza far uscire neanche un disco ufficiale e recentemente ha chiuso un duo con Justin Bieber. Il suo futuro mi sembra chiaro.

MeLo-X — God: HiFi

https://soundcloud.com/meloxtra/sets/melo-x-god-hifi

Secondo della serie di tre free EP—la strada di MeLo-X da un artista underground (LoFi) al riconoscimento mondiale (WiFi, in uscita nel 2014). Anche se e’ bravissimo la vedo dura, HiFi è troppo poco pop ma forse per questo non stanca.

Bonus: Tink — Winter's Diary 2

https://soundcloud.com/tink_g

Winter’s Diarys 2 non è ancora uscito ma ho una strana sensazione che dovra trovarsi fra i migliori dell'anno. Le stanno aiutando troppe persone che stimo per fare uno flop. Vedremo il 24-12-2013 e speriamo che non esca solo in 128kbps come la prima parte.

Per vari motivi mancano le mixtape di: Amber London, Trinidad James, Staley, Kilo Kish, Flatbush Zombies, YG (prod. DJ Mustard), TeeFill, Le$, Krak Music, Big Sean, Tinashe, 18+, Meek Milk, Pusha T, The Underachievers, Migos e probabilmente tanti altri.

Le 5 top 5 del cinema

di Valentina Barzaghi

Visto che di classifiche dei migliori film dell'anno ce ne sono già a iosa, qui mi sono divertita stilando alcune Top 5 cinematografiche un po' più particolari. Le classifiche, tranne una, sono tutte basate sui film passati nelle sale italiane.

1. Top 5 "I peggiori trailer" ovvero "W il cinema italiano!"

Italy Amore Mio di Ettore Pasculli

Il Flauto di Lucciano Capponi

Melina con Rabbia e con Sapere di Demetrio Casile

Midway – Tra la vita e la morte di John Real

Non ci indurre in tentazione di N. Santi Amantini

2. Top 5 poster di film che sono passati anche dalle nostre parti

I Sogni Segreti di Walter Mitty di Ben Stiller

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Spring Breakers di Harmony Korine

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Nebraska di Alexander Payne

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Stoker di Park Chan-wook

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Facciamola Finita di Seth Rogen e Evan Goldberg

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3. Top 5 poster di film che non vedrete dalle nostre parti

Nymphomaniac di Lars Von Trier

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Dune di Jodorowsky

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A Glimpse Inside The Mind Charles of Swan III di Roman Coppola

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Ain't Them Bodies Saints di David Lowery

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Frankenstein created bikers di James Bickert

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4. Top 5 citazioni per tatuaggi zarri

da Fast and Furious 6 di Justin Lin

Domic Toretto: «Se non altro quando me ne andrò saprò perché».

da Pain & Gain – Muscoli e Denaro di Michael Bay

Daniel Lugo: «Mi chiamo XXX e credo nel fitness».

da Jimmy Bobo – Bullet To the Head di Walter Hill

Jimmy Bobo: «Vogliamo iniziare o vuoi ammazzarmi di noia?»

da Don Jon di Joseph Gordon-Levitt

Jon: «Ci sono poche cose nella vita che mi interessano veramente: il mio corpo, la mia tana, il mio bolide, la mia famiglia, la mia chiesa, i miei amici, le mie amiche ed il mio porno»

da Pacific Rim di Guillermo del Toro

Stacker Pentecost: «Primo, non toccarmi più. Secondo, non toccarmi mai più.»

5. Top 5 hot hot hot g(i)rrrls

Scarlett Johansson in Don Jon di Joseph Gordon-Levitt

Lindsay Lohan in The Canyons di Paul Schrader

Elizabeth Olsen in Oldboy di Spike Lee

Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos in La Vita di Adele di Abdel Kechiche

Amber Heard, Sofia Vergara, Michelle Rodriguez in Machete Kills di Robert Rodríguez

Le 4 migliori squadre europee del 2013

di Simone Eterno (@Simon_Forever)

Ho scelto le quattro migliori squadre europee cercando di valutarle su criteri ben precisi: la miglior squadra se per squadra allarghiamo l’accezione a “club”; la miglior squadra, se per squadra manteniamo solo l’accezione di insieme di giocatori; la miglior squadra, se per squadra allarghiamo l’accezione a “lavoro del tecnico”; la miglior squadra, se per squadra allarghiamo l’accezione a “rendere al meglio con ciò che si ha”. Lo so, tutte queste componenti sono parte imprescindibile di una storia di successo, ma in questi 4 differenti casi raggiungono a loro modo l’esaltazione.

1. Borussia Dortmund

Può non piacere, ma lo sport come lo intendevano i nostri nonni è finito. Morto. Sepolto. L’affamata macchina del business globale ha fiutato l’affare dietro la spinta emozionale che regola una delle più grandi passioni del pianeta Terra e ci ha lasciato in dote rassegne economiche come il Mondiale per Club o la Champions League. “Poteva andarci peggio”, direte voi. Certo, può sempre andar peggio. Ad esempio sarebbe potuto non esistere più il Borussia Dortmund. Il BVB entra di prepotenza tra le squadre del 2013, e questo al di là della meravigliosa rivoluzione kloppiana che ha avuto il suo apice massimo nel raggiungimento di una strameritata finale di Champions League. Il Borussia Dortmund entra in questa lista non solo per il calcio giocato, ma perché il 2013 rimarrà per sempre il culmine di una visionaria rivoluzione di successo.

Visionaria. Rivoluzione. Successo. Partirò dalle parole di Hans-Joachim Watzke, direttore generale del club, alla vigilia della finale di Wembley. «Paura del Bayern Monaco? Noi non abbiamo paura del Bayern Monaco. Dove siete seduti voi», riferito ai giornalisti: «nel 2006 c’erano i creditori». Il cammino che ha portato il club giallonero dai 120 milioni di debito e una bancarotta evitata nel 2005 alla finale di Champions League è durato solo 8 anni. Un passaggio relativamente rapido in cui il Borussia è passato da una sopravvivenza complessa all’arco di Wembley, dal combattere per non retrocedere alla trasferta del Bernabeu; il tutto caratterizzato sempre da una costante comune: l’amore e il supporto incondizionato della propria gente. Il cambio di filosofia è stato naturalmente la chiave. «Non ci indebiteremo mai più per raggiungere un risultato sportivo», continuava Warzke: «Spenderemo solo quello che avremo guadagnato». Bingo. Ecco la creazione di uno dei settori giovanili più talentuosi di Germania. L’arrivo del mago Klopp è poi l’ultimo – fondamentale – ingrediente per una ricetta di successo che nel 2013 è stata definitivamente servita agli occhi del mondo. Il Borussia Dortmund non è una squadra. Il Borussia Dortmund è un ecosistema perfetto.

La coreografia contro il Malaga l’ha vista tutto il mondo, ma i tifosi del BVB riempiono anche lo stadio dell’ Holzstein Kiel (terza divisione) in Coppa di Germania.

2. Bayern Monaco

Se il Borussia Dortmund è un ecosistema perfetto, che dire del Bayern Monaco? Da sempre club più blasonato di Germania, il Bayern è la squadra di riferimento della regione più ricca d’Europa: la Baviera. E questo di per sé, viste le premesse fatte in precedenza, non può non significare nulla. Il Bayern Monaco è una squadra sfacciatamente, spudoratamente ricca. Ma a differenza degli spendaccioni spagnoli del Real Madrid, Hoeneß, Rummenigge e Sammer, pur non essendo economisti, gestiscono il patrimonio con pragmatismo keynesiano. Sotto la sapiente guida di Heynckes, guidati da una sete di vendetta figlia di un doloroso suicidio e condotti da una generazione di giovani fenomeni, quel pragmatismo è arrivato fino sul campo portando il Bayern Monaco a raggiungere un’impresa a suo modo storica: spazzare via il mito del Barcellona. I bavaresi infatti non hanno vinto. I bavaresi hanno stravinto; hanno umiliato gli avversari (Barça in primis, aggregate 7-0); e l’hanno fatto sulla base di un 4-2-3-1 talmente perfetto da non sembrare vero. Non starò a soffermarmi nei dettagli. Mi limiterò a elencare parte della rosa: il miglior portiere al mondo, Manuel Neuer; il miglior terzino sinistro al mondo, David Alaba; uno dei più forti centrocampisti al mondo, Bastian Schweinsteiger; le due migliori ali al mondo, Arjen Robben e Frank Ribery; un centravanti con un valore direttamente proporzionale al suo grado di sottovalutazione da parte dell’opinione pubblica, Mario Mandžukić; e poi Toni Kroos e Tomas Müller.

Eppure il tris della passata stagione sembra quasi nulla di fronte alle nuove, recenti imprese del Bayern. L’arrivo di Guardiola ha completamente sradicato il meraviglioso pragmatismo di Heynckes (basta dare un'occhiata ai target="_blank">151 gol della stagione 2012-2013 per capire la filosofia di fondo) per importare ciò che 3 mesi prima i ragazzi del Bayern avevano ridicolizzato: il tiqui-taca. Un cambio radicale che richiederebbe un tempo di adattamento ragionevole (ritraducibile nel gergo pallonaro nella più classica “stagione di transizione”). Un tempo necessario anche – e soprattutto - a livello mentale. A dirlo è la natura umana. Come convincere del resto un gruppo che ha vinto tutto che “quello” non era il modo adatto per giocare a calcio e continuare ad affermarsi?

Come non si sa, ma il Bayern sembra esserci già riuscito. Dopo aver perso la Supercoppa di Germania con il BVB, i bavaresi si sono adattati con la rapidità di una memoria riscrivibile a una filosofia che li sta riportando a infrangere ogni record. A vincere tutto. Di nuovo. In un'altra maniera.

Il Bayern di Guardiola. Anche qui basta un'occhiata per capire come sono cambiate le cose.

3. Atletico Madrid

Nella Repubblica del Pallone dove si fagocitano giudizi con la velocità di un gruppo di ragazzini ai tavoli di un McDonald’s in preda a fame chimica ed esplosioni ormonali, dove l’opinionismo è quasi sempre una becera messa in scena di una classe di arrivati che fonda i propri giudizi su preconcetti obsoleti e frasi fatte, il giudizio critico super partes è molto spesso una chimera. Non mi sorprende allora il facile qualunquismo massificato dell’etere nostrano che ha accolto come un sollievo il sorteggio del Milan contro l’Atletico Madrid. Peccato che dall’altra parte delle Alpi, dopo la Provenza, oltrepassati i Pirenei e attraversata la Catalunya fino ad arrivare in Castiglia abbiano pensato la stessa cosa. E peccato per il Milan (e per il calcio italiano) che questa volta, probabilmente, abbiano ragione loro. Non starò a introdurmi nei dettami tattici del perché l’Atletico Madrid sia stata una delle migliori squadre del 2013 – anche perché da queste pagine l’ha già fatto in maniera straordinariamente eccellente Valentino Tola – ma mi limiterò a citare il “miracolo” di un allenatore che per quanto fatto con la rosa a disposizione ricalca per molti versi un lavoro ben più conosciuto in Italia: quello di Antonio Conte e la sua Juventus. Simeone, che come Conte in campo non lesinava anima e cuore, ha trasformato i componenti di un club che aveva quasi toccato il fondo in una Squadra in grado di tener testa allo strapotere mediatico, economico, culturale di Real Madrid e Barcellona. E se di per sé questo non vi paresse sufficiente metteteci una Copa del Rey vinta in rimonta al Santiago Bernabeu contro Josè Mourinho. Ora va meglio?

4. Basilea

In Europa League hanno battuto Dinipro, Zenit e Tottenham, eguagliando la storica semifinale del Grasshopper nella Coppa UEFA 1978. Poi hanno vinto la Super League per il quarto anno di fila, il quinto negli ultimi sei anni. A oggi sono di nuovo primi in campionato e sono riusciti nell’impresa di battere per 2 volte il Chelsea di Mourinho nella fase a gironi della UEFA Champions League. E poi sono la squadra del cuore di Roger Federer. Tutto questo – e molto altro – è il Basilea di Murat Yakin, e per raccontarvelo nei dettagli ci vorrebbe probabilmente un approfondimento a se stante. Quello, oppure la frase concentrato con cui l’allenatore ha voluto presentarsi alle telecamere del magazine ufficiale prodotto dalla UEFA: “We try to play attractive football, but we also try to be successful”.

A metà strada tra il pressing ossessivo proprio del BVB e il possesso palla di catalana memoria, si colloca – con tutti i relativi limiti del caso – il calcio moderno e divertente di Murat Yakin. Già, proprio il fratello di quell’Hakan che con il suo talento fece conoscere per la prima volta agli occhi del mondo il Basilea nella strepitosa campagna di Champions 2002-2003, quando gli svizzeri da autentica cenerentola riuscirono a qualificarsi al secondo girone dando filo da torcere anche a Juventus, Manchester United e Deportivo La Coruña. Murat non ha mai avuto i piedi del fratello – e infatti era un centrale ruvido ed efficace – ma più di Hakan rappresentava il leader carismatico di quella squadra. Il temperamento che per 6 anni ha messo a servizio dei RotBlau e gli ha permesso si siglare anche gol come questo, si è trasferito nel 2012 dal campo alla panchina, quando chiamato d’urgenza a sostituire Vogel ha dovuto prendere in mano un Basilea in un momento davvero particolare: da una parte c’era infatti l’euforia per un grande cammino europeo in Champions culminato con l’eliminazione del Man U nel girone e dall’1-0 al Bayern nell’andata degli ottavi, e dall'altra la perdita di elementi – Shaqiri su tutti – di indiscusso talento.

Yakin ha presto introdotto la sua filosofia e nel giro di un anno ha portato gli svizzeri a uscire da sfide di Europa League contro Tottenham e Chelsea con più possesso palla degli avversari. Allo stesso tempo, però, è stato anche in grado di far applicare un pressing alto alla sua mediana a tre (generalmente Frei, Elney, Die) e di replicare i simil-movimenti del trio Reus-Lewandowski-Błaszczykowski anche ai meno dotati (Salah escluso) Stoker-Streller-Salah. Un metodo di lavoro che ha portato un gruppo di buoni giocatori a rendere sui campi d’Europa oltre le aspettative, esaltando le poche individualità – Salah e il portiere Sommer – e mettendole al servizio del collettivo.

Dopo aver affrontato di nuovo il Chelsea nel girone di Champions – e averlo messo in scacco 2 volte su 2 – il Basilea è sceso in Europa League. Ma gli svizzeri hanno da recriminare sulla retrocessione non solo per le due sciocchezze combinate contro la Steaua Bucarest. In un periodo in cui il complottismo è alimentato da istituzioni che cambiano le regole in corsa e non brillano certo per trasparenza, la lancetta del rilevatore di “stranezze” schizza oltre i limiti consentiti nella sfida decisiva del gruppo E. Di mezzo ci passa la Gazprom. Con una storia alle spalle di questo tipo, supportata in Europa da un lobbista dal “discreto” peso come l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder, e main sponsor della competizione, il gigante del gas russo è anche padrone dello Zenit San Pietroburgo nonché sponsor principale dello Schalke 04. Lasciando ai maligni le illazioni su uno Zenit sorteggiato nel girone più scarso (Atletico escluso, le altre due erano Porto – questo Porto! – e Austria Vienna) e passato con una vittoria e 3 pareggi, l’ultima sfida del gruppo E tra Schalke e Basilea ha lasciato più di qualche perplessità anche a chi complottista non lo è affatto. Se al St.Jakob Park infatti a far parlare erano stati gli attivisti di Greenpace con un attacco proprio alla Gazprom, nell’ultima sfida nella casa dello Schalke a tagliare fuori dai giochi il Basilea è stata la serata di Tagliavento e i suoi assistenti. Prima l’espulsione di Ivanov sulla 0-0 (qualcosa in più di “fiscale” ) e poi il gol che ha trasformato Yakin nel MEME più in voga sulla più famosa pagina di satira calcistica (in italiano) di Facebook.

Il Basilea è fuori dall’Europa più prestigiosa ma questo in fondo conta relativamente: il suo cammino, come quello di Bayern, Borussia e Atletico, è ciò che conserveremo di questo 2013. Con buona pace di tutti. Lobbisti, businessman, sponsor e istituzioni incluse.

Il top 8 del 2013

di Daniele Manusia (@DManusia)

Di solito nei top 11 la squadra è schierata con un classico 4-4-2 in cui i ruoli sono intesi in modo generico, senza badare alle caratteristiche dei singoli calciatori che nella realtà sono sempre più “specifiche”, o al modo in cui questi si combinano tra di loro. In sostanza si classificano i migliori “in assoluto”. Da una parte cioè dovrei sforzarmi di essere oggettivo col rischio di essere banale (e i due centrali di difesa migliori al mondo sono – rulli di tamburo – Thiago Silva e Dante), dall'altra però dovrei fare delle scelte obbligate che non capirei fino in fondo (devo scegliere uno tra Cristiano, Hazard e Ribéry perché nella realtà giocano tutti a sinistra o posso inventarmi qualcosa per farli giocare insieme? Posso giocare col falso nove?).

Per questo, dato che a Roma giochiamo 8 contro 8 (e anche vecchie glorie come Giannini, Chierico o Bruno Giordano, nei tornei tra circoli devono sottomettersi a questa forma) preferisco scegliere un'ipotetica squadra di calciotto ideale dell'anno. Anche il calciotto ha le sue sfumature ma il modulo base per giocare a calciotto, quello che copre meglio il campo, è il 3-3-1. Mi rendo conto che anche così non sono libero di fare proprio quello che voglio ma almeno mi sembra abbia più senso scegliere un portiere (P), un centrale di difesa (DC), due terzini (TD/TS), tre centrocampisti diversi tra loro (CC/CD/CS) e una vera punta (A). Credetemi, so quello che faccio, gioco un torneo ogni settimana con i miei amici e il calciotto mi dà molto da pensare. Sulla superiorità del calciotto rispetto ad altre forme dovremmo metterci d'accordo e giocarci in tutta Italia.

1. Guillermo “Memo” Ochoa (P - Ajaccio)

Ochoa non copre la porta come Neuer o Cech, non gioca con i piedi come Diego López, ma è uno dei migliori in assoluto nel fondamentale di base più importante anche nei portieri più evoluti: parare i tiri, mandarli il più lontano possibile dalla porta con qualsiasi parte del corpo. «In Sud-America i portieri preferiscono respingere la palla, piuttosto che bloccarla.» In questo senso il fatto che giochi in una squadra come l'Ajaccio che ne subisce parecchi diventa una cosa positiva (e anche a calciotto si tira molto più a calcio). La stagione 2013-2014 è cominciata per Ochoa con una prestazione incredibile contro il PSG. L'Ajaccio ha pareggiato 1-1 avendo solo il 33% del possesso palla ed Ochoa ne è uscito come un eroe.

Pare che sia finito in Corsica perché l'emittente messicana Televisa, proprietaria del Club America in cui Ochoa giocava da quando aveva dodici anni, era anche proprietaria dei diritti della Ligue 1 e voleva usare la sua popolarità (su Twitter ha 600.000 follower, meno del “Chicharito” ma più di Rafa Marquez, per dire) per vendere il campionato francese. Pare che sarebbe potuto andare al PSG se durante la CONCACAF di quell'estate non fosse stato trovato positivo al clenbuterolo insieme a quattro compagni. Appena arrivato in Francia diceva: «Sono qui perché l'obiettivo è giocare in un grande club il più presto possibile. […] Non guadagno quanto guadagnavo in Messico, ma questo non mi impedisce di essere felice. Sono fiero di essere il primo portiere messicano a giocare in Europa». Sono passati due anni e “Memo” è ancora lì a lottare per la salvezza in Ligue 1. Ochoa è un pesce di dimensioni medio-grandi in una tazzina da caffè. Non sono riuscito a capire se i problemi in Nazionale sono finiti da quando c'è Miguel Herrera sulla panchina oppure no (in sostanza non gli piace fare il viaggio intercontinentale per andare in panchina) ma se il 2014 è all'altezza del 2013 credo proprio che lo vedremo al Mondiale.

2. Mattia De Sciglio (TD - Milan)

Ho visto De Sciglio dal vivo nella mia unica volta a San Siro, nel Novembre 2012, contro la Juventus (1-0). Quella sera De Sciglio ha surclassato Kwadwo Asamoah e nel corso dell'anno ha continuato a crescere al punto da esordire in Nazionale maggiore in amichevole contro ilBrasile e giocare (quasi) tutta la Confederations Cup da terzino sinistro. Contro Giappone, Messico, Uruguay e, di nuovo, Brasile (contro la Spagna non ha giocato perché Prandelli ha scelto il 3-5-2).

Ripeto: da terzino sinistro (a differenza delle ali, i terzini “invertiti” non sono quasi mai una scelta tattica).

Ripeto: contro il Brasile.

Cioè, contro Dani Alves.

All'inizio della stagione in corso ha avuto un problema al menisco che lo ha tenuto fuori fino alla partita di lunedì contro la Roma, in cui ha giocato bene sopratutto la fase difensiva (6 tackle e 6 anticipi). Emergere come giovane talento difensivo nel calcio è difficile. Tendiamo a restare maggiormente impressionati da un bel tiro rasoterra sul secondo palo, rispetto a un recupero sulla fascia. Nei 100 giovani selezionati da In Bed With Maradona per la loro lista annuale ci sono solo 20 difensori. Uno di questi, Rabiot, è un errore redazionale, ma De Sciglio c'è. Per emergere in difesa a vent'anni il talento deve essere a prova di errori come quello contro il Giappone (il retropassaggio che ha portato al rigore dell'iniziale 0-1). Boateng, interrompendo un'intervista seria a De Sciglio per dire: «ha i capelli come mio nonno», ha anche aggiunto che secondo lui era «il terzino più forte... non del mondo, ma d'Italia sì». Per gli scopi di questo pezzo a me basta dire che è stato il mio terzino destro preferito dell'anno.

3. Leighton Baines (TS - Everton)

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Baines si mangia le unghie ed è un tipo insicuro. Nel 2007 è stato acquistato dall'Everton e intervistato dal Guardianha confessato: «Le persone mi fanno i complimenti, per cui so che sto giocando bene, ma c'è una vocina nel retro della mia testa che mi dice: “È solo questione di tempo prima che realizzino di essersi sbagliati”. Durante tutto il periodo in Championship con il Wigan entravo in campo pensando: “Mi scopriranno presto, è questa la partita in cui vedranno davvero chi sono?” Mi aspettavo di finire in panchina da un momento all'altro anche se ero sempre titolare, non potevo fare a meno di pensare: “Prima o poi l'allenatore troverà qualcuno con cui sostituirmi”. Quando siamo stati promossi in Premier League ho subito pensato: “Chissà dove mi manderanno a giocare”». Al Daily Mailha raccontato di essere troppo timido anche per prendere lezioni di chitarra. E quando ha avuto una figlia, e ancora guadagnava così poco da dover vivere coi genitori della ragazza, non lo ha detto ai compagni di squadra per paura che i dirigenti pensassero che avrebbe influito negativamente sulle sue prestazioni.

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In realtà Baines è sempre stato un giocatore molto costante, fin dai tempi del Wigan. La scorsa stagione è stata la sua migliore di sempre, con numeri impressionanti: 2,8 cross a partita, 106 riusciti su 353 tentati, 5 gol e 5 assist, 116 occasioni da gol per i compagni, 3,1 a partita (Evra la scorsa stagione aveva la media di 0,6 cross e 0,7 occasioni create a partite; Ashley Cole, a cui Baines ha fatto la panchina nell'ultimo Europeo, di 0,2 e 0,6). La sua centralità nel gioco di Moyes era tale che appena arrivato a Manchester ha provato a prenderlo insieme a Fellaini, svalutandone però in quel modo il valore di mercato e costringendo l'Everton a rifiutare. Al momento è uno dei terzini più completi al mondo, anche se magari non ai livelli di Lahm o Marcelo. A me piace molto come stoppa palla e poi con la testa alta ruota su stesso come un compasso, facendo perno sul destro e tenendo il sinistro pronto a calciare, in cerca di un compagno con cui fare uno-due (perfetto per il calciotto). FourFourTwo loha inserito nei 100 giocatori migliori dell'anno ma quando ha chiesto a un giornalista dell'ESPN brasiliano se lo conoscesse quello ha risposto: «Non so nulla di Baines, a parte che sembra uno dei Beatles». Di sicuro, a ventotto anni, Baines può smetterla di preoccuparsi di venire smascherato da un momento all'altro.

4. Aurelién Collin (DC – Sporting Kansas City)

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Nel 2013 ho cominciato a seguire la Major League Soccer, per questo al centro della difesa della mia squadra ideale di calciotto ho scelto Aurelién Collin che ha segnato il gol del pareggio della finale a un quarto d'ora dalla fine ed è stato votato MVP della partita. Collin è francese ma ha giocato in Spagna, Scozia, Grecia, ha fatto provini con Bolton, Preston North End e Wolverhampton ed è sempre stato scartato, prima di finire in Galles in quinta divisione e poi al Vitoria Setubal in Portogallo. Negli Usa è arrivato a venticinque anni da perfetto sconosciuto. «Sono cresciuto in una periferia di Parigi con il sogno americano.» È un tizio assurdo con la fissa per la moda e una marca sua. «Gli americani sono più “open minded” e non giudicano quanto gli europei secondo la mia esperienza.» Ha anche un senso dell'umorismo che a me fa piegare dalle risate. Ha una rubrica sul canale YouTube dello Sporting Kansas City chiamata Collin's corner(purtroppo ci sono solo cinque puntate in tutto) in cui risponde alle domande dei compagni di squadra.

«Ciao Collin, alle ragazze piaccio solo perché sono bello e ricco.» Risposta: «Dovresti rimorchiare usando solo il telefono. Ho il numero di un paio di ragazze, te lo do e le chiami, così puoi farle conoscere prima la tua personalità». Collin è un coatto di un metro e novanta, rasato, con giacche a doppiopetto e canotte marinare francesissime e scollatissime, occhiali Diesel terribili, anelli, bracciali uno sopra l'altro, orecchini. Degusta bevande energetiche rosa in un bicchiere da vino, tiene in mano un gatto e parla dalla sua sedia ergonomica nello spogliatoio, con dietro appesa nell'armadietto la sua maglia numero 78, quadri di rose in cornici barocche, una foto firmata di Zach Efron. Ha una barba strana che non so se in realtà è solo un paio di basette molto grandi, o una barba vera e propria con il pizzetto in negativo. ESPN cita alcune sue uscite “alla Cantona” dovute a traduzioni bislacche da chissà quale delle sei lingue che parla, megalomania e, perché no, genio comico. «Coach, I might be crazy but I'm not stupid.» «I'm confident, but not elegant.» È amatissimo dai compagni e dai tifosi, l'head-coach Peter Vermes ha dovuto inserire una regola che vietasse ai giocatori di prendere il sole 72 ore prima della partita, altrimenti Collin: «Potrebbe rimanere a bordo piscina fino a un attimo prima di andare a giocare». In campo è un duro con i piedi buoni (per l'MLS), per Whoscoredè stato il giocatore migliore del campionato. 15 ammonizioni in 34 partite farebbero invidia anche a Materazzi.

5. Marco Verratti (CD – Paris Saint Germain)

In un'intervista di un paio di giorni fa Thiago Motta spiega come a volte ai 3 di centrocampo del PSG si aggiungano Thiago Silva e Alex in fase di impostazione, Ibrahimović che viene a prendere palla profondo, e il centrocampo diventa addirittura a 7 (anche se a voler essere pignoli ne mancherebbe uno all'elenco per arrivare a 7). Motta parla dell'alto tasso tecnico della squadra e di Verratti in particolare: «uno dei giocatori tecnicamente migliori del mondo». Quando è andato via si diceva che le squadre italiane non erano state disposte ad investire “sul futuro” di Verratti, ma come in ogni lista di fine anno che si rispetti il punto è il presente, e il presente è che Verratti è diventato, come si dice, un “titolare inamovibile” nel giro di un anno. L'unica pecca forse è che non ha ancora segnato con la maglia del PSG, ed è strano perché il suo raggio d'azione è abbastanza ampio, anche se non esattamente a tutto campo. Può fare da play (lui e Motta si alternano) ma con la sua tecnica nello stretto può salire fino all'area di rigore avversaria (come contro l'Olanda in Nazionale) e far valere la sua esperienza passata, pre-Zeman, da numero 10.

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A settembre è stato votato Giocatore del Mese e da quando c'è Laurent Blanc sulla panchina del PSG anche le sue statistiche si sono impennate. In questa prima parte di stagione nessuno fa più passaggi di lui nel campionato francese: 86,9 passaggi di media con il 91,9% di precisione (l'anno scorso erano 61,7 con l'89,4%). Non per trarre conclusioni più grandi del mio scopo originale, ma sono numeri più da Xavi (nello stesso arco: 89,8, 92,7%) che da Pirlo (68,2 e 89,5%) a cui lo paragonano. Rispetto a entrambi i “maestri” Verratti sembra meno creativo (solo 0,9 occasioni create a partita contro le 1,9 di Pirlo e le 1,8 di Xavi), ma ha già fatto 4 assist mentre Pirlo non ne ha fatto nessuno e Xavi solo 1. A questo va aggiunta l'aggressività da vero mediano: Verratti al momento ha una media di 2,5 tackle a partita (Motta 2,7) e 1,7 anticipi (Motta 0,7).

E poi sembra un bravo ragazzo, anche affettuoso, uno che mi piacerebbe avere in squadra a calciotto.

6. Maruane Fellaini (CC – Manchester United)

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Adesso, lasciamo perdere che Fellaini al Manchester United sta passando un brutto periodo, il fatto stesso che sia stato acquistato dal Manchester United, e che Moyes ma certamente non solo Moyes lo abbia considerato “da Manchester United”, certifica il valore di Fellaini e la splendida stagione 2012-2013, cominciata battendo proprio lo United praticamente da solo. All'Everton Fellaini giocava molto avanzato, dietro la punta, nel Fellaini role, che è un modo di interpretare il ruolo del trequartista che può permettersi solo lui. Il principio base è abbastanza rozzo: Fellaini è alto un metro e novantacinque e stopperebbe di petto anche l'asteroide di Armageddon, mentre con il sedere e con i gomiti proteggerebbe palla anche da uno dei mostri di Pacific Rime questo fa di lui uno strumento ideale per collegare tra di loro centrocampo e attacco in assenza di un vero trequartista (e per questo forse meriterebbe la fascia da capitano di questa top 8 da “fine del mondo”). Una volta scaricata la palla, giocando in quella posizione, poteva andare rapidamente in area a saltare di testa. Nel Fellaini role ha segnato 11 gol (per non parlare di quanto era divertente da veder giocare), ha unito la sua dominanza fisica a un'intelligenza tattica fuori dal comune e a un gioco a tratti raffinatissimo nello stretto, anche se forse la sua creatività è stata sopravvalutata.

Con l'addio definitivo di Scholes (ma anche con il primo addio prima che Ferguson lo convincesse a giocare ancora un po') il Manchester United aveva bisogno di un regista, e Fellaini non è il giocatore giusto per una squadra che manca di fantasia o ritmo (per ora alla squadra di Moyes mancano entrambi). Può garantire costanza, anche precisione, ma difficilmente arriverà da lui la giocata che cambia la partita. E Moyes non può neanche farlo giocare Fellaini role perché dietro Van Persie ci gioca Rooney. Insomma non è una situazione semplicissima ma Marouane è un ragazzone e se la caverà. Anzi forse sta già pensando a una possibile soluzione: «Quando ho iniziato a giocare con la squadra delle riserve dello Standard Liegi ero centrale di difesa. È una buona posizione per me perché sono alto e forte di testa, ma so anche passare la palla. Magari sarà il mio ruolo in futuro?».

7. Juan Mata (CS – Chelsea)

Da due anni a questa parte, da quando cioè è stato acquistato dal Valencia, Mata è il miglior giocatore del Chelsea. La stagione passata è stato testa a testa con Hazard fino all'ultimo, ma direi che l'ha spuntata di nuovo lui realizzando più assist di tutti in Premier (12) e più gol (12) del belga compagno di squadra (9). È stato scelto dai colleghi Professional Footballers' Association come Giocatore dell'Anno. Quando qualcuno parla di quanto sia ingiusto che Borja Valero non trovi posto nella Nazionale spagnola per via di una generazione troppo dotata, penso sempre a Mata (o alternativamente a Silva) e mi chiedo come sarebbe e cosa diremmo se Mata giocasse in Italia.

Questo è un numero di Mata in Nazionale, in allenamento, ai danni di Arbeloa:

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Questo invece è Yaya Touré che non ama Mata quanto me (peccato Yaya, andreste d'accordissimo se giocaste insieme, ne sono sicuro):

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Non sono un gran giocatore di Football Manager, e quando appena presa una squadra il giochino mi dice che la maglietta del giocatore X è la più venduta, che è il più amato dei tifosi, e che insomma non posso venderlo, io la prima cosa che faccio è metterlo sul mercato a un prezzo ridicolmente basso. Chissà se Mourinho ha avuto una reazione del genere una volta tornato al “suo” Chelsea. A dir la verità la ragione per cui Mourinho lo tiene in panchina è comprensibile: secondo lui Mata è un centrale, un numero 10 puro, e lui come numero 10 preferisce Oscar anche per come fa pressing. Quindi Mata dovrebbe adattarsi a giocare sula fascia, e con Mourinho sulla fascia bisogna seguire i terzini che spingono. Quindi gli preferisce Willian, o Ramires.

Per gli stessi motivi per cui Mourinho preferisce Oscar io preferisco Mata. Perché a differenza del brasiliano è padrone di mettere "pausa" al gioco, di giocare profondo o sulla fascia, di scherzare con gli avversari e con la palla, senza l'ossessione-compulsione dei trequartisti moderni per la verticalità. (Mata segna anche molto, e a calciotto serve almeno un secondo goleador in squadra oltre alla punta). Questo è Aaron Ramsey che capisce con una frazione di ritardo cosa è appena successo e piega la testa all'indietro con lo stesso disappunto che ho io quando mi rendo conto in ascensore di aver dimenticato casco e chiavi del motorino.

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Ad ogni modo Mata non ci vede niente di male nel modo in cui lo tratta Mourinho: «Mio padre mi diceva: se sei mancino migliora il destro. Diventare un giocatore perfetto è molto molto difficile. Se mi chiedi se la scorsa stagione è stata la stagione perfetta ti rispondo che è stata la migliore della mia carriera, ma che posso fare meglio. Credo che José possa aiutarmi a migliorare».

Mourinho da parte sua, oltre a rispondere piccato a chi lo critica (a Ruud Gullit: «È più facile fare il commentatore che l'allenatore»), dice che è pronto a cambiare idea: «La cosa che amo di più nel calcio è quando un giocatore mi dimostra che sto sbagliando. Quindi se lui mostra che mi sbaglio sarò the happy one. Perché voglio che sia fantastico».

Sarà.

8. Luis Suárez (A – Liverpool)

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Il 2013 di Suárez è cominciato con un gol viziato da un fallo di mano in FA Cup, contro il Mansfield Town, una squadra di terza divisione inglese che stava tentando l'impresa. Poi (sto riassumendo per sommi capi) a febbraio ha calciato una splendida punizione contro lo Zenit San Pietroburgo che potrei descrivere così: Suárez sarebbe in grado di far passare il pallone attraverso l'oblò di una lavatrice poggiata sul tettuccio di un'auto in corsa. (Oh, ma è una grande idea, andrebbe provata davvero). Poi ad aprile ha dato il famoso morso a Ivanović che gli è costato 10 giornate di squalifica. Poi ha chiuso la stagione con 23 gol in campionato, con una media impressionante di 5,7 tiri a partita. Poi ha detto che voleva lasciare il Liverpool facendo arrabbiare tutti, compreso Brendan Rodgers, prima di fare marcia indietro. Poi ha cominciato la stagione 2013-2014 segnando 17 gol nelle prime 11 giornate, diventando a dicembre il primo giocatore nella storia della Premier League a segnare tre triplette contro la stessa squadra (Norwich City), qualsiasi cosa un record di questo tipo significhi.

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Ma vorrei tornare sul morso a Ivanović (qui da un'altra angolazione). Si può dire, in generale, che Suárez gioca sporco. Che si lascia cadere in area e usa tutti i trucchi possibili del repertorio di un giocatore di calcio per fa perdere la concentrazione, ostacolare, infortunare, avere la meglio su un avversario. E che questa è una pratica odiosa. Il cinismo non piace a nessuno, tranne che nelle serie tv. Non puoi prendere la palla di mano sulla linea impedendo al Ghana di diventare, meritatamente in senso strettamente sportivo, la prima squadra africana a raggiungere la semifinale di un Mondiale, festeggiare l'errore dal dischetto di Asamoah Gyan e poi parlare anche di una nuova “mano di Dio”. Anche l'episodio con Evra, spiacevole. Suarez si merita che dalla stringa di Google non venga fuori “Luis Suárez is a great player”.

Al tempo stesso c'è qualcosa in quel morso a Ivanović che va oltre. Che sposta le scorrettezze di Suarez su un piano diverso. Divertente, forse sinceramente preoccupante, ma meno squallido. E questa non è una scusa, è che dopo una cosa del genere tutto il resto passa in secondo piano. Ormai è chiaro che Suárez sarebbe disposto a tutto pur di vincere. A tutto. Se per qualche ragione dovesse trarre vantaggio, anziché dal mordere un difensore, dal calarsi i pantaloncini e correre nudo gesticolando in area di rigore, lo farebbe. Sarebbe disposto a sacrificare qualsiasi cosa, la propria reputazione, il proprio senso dell'onore, la possibilità di girare libero per il mondo senza che qualcuno ti gridi dietro qualcosa di spiacevole, pur di segnare il gol più inutile della partita più inutile che non entrerà mai a far parte della storia del calcio. (E lui sembra consapevole di avere un problema al punto da poterci scherzare sopra a giudicare dalla pubblicità per Abitab in cui interpreta se stesso in un ufficio.)

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Da un punto di vista strettamente calcistico Suárez è arrivato, quest'anno, al livello di Messi, Ronaldo eccetera. (E poi è una vera punta che si muove in tutte le direzioni e sa giocare con i compagni, perfetto per il calciotto). Wenger, che ha fatto di tutto per portarlo all'Arsenal, ha detto che secondo i suoi informatori Suárez è un bravo ragazzo fuori dal campo, uno con cui si lavora facilmente: «È anche rispettoso, gli piace allenarsi, insomma è un angelo. È in campo che diventa un diavolo. È il sogno di tutti avere un giocatore del genere».

Questo è Suarez che esulta da solo:

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Le 5 migliori storie della NFL

di Cesare Alemanni (@CesareAlemanni)

Peyton Manning

Di lui ho già parlato ampiamente in un pezzo pubblicato su questo stesso sito meno di un mese fa. Che cosa aggiungere? Che nel frattempo, in questo ultima settimane, ha messo a referto un altro paio di prestazioni eccellenti? Che potrebbe archiviare la sua prima stagione da 5000 yard totali? Che quasi certamente sarà eletto MVP della stagione per la quinta volta in carriera? Che se nelle prossime e ultime due partite riuscirà a lanciare almeno quattro touchdown, batterà il record (50) di TD in regular season attualmente nelle mani di Tom Brady? Che Sports Illustrated l'ha appena eletto atleta dell'anno? Che ha iniziato la stagione lanciando sette touchdown in una sola partita contro i campioni del mondo in carica? Che tutto questo l'ha fatto a 37 anni, due dopo che la sua carriera era data per finita? C'è poco da discutere: Peyton Manning è la storia NFL del 2013.

Il ritiro di Ray Lewis (con anello al dito)

Lo so... ok... questa in realtà apparterebbe alla stagione passata ma comunque l'ultimo Superbowl si è giocato lo scorso febbraio e quindi stiamo parlando di questo anno solare. Premesso ciò, si può pensare quel che si vuole di Ray Lewis, delle sue passate vicende personali, del suo carattere, del suo modo di stare in campo ma una cosa è certa: raramente si è visto un giocatore difensivo incarnare così a lungo e con altrettanto carisma lo spirito di un'intera franchigia. Per oltre quindici anni Ray Lewis è stato sinonimo di Baltimore Ravens e Baltimore Ravens sinonimo di Ray Lewis, e le due cose insieme sinonimo di difesa. Per quanto il Superbowl vinto contro i 49ers non si possa – comprensibilmente dati i 38 anni d'età (che per un linebacker pesano il doppio dei 37 del quarterback di cui sopra) – annoverare tra le migliori prestazioni di Lewis, per chiunque ami il football è stato comunque commovente guardarlo sollevare il Vince Lombardi Trophy nello stesso giorno in cui appendeva l'elmetto al chiodo e urlare: «Baltimore! Baltimore! We're coming home, baby! We did it».

I Seattle Seahawks

Per anni sono stati una delle squadre più noiose dell'intera NFL. Tristi per definizione. Tristi come il loro ex quarterback Hasselbeck (il gemello di Cambiasso sotto steroidi) e come il grigio mare delle loro vecchie divise. Poi di colpo è cambiato tutto. Prima Nike gli ha disegnato un'attrezzatura che sembra uscita da Pacific Rim e che – per quanto personalmente non mi piaccia preferendo delle estetiche più vintage – li ha fatti balzare alla vetta delle classifiche di merchandising e poi, nel giro di pochissimo, hanno tirato fuori due pepite dalle parti basse del draft, Richard Sherman e Russell Wilson diventati leader rispettivamente della difesa e dell'attacco. E poi c'è Pete Carroll, il coach/filosofo, che è uno dei personaggi più positivi e cool, nel senso proprio di calmo e rilassato, dell'intera, molto spesso troppo isterica NFL. Le cose che ho raccontato fino ad ora in realtà non sono successe quest'anno ma negli ultimi due o tre, tuttavia questa è la stagione in cui fin dall'inizio tutti si aspettavano da Seattle che raccogliesse ciò che aveva seminato. E i Seahawks, detentori del miglior record finora (12V - 2P), non hanno per il momento deluso. Ora vedremo nei playoff.

Nick Foles

Non ricordo l'ultima volta che un quarterback scelto al terzo round del draft e subentrato a stagione in corso a un titolare infortunato (Michael Vick, non proprio uno qualunque) ha messo insieme le statistiche di Foles. A un certo punto della stagione, Nick aveva lanciato 20 TD e nemmeno un intercetto, arrivando a un solo passaggio in meta dal record di 21 touchdown consecutivi senza perdere palla stabilito anni fa da Peyton Manning. Inoltre è stato uno dei soli tre quarterback nella storia a lanciare, contro i Raiders, 7 touchdown in una singola partita senza intercetti. Non male per uno che fino a due anni era "Nick... chi?"

Il caso Incognito

In anni di gioco sporco, tackle al limite della regolarità e falli antisportivi, Richie Incognito si è meritato il nickname di "dirtiest player in NFL". Poi però si è scoperto che la sua attitudine violenta andava ben al di là del terreno di gioco e dell'ammissibile e che il suo CV di comportamenti inqualificabili includeva molestie sessuali, minacce ad allenatori e compagni, bullismo, razzismo e mobbing nello spogliatoio della sua stessa squadra, i Miami Dolphins. Come pensate che l'abbia presa la NFL? Credete che Incognito sia stato radiato a vita? Macché! Una breve sospensione, una multa e passa tutto. Il che dice moltissimo della mentalità di chi sta ai vertici della lega. In uno sport che fa della violenza, della velocità e del contatto fisico estremo le sue ragioni d'essere, il machismo è un valore anche quando il limite viene superato di un bel pezzo. È questa l'unica immagine del football che chi gestisce la NFL moderna è interessato a promuovere, a discapito di quanto di estremamente intelligente, profondo e nobile esiste in questo gioco. Inoltre, ovviamente, essendo la NFL un business da miliardi di dollari, the show must go on sempre e comunque, anche quando sono sempre più evidenti i rischi concreti per la futura salute psico-fisica dei giocatori. Anche quando, come è capitato negli ultimi due anni, alcune stelle di prima grandezza perdono la brocca in modi clamorosi come Jovan Belcher o Aaron Hernandez. È normale che due giocatori di una stessa lega si scoprano pluriomicidi nel giro di pochi mesi? Esistono altri sport in cui accade qualcosa di simile? Non c'è forse una correlazione tra questi drammi e una disciplina che, in nome dello spettacolo, sta diventando ogni anno più estrema e più violenta? Non sarebbe forse il caso di rallentare la velocità del gioco, di smettere di riempire i giocatori di steroidi, di scrivere un regolamento più severo che sanzioni per davvero i colpi proibiti e di tornare a fare del football uno sport violento sì – del resto questa è la sua natura – ma non così violento e disumano come è oggi, un sport che torni a privilegiare la tecnica e la tattica anziché lo strapotere fisico? No. Questa è finora stata la risposta della NFL.

Belle cose sparse

L'anno scorso di RGIII, la rivincita di Andy Reid, la difesa dei Chiefs, le corse di Adrian Peterson, l'elevazione e l'eleganza di Calvin Johnson, la crescita dei Panthers, la settimana 14 di questa stagione, il finale di Ravens - Vikings in quella settimana, Josh Gordon.

L'inutile sterminio di massa del 2013

di Tim Small (@yestimsmall)

Quest'anno ho scoperto che non posso dirmi esperto di niente, e devo dire che questa realizzazione mi ha portato un grandissimo sollievo. Ho anche scoperto che l'unica cosa di cui (forse) ne so più degli altri è la mia stessa testa, di come funziona e di cosa le piace, ergo, piuttosto che mettere assieme una lista "del 2013", è forse meglio raccontarvi il “mio” 2013 personale. Tipo: la mia “cosa” preferita dell'anno è stata senza dubbio The Last Of Us, videogioco che secondo me ha stabilito un nuovo standard per l'intrattenimento narrativo. GTA V è stato divertente, ma nulla più. The Last Of Us mi ha fatto commuovere, che magari non è molto, dato che sono uno dalla lacrima facile, ma considerando che si parla di un “gioco”, direi che allo stesso tempo, non è poco.

I primi otto mesi di quest'anno li ho passati leggendo pochissima narrativa, assolutamente nessun giornalismo musicale, un po' di giornalismo scientifico, un po' di giornalismo culturale, e molto giornalismo sportivo. A marzo un articolo apparso sul Lapham's Quarterly, dell'autore dell'eccellente raccolta di non-fiction Pulphead, John Jeremiah Sullivan, intitolato “One of us ”, che descrive le enormi difficoltà epistemologiche nello stabilire cosa sia, effettivamente, la "coscienza animale”, concludendo che è un'area talmente incomprensibile (a causa dei limiti del nostro stesso pensiero) che non potremo mai veramente misurarla, ma che la neuroscienza cognitiva più contemporanea (quella basata sull'uso delle macchine a risonanza magnetica funzionale, o fMRI) sembra indicare che sì, esistono "forme di coscienza" diverse da quella dell'homo sapiens. È stato uno degli articoli che mi ha colpito di più e mi ha convinto a non mangiare carne per un paio di settimane. Un piatto di Katsudon da Nozomi mi ha poi riportato sulla via del totalmente inutile sterminio di massa delle forme di vita diverse dalla nostra. In generale la biologia è stata molto presente nelle mie letture quest'anno, forse a causa di una fascinazione trasversale riguardo alla posizione che mette l'uomo all'interno della rete di comportamenti tipici del regno animale piuttosto che al di sopra di esso. In quest'ottica ho goduto molto di due libri di Gordon Grice, un saggista ed entomologo che ogni tanto scrive per Harper's (a cui sono rimasto abbonato, e la cui Weekly Review ho letto religiosamente ogni settimana). Il primo è intitolato The Red Hourglass: Lives of the Predators, e racconta di otto predatori potenzialmente mortali che vivono contigui all'autore (che vive in Oklahoma): la vedova nera, la tarantola, il serpente a sonagli, la mantide religiosa, il ragno violino, il cane e il maiale, ed è il contrario di quello che ti aspetteresti da una serie di saggi su predatori abbastanza disgustosi, nel senso che è profondo, filosofico, e porta avanti un'attenta argomentazione sulla classificazione dell'uomo come “animale auto-addomesticato”.

Immaginatevi questo articolo letto con la voce di David Attenborough

Il secondo è il meno filosofico ma non meno esaltante The Book of Deadly Animals, che racconta praticamente tutti gli aneddoti possibili in cui gli umani sono passati da predatori a preda di animali selvaggi. Nella stessa ottica anti-narrativa e pro-scienza ho divorato tre libri di Leonard Mlodinow: La passeggiata dell'ubriaco, una serie di saggi sulla teoria del caos e della probabilità, Subliminal, che utilizza recenti studi basati sulle fMRI di cui sopra per arrivare, per quanto possibile, ad una “scienza” del subconscio umano che si allontani il più possibile dal “misterioso” subconscio raccontato dalla psicologia tradizionale, e Euclid's Window, una divertentissima (giuro) storia della geometria. Ho anche iniziato e non finito Spillover, un libro di David Quammen che utilizza un incrocio tra il thiller e la divulgazione scientifica per spiegare le pandemie e di come passino da una specie animale all'altra (inclusa la nostra), e il Premio Pulitzer L'imperatore del male, la storia culturale e scientifica del male più affascinante e spaventoso di tutti: il cancro. Di Quammen mi sono ordinato ogni libro, sembrano tutti meravigliosi, ma non li ho ancora letti. Sempre per quanto riguarda la non-fiction, ma spostandomi su quella sportiva, gli articoli di Brian Phillips su Grantland sono stati una delle principali fonti d'ispirazione per il lancio di questo sito a luglio. Su tutti cito lo splendido “31 Notes on the Breakdown of Practically Everything”, una toccante analisi della costruzione del “mito dell'Atleta Pazzo” nel giornalismo sportivo contemporaneo. L'unico articolo di giornalismo culturale diciamo “tradizionale” che mi ha veramente colpito è stato l'agghiacciante “L'intellettuale borghese parla dell'Italia”, scritto da Francesco Pacifico per IL. Ho anche letto alcune bozze del suo prossimo romanzo e penso che potrebbe tirare un vero e necessario pugno in faccia alla narrativa italiana. A proposito di libri di narrativa pura, be', li ho già elencato per Rivista Studio, e quindi posso solo aggiungere che ho letto il primo volume del monumentale La mia lotta di Karl Ove Knausgaard in pochi giorni, e mi è sembrato il miglior super-romanzo contemporaneo dai tempi di 2666 di Roberto Bolaño quattro anni fa. Non posso fare altro che consigliarlo caldamente. La persona ideale, come dovrebbe essere?, di Sheila Heti, invece, è un affascinante tentativo di unire la narrativa alla performance art, al diario e al libro di auto-aiuto e, per quanto, in fin dei conti, fallisca nel suo essere ognuna di queste tre cose separatamente, è forse riuscito a creare qualcosa di davvero nuovo: una boccata d'aria per un genere, quello puramente letterario, che negli ultimi tempi mi affatica molto. A discapito della “letteratura alta” (termine che aborro), quindi, mi sono letteralmente mangiato l'intera serie di romanzi noir di John D. MacDonald, esilaranti avventure con il mio eroe preferito dai tempi dell'Hoke Moseley di Charles Willeford: Travis McGee. Rimanendo sulla letteratura “di genere” anche il sequel di Shining, Doctor Sleep, mi ha divertito non poco, considerando che è una specie di trattato sul potere distruttivo dell'alcolismo.

Adventure Time: la serie televisiva dell'anno. Questa è stata la mia puntata preferita.

Quest'anno ho guardato tantissima televisione e pochissimo cinema: dopo esser stato deluso in maniera clamorosa da praticamente ogni singolo film visto sul grande schermo quest'anno, a parte lo sconvolgente documentario The Act of Killing, di cui ha già scritto Fabio Severo per queste pagine, e dopo essermi arrabbiato per l'ennesima volta per la stupidità assoluta che ormai sputano fuori regolarmente (su tutti il pazzescamente atroce L'Uomo d'Acciaio, ma anche il ridicolo La Grande Bellezza, entrambi, per mia somma disperazione, recensiti “tiepidamente”) ho praticamente deciso di non andare mai più al cinema. Nel frattempo mi sono goduto l'humour umano e caloroso di Family Tree, l'assurda, geniale creatività di Adventure Time (per me, serie dell'anno), l'equilibratissima scrittura di The Americans, la fantastica stupidità ironica di Sleepy Hollow, la tragica quarta stagione di Boardwalk Empire, la nona, adolescenziale e sempre geniale stagione di It's Always Sunny in Philadelphia e la rinfescante assenza di maschi alfa borderline criminali che devono gestire la loro doppia vita in Masters of Sex e Orange is the New Black: forse le prime serie televisive post-Sopranos a raggiungere l'eccellenza pur avendo sovvertito l'ormai tipico maschilismo brutale e emo di quello che è diventato un vero e proprio template del “genere” del “serio dramma televisivo” (es. l'accozzaglia di stereotipi nel pur ben interpretato Ray Donovan). Sull'argomento ho letto un gran libro, Difficult Men, e se devo vedere un'altra serie con l'eroe violento ma tormentato, vomito.

La mia canzone preferita del mio disco preferito dell'anno

A livello musicale ho ascoltato i grossi dischi dell'anno, come quello di Kanye e quello dei Daft Punk, di cui ho letto una fantastica recensione ad opera di Demented Burrocacao, la cui rubrica su VICE mi è stata imperdibile. L'unico altro nuovo disco che abbia ascoltato davvero è l'epico Big Wheel and Others di Cass McCombs, che rimane il mio cantautore contemporaneo preferito. Per il resto, ho continuato ad ascoltare i Replacements, i Grateful Dead, i Fleetwood Mac e gli Steely Dan, e posso confermare che continuano a piacermi.

Ho anche scoperto che la grappa mi piace più del whisky.

La prima e la seconda parte della lista della fine del mondo.

Credito immagine di copertina: Giudizio Universale di Beato Angelico, dettaglio, tempera su tavola, 1431 circa, Museo Nazionale di San Marco, Firenze.

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